
ASSESSORATO
DEL TERRITORIO E DELL'AMBIENTE
CIRCOLARE 7 marzo 2003, n. 1
G.U.R.S. 24 aprile 2003, n. 19
Redazione del Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico, ai sensi del decreto legge n. 180/98 e successive modifiche ed integrazioni.
AI COMUNI DELLA SICILIA
AGLI UFFICI DEL GENIO CIVILE DELLA SICILIA
e, p.c.
AI CONSORZI A.S.I. DELLA SICILIA
ALLE PROVINCE REGIONALI DELLA SICILIA
AGLI ENTI PARCO REGIONALI
Questo Assessorato, in forza dell'art. 130 della legge 3 maggio 2001, n. 6, deve provvedere alla predisposizione del progetto di Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico ai sensi del decreto legge n. 180/98 e successive modifiche ed integrazioni, "anche per stralci relativi a bacini idrografici o sottobacini".
Detto Piano stralcio per l'assetto idrogeologico (di seguito chiamato P.A.I.) ha valore di piano territoriale e costituisce lo strumento necessario ad assicurare, attraverso la programmazione di una pluralità di azioni, la difesa del suolo rispetto ai dissesti di natura idraulica e geologica e la tutela degli aspetti ambientali ad esso connessi.
Esso segna quindi una tappa fondamentale nell'attività di difesa del territorio impostata sul concetto della prevenzione anziché dell'emergenza.
Ciò premesso, onde consentire a questo Assessorato di assolvere, nell'ambito dei propri fini istituzionali, al completamento della redazione del progetto P.A.I., con la presente si stabiliscono le seguenti procedure.
I comuni che non abbiano ancora richiesto eventuali modifiche al piano straordinario, ai sensi dell'art. 6 del decreto n. 298 del 4 luglio 2000, nonché i comuni che abbiano richiesto modifiche parziali sono tenuti ad adempiere alla direttiva, di cui alla circolare n. 57596 del 22 novembre 2000, per l'intero territorio comunale.
I comuni che non hanno effettuato alcuna segnalazione di dissesto nell'ambito della redazione del piano straordinario dovranno fornire le opportune informazioni discendenti dagli studi geologici che supportano lo strumento urbanistico vigente o in formazione (carta della pericolosità geologica e sismica) e/o altri studi e/o elementi di conoscenza, relativamente a stati di dissesto che interessano il loro territorio.
Per quanto precede, gli enti interessati di cui sopra dovranno inoltrare agli uffici del Genio civile competenti per provincia e, per conoscenza, al servizio 9 dell'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente, in relazione anche a quanto previsto dal decreto n. 552/DTA/20 del 20 ottobre 2000, gli elaborati allo scopo indicati dalla già citata circolare n. 57596 del 22 novembre 2000, nel rispetto delle procedure che di seguito verranno descritte.
Gli studi e le informazioni a corredo delle istanze dovranno consentire la perimetrazione delle aree interessate da dissesti per potere attribuire il livello di rischio R1, R2, R3 ed R4, secondo le direttive discendenti dal D.P.C.M. 29 settembre 1998, costituente l'atto di indirizzo e coordinamento per la redazione del P.A.I. e le indicazioni fornite dalle linee guida redatte dall'Assessorato del territorio e dell'ambiente, allegate alla presente circolare.
Al fine di potere rispettare la fase tre prevista dal predetto D.P.C.M. al punto 2.1, gli enti di cui all'allegato A del decreto n. 543 del 25 luglio 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 38 del 16 agosto 2002, parte I, per i quali sono stati individuati i livelli di rischio nell'ambito dell'attività connessa all'aggiornamento del piano straordinario per l'assetto idrogeologico e quelli il cui aggiornamento è stato effettuato in data successiva al decreto di cui sopra, sono invitati a trasmettere agli uffici del Genio civile competenti per territorio, nel rispetto dei tempi di seguito assegnati, proposte di interventi già individuati con appositi progetti o schede informative con valenza di documento, che descrivano comunque le soluzioni da adattare alla tipologia di dissesto idrogeologico per la mitigazione del relativo livello di rischio e forniscano anche una stima economica sommaria degli interventi.
