
ASSESSORATO DELL'ECONOMIA
CIRCOLARE 24 ottobre 2018, n. 21
G.U.R.S. 9 novembre 2018, n. 48
Società in house e controllo analogo - Azione di responsabilità e danno erariale. Circolare esplicativa.
ALLE SOCIETA' PARTECIPATE DELLA REGIONE SICILIANA
e, p.c. AL PRESIDENTE DELLA REGIONE
UFFICIO DI DIRETTA COLLABORAZIONE
ALLA CORTE DEI CONTI - SEZIONE DI CONTROLLO DELLA REGIONE SICILIANA
1. Affidamenti diretti delle società in house e controllo analogo
L'ordinamento europeo e quello nazionale, come noto, ammettono la possibilità che un'amministrazione pubblica proceda all'affidamento diretto di un contratto pubblico, senza cioè gara pubblica, a società dotate di personalità giuridica controllate dalla stessa, a condizione che la prima eserciti sulla seconda un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti che la controllano.
Condizioni essenziali e legittimanti l'affidamento diretto sono i due c.d. requisiti Teckal, criteri cumulativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria e atti a giustificare la sottrazione di un servizio all'ambito di operatività delle regole dell'evidenza pubblica: la circostanza che l'affidamento abbia luogo in favore di soggetti che, sebbene giuridicamente distinti dall'amministrazione aggiudicatrice, costituiscano elementi del sistema che a tale amministrazione fanno capo, essendo soggetti a "controllo analogo", e il fatto che il destinatario dell appalto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell'amministrazione o delle amministrazioni che la controllano.
Nell'ipotesi in cui l'amministrazione aggiudicatrice eserciti un tale tipo di controllo sull'ente aggiudicatario, non ci si trova infatti di fronte a due soggetti distinti, ma ad un unico soggetto, in quanto l'amministrazione aggiudica il servizio ad un soggetto qualificabile alla stregua di un proprio organo o, in altre parole, di un prolungamento amministrativo della stessa.
Quando ricorre un'ipotesi siffatta, in definitiva, non si può ritenere sussistente un rapporto di terzietà tra amministrazione aggiudicatrice ed ente affidatario, giacchè il controllo esercitato dalla prima sul secondo è tale da annullare in modo completo la volontà negoziale e l'autonomia dell'ente stesso.
In siffatto contesto, va delimitato e specificato il contenuto del requisito del controllo analogo, che ha particolarmente impegnato dottrina e giurisprudenza.
Infatti per giustificare una deroga alle regole europee di evidenza pubblica, la sola partecipazione pubblica totalitaria è stata considerata un elemento necessario ma non sufficiente: il controllo analogo sulla società pubblica affidataria del servizio può ritenersi garantito solo dalla previsione espressa nell'atto costitutivo e nello statuto della società di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale a favore dell'amministrazione aggiudicatrice.
La giurisprudenza comunitaria e nazionale ha nel tempo delineato una serie di strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile, affermando che il controllo deve riguardare le attività fondamentali e di straordinaria amministrazione, il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico assegnati nonchè gli organi della società.
In particolare, la giurisprudenza ha precisato che, affinchè vi sia controllo analogo, si deve verificare se in concreto si realizzi "una sorta di amministrazione indiretta nella gestione del servizio, che resta saldamente nelle mani dell'ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull'attività della società affidataria la quale è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo (...). La struttura organizzativa deve, quindi, essere tale da consentire all'ente pubblico di esercitare la più totale ingerenza e controllo sulla gestione, nonchè, sull'andamento economico-finanziario, analogamente a quanto avrebbe potuto fare con un servizio gestito direttamente" (ex multis: Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 gennaio 2005, n. 168 e TAR Campania, Sez. I, 30 marzo 2005, n. 2784).
Il soggetto affidatario si presenta, quindi, come una sorta di "longa manus" dell'amministrazione affidante, pur conservando natura distinta e autonoma rispetto all'apparato organizzativo di questa.
In pratica questo tipo di controllo può esplicitarsi, in via esemplificativa:
- nell'obbligo di trasmissione e di preventiva approvazione dei documenti di programmazione e del piano industriale;
- nella facoltà di modifica degli schemi tipo di contratto di servizio;
- nel potere di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi assegnati anche sotto il profilo della efficacia, efficienza ed economicità;
- nell'approvazione da parte dell'amministrazione delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria e degli atti fondamentali della gestione (il bilancio, il budget, l'organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo);
- nella nomina e revoca di componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società da parte del soggetto controllante.
Per «controllo analogo», che l'amministrazione aggiudicatrice esercita sull'ente aggiudicatario, di conseguenza, deve sostanzialmente intendersi un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica (tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario) e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
Per una corretta delimitazione del requisito, alla luce dei riscontri giurisprudenziali vi è chi ha ritenuto necessario distinguere tra controllo strutturale e controllo gestionale.
Il primo ricorre nelle ipotesi in cui il soggetto controllante eserciti un potere di controllo sulla struttura e sugli organi del soggetto controllato: tale controllo, in linea generale, si manifesta nel potere di nomina della maggioranza dei soggetti che compongono gli organi di amministrazione, direzione o vigilanza del soggetto aggiudicatario;
il secondo ricorre nell'ipotesi in cui il soggetto controllante ha il potere di valutare la conformità dell'attività svolta dall'ente controllato ad un parametro legale, garantendo la conformità dell'azione.
Non escludendo il cumulo di controllo strutturale e controllo sull'attività all'interno di una stessa fattispecie, perchè si possa parlare di «controllo analogo» il controllo strutturale va considerato un presupposto (anche cronologicamente) necessario perchè possa parlarsi e regolarsi un controllo sull'attività.
Il controllo sull'ente affidatario, peraltro, non può essere esercitato da parte di un qualsiasi organismo di diritto pubblico, ma deve essere esercitato - direttamente o indirettamente - da quella stessa amministrazione che sia destinataria in via principale delle prestazioni del potenziale affidatario.
La giurisprudenza ha inoltre chiarito che, seppur in astratto, è configurabile un "controllo analogo" anche nel caso in cui il pacchetto azionario non sia detenuto direttamente dall'ente pubblico, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta dall'ente medesimo.
Il controllo analogo è riconosciuto anche allorquando il pacchetto azionario della società sia posseduto - anche in misura esigua per ciascuno - da una pluralità di enti pubblici.
Ciò in quanto, soddisfatta la condizione dell'esistenza di un capitale sociale interamente in mano pubblica, non riveste rilevanza l'esiguità della quota partecipativa di alcuni soggetti (cfr. TAR Lazio 16 ottobre 2007, n. 9988) non configurandosi quale elemento necessario il possesso del capitale sociale da parte di un solo ente pubblico ed, altresì, l'irrilevanza della misura percentuale nella partecipazione (o compartecipazione plurima) di enti pubblici, sempre che, beninteso, ricorra la condizione, di imprescindibile rilevanza, che gli stessi enti titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
In questo caso, però, la verifica sul "controllo analogo" si concentrerà necessariamente nel rinvenimento di clausole o prerogative che conferiscono agli enti partecipanti a quote societarie anche se esigue, effettive e concrete possibilità di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività
decisionale dell'organismo societario attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione).
Sul punto, in linea con la giurisprudenza europea (sentenza Coditel Brabant 13 novembre 2008 - Causa C 324/07) anche la giurisprudenza nazionale ha sviluppato e riconosciuto il tema del controllo analogo congiunto, chiarendo che gli enti partecipi di una società in house possono esercitare il controllo analogo collettivamente, deliberando a maggioranza all'interno degli organi sociali nei quali siedono i loro rappresentanti (cfr. Cons. St., Sez. V, sentenze nn. 1365/2009; 2765/2009; 5082/2009; 5808/2009).
Tale controllo, ammesso a condizione che sussista tra gli enti partecipanti una omogeneità degli interessi perseguiti, sarà da intendersi esercitabile in chiave non soltanto propulsiva o propositiva di argomenti da portare all'ordine del giorno del consesso assembleare bensi, e principalmente, comporterà anche poteri inibitivi di iniziative o di decisioni che si pongano in contrasto con gli interessi dell'ente nei cui confronti si esplica il servizio.