Gli uffici del Genio civile procederanno ad una valutazione della proposta avanzata e, in funzione del livello di rischio, formuleranno le valutazioni del caso in ordine alla efficacia dell'intervento, fornendo eventuali indicazioni riguardo ulteriori o diverse soluzioni da adottare per ottimizzare gli interventi al fine di ridurre quanto più possibile il livello di rischio, avendo cura di indicare le soluzioni progettuali meno invasive dal punto di vista dell'impatto ambientale e della tutela dell'ambiente.
A far data dalla presente, le richieste di aggiornamento delle perimetrazioni delle aree a rischio contenute nel piano straordinario, dovranno riguardare l'intero territorio comunale ed essere corredate dalla documentazione di cui alla circolare n. 57596 del 22 novembre 2000.
Dovranno, inoltre, essere accompagnate anche da apposita scheda informativa, avente valenza di documento, sugli interventi da porre in essere, in relazione al dissesto, che riporti una stima di massima del loro costo.
Le stesse modalità e la stessa urgenza devono essere rispettate dai comuni che non hanno ancora segnalato dissesti nel territorio di propria competenza.
Qualora questi ultimi comuni ritenessero di non avere sul territorio di competenza situazioni di dissesto e/o pericolosità, in ogni caso dovranno attestarne l'assenza.
Corre l'obbligo evidenziare, con riferimento ai comuni che non avranno adempiuto alle presenti disposizioni, che decorsi 30 giorni dalla pubblicazione della presente circolare, questo Assessorato provvederà ad intervenire secondo le forme e le modalità ritenute più opportune.
Si sottolinea l'importanza di quanto precede e la necessità di pervenire nei tempi più rapidi possibili alla redazione del P.A.I., strumento essenziale per gli atti di pianificazione territoriale dell'isola, evidenziando anche che da eventuali inadempienze di codesti enti potrebbe derivare un danno alla programmazione regionale in materia, con refluenze anche economiche, dovendo osservarsi la previsione del Complemento di programmazione del P.O.R. Sicilia 2000/2006 lì dove è stabilito che i criteri relativi alla seconda fase di programmazione della misura 1.07, saranno definiti con il Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico; pertanto solo gli interventi previsti dal P.A.I., potranno essere ammessi ai benefici del citato Complemento di programmazione.
Il Presidente della Regione,
Assessore ad interim per il territorio e l'ambiente:
CUFFARO
Allegato
LINEE GUIDA PER LA REDAZIONE DEL PROGETTO DI PIANO PER L'ASSETTO IDROGEOLOGICO (P.A.I.)
Metodologia per la valutazione del rischio idrogeologico
La metodologia di valutazione del rischio è stata riferita alla definizione di rischio data dal D.P.C.M. 29 settembre 1998, atto di indirizzo e coordinamento, cui si rimanda per completezza.
Secondo tale definizione il rischio è il risultato del prodotto di tre fattori:
- pericolosità o probabilità di accadimento dell'evento calamitoso;
- valore degli elementi a rischio (intesi come persone, beni localizzati, patrimonio ambientale);
- vulnerabilità degli elementi a rischio (che dipende sia dalla loro capacità di sopportare le sollecitazioni esercitate dall'evento, sia dall'intensità dell'evento stesso).
Conseguentemente, l'atto d'indirizzo e coordinamento definisce quattro classi di rischio:
- moderato R1: per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali;
- medio R2: per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l'incolumità del personale, l'agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;
- elevato R3: per il quale sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
- molto elevato R4: per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche.
Nel caso in cui si tratti di eventi accaduti la delimitazione dell'area interessata dall'evento e la rilevazione dei danni subiti rendono abbastanza facile la valutazione del livello di rischio.