In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa (tra le tante Cons. St., Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8970), il controllo analogo "non postula necessariamente anche il controllo, da parte del socio pubblico, sulla società e, in via consequenziale, su tutta l'attività, sia straordinaria che ordinaria, essendo invece sufficiente che il controllo della mano pubblica sull'affidatario sia effettivo, ancorchè esercitato congiuntamente e deliberando a maggioranza dai singoli enti pubblici associati".
In conclusione, perchè sussista il controllo analogo, e di conseguenza la piena legittimità dell'affidamento in house, è "richiesta l'esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l'attività della società controllata" (Cons. St. sentenza n. 8970/2009).
Alla luce delle impostazioni adottate in giurisprudenza, quindi, il controllo analogo dev'essere configurato in termini diversi - e più intensi - rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l'ente concedente ritiene opportuni.
Ciò tuttavia non implica un'assenza di autonomia gestionale ed operativa dell'impresa controllata giacchè, una volta orientate le politiche aziendali da parte del socio affidante, gli organi di amministrazione, all'interno del quadro di direttive assegnato, sono dotati di capacità operativa autonoma.
Appare di conseguenza necessario stabilire un meccanismo di "governance" della società che, pur dovendo consentire a ciascun ente socio affidatario l'esercizio del "controllo analogo", non finisca con penalizzare l'operatività della società stessa.
Al riguardo appare utile precisare che proprio la nozione di controllo analogo conduce a ritenere che si sia in presenza di una posizione più forte rispetto a quella prevista nel diritto societario a favore del socio unico o di maggioranza, e che si caratterizza per un insieme di poteri, quali:
- la determinazione dell'odg del consiglio di amministrazione, che garantisce esattamente il controllo dell'indirizzo strategico ed operativo della società;
- l'indicazione dei dirigenti;
- l'elaborazione delle direttive di politica aziendale per garantire che le stesse non si evolvano in direzione contraria o comunque diversa dai semplici e stringenti bisogni tecnici dell' azionista.
Il quadro sin qui delineato va in parte rivisto alla stregua delle previsioni del T.U. n. 175/2016 e s.m.i. e del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i., i quali hanno profondamente modificato la disciplina delle società a partecipazione pubblica in forma e con modalità non scevre da profili di marcata contraddittorietà. Ad essi si aggiunge, altresì, quanto precisato dall'ANAC con le linee guida elaborate con riguardo alle procedure di iscrizione nell'apposito elenco, ai sensi dell'art. 192 del citato codice dei contratti pubblici.
Va poi ricordato che il D.lgs. n. 175 del 2016 e s.m.i. (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica"), nell'esercizio della controversa delega operata in materia dalla legge n. 124 del 2015, ha ridisegnato la disciplina delle società partecipate, con lo scopo di razionalizzare la materia, non senza far sorgere molteplici dubbi interpretativi che hanno riguardato anche l'istituto dell'in house.
Giova al riguardo premettere che il citato T.U. all'art. 1, comma 3, evidenzia la fluida demarcazione dei "confini" tra la disciplina pubblicistica e quella privatistica delle società in esame, stabilendo che "per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato".
Il profilo pubblicistico certamente rileva nella fase della costituzione della società partecipata che è sottoposta all'obbligo di una motivazione rinforzata da parte dell'amministrazione procedente.
Occorre, infatti, da un lato, una motivazione analitica (vincolo di motivazione), dall'altro la necessità che la società persegua finalità istituzionali (vincolo di scopo).
L'aggravamento del già generalizzato obbligo di motivazione degli atti amministrativi, se trova giustificazione nell'esigenza di limitare il ricorso, in taluni casi abnorme, al modulo organizzativo societario da parte della P.A. ed al fine di prevenire un uso non appropriato di risorse pubbliche - il T.U. sulle società partecipate ha quale finalità la razionalizzazione del sistema delle partecipazioni pubbliche, nell'ottica della riduzione della spesa pubblica e della promozione di adeguati livelli di pubblicità e trasparenza - non deve ritenersi tuttavia una limitazione alla capacità negoziale della P.A. nell'attività imprenditoriale in contrasto con l'art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241 del 1990 e s.m.i.
Ed infatti, giusta l'art. 5, comma 1, del T.U. n. 175/2016 ("Oneri di motivazione analitica") si stabilisce che "A eccezione dei casi in cui la costituzione di una società o l'acquisto di una partecipazione, anche attraverso aumento di capitale, avvenga in conformità a espresse previsioni legislative, l'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di cui all'articolo 17, o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all'articolo 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonchè di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa".
Il richiamato T.U. reca una puntuale disciplina dell'in house providing all'art. 2, comma 1, lett. o), secondo cui si considerano "società in house" quelle "sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3". Tale ultima disposizione, al successivo comma 7, coordina la disciplina con gli artt. 5 e 192 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i. (cd. "Codice dei contratti pubblici").
Ed infatti la prima norma del citato codice stabilisce i requisiti necessari per configurare la speciale relazione tra P.A. e società:
a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicato re di cui trattasi;
c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
Sulla scorta delle modalità di controllo possono individuarsi diverse modalità di in house: "frazionato" (o "pluripartecipato"), "verticale invertito" (o "capovolto"), "orizzontale", tramite società holding ("indiretto"), "a cascata".
In merito un rilevante riferimento deve esser rinvenuto nelle Linee guida ANAC n. 7, di attuazione del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 recanti "Linee Guida per l'iscrizione nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatari che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house prevista dall'art. 192 del d.lgs. n. 50/2016", approvate dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 235 del 15 febbraio 2017 ed aggiornate al D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 con deliberazione del Consiglio n. 951 del 20 settembre 2017.
Va poi ricordato che le linee guida sono state adottate in attuazione dell'art. 192, comma 1, del citato D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il quale, nell'esercizio della delega conferita dall'articolo 1, comma 1, lettera eee), della legge 28 gennaio 2016, n.11, ha istituito presso l'ANAC, «anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, un elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house».
La medesima disposizione precisa che «l'iscrizione nell'elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l'ANAC definisce con proprio atto», prevedendosi inoltre che «domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale».
L'art. 192, comma 1, ha così attribuito all'ANAC il potere di dettare disposizioni vincolanti sulla tenuta dell'elenco, nell'esercizio di un potere che si traduce in atti che non sono regolamenti in senso proprio (art. 213, comma 2, del codice), ma atti di regolazione flessibile, di portata generale e con efficacia vincolante, come tali sottoposti alle garanzie procedimentali e giustiziabili davanti agli organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'art. 120 del codice del processo amministrativo (cfr. parere Cons. Stato, Commissione speciale dell'1 aprile 2016, n. 855).
A tal fine, la disposizione richiamata prevede che l'Autorità definisca con proprio atto le modalità e i criteri per l'iscrizione nell'elenco, stabilendo che tale iscrizione avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti.
Per espressa previsione dell'art. 192, l'elenco è istituito «anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici», in aderenza al criterio di cui alla lettera eee) dell'articolo 1, comma 1 della legge delega n. 11 del 2016.
L'elenco consente, inoltre, di ottenere una rilevazione specifica, nell'ambito del più vasto settore delle società a partecipazione pubblica, di quella parte costituita da organismi partecipati qualificabili come organismi in house, in quanto in possesso di tutti i requisiti a tal fine prescritti dalla legge.
Esso può contribuire alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonchè alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica che costituiscono criteri guida anche del nuovo D.lgs. n. 175/2016, che richiede alle amministrazioni un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette.
Alla stregua del quadro sinteticamente delineato, in conclusione, può quindi affermarsi che - anche in presenza di puntuali interventi del legislatore e delle Autorità di regolazione - sulla scorta delle elaborazioni della richiamata giurisprudenza europea, la Corte di cassazione ha ritenuto necessaria la verifica, ai fini della configurazione dell'in house providing della compresenza, di tre presupposti od indici sintomatici.