Nel caso in cui, invece, le conoscenze sui fenomeni siano tali da ritenere opportuna una analisi del rischio potenziale, bisognerà effettuare una valutazione quantitativa in termini comparativi dei fattori pericolosità, valore, vulnerabilità basandosi su elementi parametrizzabili.
Dallo studio di numerose pubblicazioni al riguardo, tra cui le linee guida che hanno condotto alla redazione dei piani di bacino della regione Lazio e delle autorità di bacino del Tevere, del Reno e del Po, nonché le "Considerazioni sulla valutazione del rischio di frana" del CNR-GNDCI-Regione Emilia Romagna, si è cercato di pervenire ad una definizione e valutazione di tali elementi che fosse di facile applicazione e adattabile alla realtà territoriale siciliana. Si è ritenuto, inoltre, necessario distinguere, nella valutazione della pericolosità, gli elementi che concorrono alla determinazione del rischio da frana da quelli inerenti al rischio idraulico.
Valutazione della pericolosità da frana
Nel rapporto UNESCO di Varnes & Iaeg (1984) vengono date precise definizioni relative alle diverse componenti che concorrono nella determinazione del rischio di frana:
- pericolosità (H): probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. E' espressa in termini di probabilità annuale o di tempo di ritorno. La pericolosità definita in questo modo è pertanto riferita ad una determinata intensità del fenomeno: H=H(I);
- elementi a rischio (E): popolazione, proprietà, attività economiche, inclusi i servizi pubblici;
- vulnerabilità (V): grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità;
- rischio totale (R): atteso numero di perdite umane, feriti, danni alle proprietà, interruzione di attività economiche, in conseguenza di un particolare fenomeno naturale.
Il rischio totale è pertanto espresso dal prodotto: R = HVE
Il fenomeno di instabilità è caratterizzato da una certa intensità e da una determinata probabilità di occorrenza.
Nella valutazione della pericolosità da frana svolgono un ruolo determinante:
- l'intensità o magnitudo (M) intesa come "severità" meccanica e geometrica del fenomeno potenzialmente distruttivo. Può essere espressa in una scala relativa oppure in termini di una o più grandezze caratteristiche del fenomeno;
- lo stato di attività, che fornisce una valutazione di tipo temporale e quindi probabilistica; la presenza di interventi di sistemazione che comporta una diminuzione del valore della pericolosità.
Per quanto riguarda altri tipi di catastrofi naturali, quali gli eventi meteorologici estremi, le piene o i terremoti, la definizione dell'intensità di un evento è immediata in quanto può essere fatta corrispondere, rispettivamente, all'altezza di precipitazione, alla portata al colmo di piena o all'intensità macrosismica. Per i fenomeni franosi la definizione dell'intensità è più problematica, infatti la severità di una frana dipende da una serie di fattori di difficile valutazione.
Tra questi i più rilevanti, nella determinazione dell'intensità di un evento, sono la velocità del movimento, le dimensioni del fenomeno franoso e l'energia cinetica sviluppata dalla frana.
Per quanto riguarda la velocità del movimento, una sua stima approssimata può essere ottenuta dalla tipologia del fenomeno opportunamente considerata. Invece, risulta assai problematica la stima dell'energia sviluppata da una frana: essa, infatti, può essere calcolata sulla base di modelli la cui applicazione non risulta né agevole, né immediata.
Si è dunque ritenuto che una stima dell'intensità di una frana potesse essere effettuata in maniera speditiva definendola come relazione intercorrente tra le dimensioni areali del dissesto (o il suo volume nel caso delle frane da crollo) e la sua tipologia.
La tipologia delle frane, tenendo in considerazione la velocità di accadimento, può essere tradotta nella seguente classificazione:
- T1: deformazioni gravitative profonde in roccia, creep, espansione laterale, colate lente
- T2: frane complesse, scorrimenti e colamenti in roccia, detrito e terra
- T3: scivolamenti rapidi in roccia, detrito e terra, crolli, colate rapide di fango.
Per dare una stima dell'intensità del fenomeno franoso, si definisce la matrice di magnitudo di tab. 1. le cui righe corrispondono all'estensione o volumetria della frana e le colonne alla tipologia. Gli elementi della matrice individuano i valori di magnitudo per i diversi "incroci" possibili.
La suddivisione adottata per lo stato di attività di una frana è la seguente (1):
- attiva o riattivata: se è attualmente in movimento;
- inattiva: se si è mossa l'ultima volta prima dell'ultimo ciclo stagionale;
- quiescente: se può essere riattivata dalle sue cause originali; se si tratta di fenomeni non esauriti di cui si hanno notizie storiche o riconosciuti solo in base ad evidenze geomorfologiche;
- stabilizzata artificialmente o naturalmente: se è stata protetta dalle sue cause originali da interventi di sistemazione o se il fenomeno franoso si è esaurito naturalmente, ovvero non è più influenzato dalle sue cause originali.
Dalla correlazione fra magnitudo e stato di attività è possibile ricavare una valutazione indicativa della pericolosità secondo lo schema di tab. 2.
Tab. 2
Magnitudo Stato di attività _________________________ M1 M2 M3 M4 ___________________________________________________________________ Stabilizzata naturalmente o artificialmente ......... P0 P0 P0 P1 Quiescente ................ P0 P1 P1 P2 Inattiva .................. P1 P1 P2 P3 Attiva o riattivata ....... P1 P2 P3 P4
Valutazione del rischio
Attraverso la metodologia descritta precedentemente si arriva alla determinazione, per ogni singolo evento franoso, del rischio individuato in base alla correlazione fra pericolosità, da un lato, e danno atteso, dall'altro.
Nella definizione di danno atteso entrano in gioco:
- gli elementi a rischio (E), rappresentati dalla popolazione, dalle abitazioni, dalle attività economiche e dai beni culturali che possono subire danni in conseguenza del verificarsi del fenomeno.
- la loro vulnerabilità, intesa come grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti al rischio, risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità.
La stima della vulnerabilità è estremamente complessa; essa infatti deve tenere conto dei seguenti elementi:
- probabilità che l'elemento a rischio sia interessato dal dissesto;
- presunta aliquota del valore dell'elemento a rischio che può essere persa nel caso che questo venga coinvolto;
- possibilità che sia messa in pericolo la vita di persone.
Ognuno degli elementi a rischio è caratterizzato da un certo valore e da una diversa predisposizione a subire un danno in conseguenza del fenomeno stesso.
Pertanto, nella definizione di danno atteso, si è ritenuto opportuno individuare 4 classi di elementi a rischio in funzione della loro vulnerabilità (tab. 3), considerando un valore di danno atteso conforme alle disposizioni dell'atto di indirizzo e coordinamento.
Tab. 3
Elementi a rischio E1 Aree sede di servizi pubblici e privati. Impianti sportivi e V ricreativi. Case sparse. Insediamenti agricoli e zootecnici. U Cimiteri L E2 Linee di comunicazione secondarie (strade provinciali e co- N munali). Acquedotti, fognature, impianti di depurazione e E trattamento rifiuti R E3 Nucleo abitato. Insediamenti artigianali e industriali. Im- A pianti D.P.R. n. 175/88. Infrastrutture di servizio (gasdot- B ti, elettrodotti). Linee di comunicazione principale (auto- I strade, strade statali, linee ferroviarie). Patrimonio am- L bientale e beni culturali (aree naturali protette, aree sot- I toposte a vincolo ai sensi della legge n. 1497 e n. 439) T E4 Centro abitato A'Attraverso dunque la combinazione dei due fattori pericolosità P ed elementi a rischio E, si arriva alla determinazione del rischio. Conviene ricordare che il rischio così calcolato non può essere inteso in termini assoluti ma è un elemento che, consentendo la comparazione di più situazioni, permette il raggruppamento in più classi dei vari dissesti in funzione del rischio relativo.
Da questo discende che se una situazione risulta appartenere ad una classe di rischio basso, ciò non implica che la situazione non sia "rischiosa" in termini assoluti ma piuttosto che, in una scala di priorità, essa è di ordine inferiore rispetto a situazioni che appartengono a categorie di rischio alto.
La tabella seguente (tab. 4) mostra le possibili combinazioni fra P ed E.
Tab. 4
Elementi a rischio ____________________________ E1 E2 E3 E4 _______________________________________________________ P0 R1 R1 R1 R1 P1 R1 R1 R2 R2 Pericolosità P2 R2 R2 R3 R4 P3 R2 R3 R4 R4 P4 R3 R3 R4 R4In via qualitativa, il significato delle classi di rischio individuate è riconducibile alle stesse definizioni dell'atto di indirizzo e coordinamento, che esprimono le conseguenze attese a seguito del manifestarsi dei dissesti e che nello schema seguente vengono richiamate:
R1 Rischio moderato: per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali;
R2 Rischio medio: per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture a al patrimonio ambientale che non pregiudicano l'incolumità del personale, l'agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;
R3 Rischio elevato: per il quale sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
R4 Rischio molto elevato: per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche.
Valutazione della pericolosità da esondazione
La valutazione della pericolosità di fenomeni di esondazione è funzione sia della probabilità di accadimento dell'evento che dell'intensità dello stesso. In tal senso la pericolosità può essere caratterizzata dai seguenti elementi:
- la probabilità di accadimento del fenomeno; questa può essere correlata al tempo di ritorno dell'evento di piena. A tal riguardo l'atto di indirizzo e coordinamento definisce, in base al tempo di ritorno, tre diverse probabilità:
- alta probabilità di inondazione per tempi di ritorno Tr di 20-50 anni;
- moderata probabilità di inondazione per tempi di ritorno Tr 100-200 anni;
- bassa probabilità di inondazione per tempi di ritorno Tr di 300-500 anni;
- l'intensità del fenomeno legata agli aspetti dinamici e volumetrici. L'intensità può essere in tal senso considerata assumendo come parametri rappresentativi l'estensione dell'area interessata dall'esondazione e il battente idraulico delle aree allagate.
Una prima valutazione della pericolosità viene pertanto desunta correlando le tre probabilità di piena con l'estensione dell'area interessata dall'esondazione.
Estensione area Probabilità dell'evento ________________________________________________ S < 1 Ha 1 Ha < S 10 Ha < S S > 100 Ha < 100 Ha < 100 Ha _____________________________________________________________________________ Alta Tr = 20-50 anni M2 M2 M3 M4 Moderata Tr = 100-200 anni M1 M2 M3 M3 Bassa Tr = 300-500 anni M1 M1 M2 M2 _____________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________ Magnitudo M1 M2 M3 M4 _____________________________________________________________________________ Battente H < 0,5 P1 P1 P2 P3 idraulico 0,5 < H 2,0 P1 P2 P3 P4 H in metri H > 2,0 P2 P3 P4 P4Combinando la pericolosità così valutata con gli elementi a rischio classificati in precedenza con la tab. 3 si ottiene la valutazione del rischio in base alla matrice appresso riportata:
Elemnti a rischio ____________________________ E1 E2 E3 E4 _______________________________________________________ P1 R1 R1 R2 R2 P2 R2 R2 R3 R4 Pericolosità P3 R3 R3 R4 R4 P4 R3 R3 R4 R4Ove R1, R2, R3, R4 sono già stati definiti e vengono qui di seguito riportati:
- R1 moderato: per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali;
- R2 medio: per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l'incolumità del personale, l'agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche;
- R3 elevato: per il quale sono possibili problemi per l'incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socio-economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale;
- R4 molto elevato: per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche.
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(1) Servizio geologico - Dipartimento servizi tecnici nazionali della Presidenza Consiglio dei Ministri - Progetto IFFI - Scheda di rilevamento luglio 2000 (semplificata).