Tali presupposti vanno pertanto rinvenuti:
1. nell'integrale detenzione del capitale sociale - o del patrimonio dell'ente - da parte di uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e dal contestuale divieto statutario di cederne le partecipazioni a privati;
2. nella circostanza che la società - o l'ente - esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3. nell'assoggettamento statutario della gestione a forme di controllo analoghe a quelle esercitata dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità ed intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (ex multis Corte di cassazione, SS.UU., 22 dicembre 2016, n. 26643).
2. Azione di responsabilità e danno erariale - competenza del giudice ordinario e del giudice contabile.
La giurisprudenza della suprema Corte di cassazione ha chiarito con nitore che con riferimento alla puntuale demarcazione del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, occorre aver riguardo al rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione, ma che per tale può intendersi anche una relazione con la pubblica amministrazione caratterizzata dal fatto di investire un soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, del compito di porre in essere in sua vece un'attività senza che rilevi nè la natura giuridica dell'atto di investitura nè quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica (Corte di cassazione, SS.UU., 3 luglio 2009, n. 15599; 31 gennaio 2008, n. 2289; 22 febbraio 2007, n. 4112; 20 ottobre 2006, n. 22513; 5 giugno 2000, n. 400; Sez. un., 30 marzo 1990, n. 2611).
Da ciò si è fatto discendere che va ricompreso nella giurisdizione della Corte dei conti anche l'accertamento della responsabilità erariale conseguente all'illecito o indebito utilizzo, da parte di una società privata, di finanziamenti pubblici (Corte di cassazione, SS.UU., 25 gennaio 2013, n. 1774; 9 gennaio 2013, n. 295, 5 giugno 2008, n. 14825) o delle responsabilità in cui può incorrere il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica, quando la concessione investa il privato dell'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, attribuendogli la qualifica di organo indiretto dell'amministrazione, onde egli agisce per le finalità proprie di quest'ultima (Corte di cassazione, SS.UU., n. 4112/07, cit).
Sul punto le Sezioni unite hanno ritenuto che sia da attribuire alla giurisdizione contabile, dopo l'entrata in vigore della legge n. 20 del 1994, art. 1, ultimo comma, la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto la responsabilità di privati funzionari di enti pubblici economici (quali, ad esempio, i consorzi per la gestione di opere) anche per i danni conseguenti allo svolgimento dell'ordinaria attività imprenditoriale e non soltanto per quelli cagionati nell'espletamento di funzioni pubbliche o comunque di poteri pubblicistici (Sez. Un., 22 dicembre 2003, n. 19667).
Ciò in quanto l'esercizio dell'attività amministrativa va rinvenuto non solo di fronte allo svolgimento di pubbliche funzioni e poteri autoritativi ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la conseguenza - si è precisato - che, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della Corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno (Corte di cassazione, SS.UU., 25 maggio 2005, n. 10973; 20 giugno 2006, n. 14101; 1 marzo 2006, n. 4511; Cass. 15 febbraio 2007, n. 3367).
Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici, i quali restano nell'alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, occorre stabilire entro quali limiti alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico, le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.
Va parimenti ricordato quanto poi precisato dalla giurisprudenza con riferimento alla scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private che implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.
Dall'identità dei diritti e degli obblighi facenti capo ai componenti degli organi sociali di una società a partecipazione pubblica, pur quando direttamente designati dal socio pubblico, logicamente discende la responsabilità di detti organi nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, nei medesimi termini - contemplati dagli artt. 2392 e segg. cod. civ. - in cui tali diverse possibili proiezioni della responsabilità sono configurabili per gli amministratori e per gli organi di controllo di qualsivoglia altra società privata.
Tuttavia non resta esclusa in via definitiva anche la proponibilità dell'azione del procuratore contabile, tesa a far valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima.
Tuttavia il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti perchè non implica alcun danno erariale, bensì si esplica unicamente in un danno sofferto da un soggetto privato (la società che patisce la mala gestio), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione e i cui originari conferimenti restano confusi e assorbiti nell'unico patrimonio sociale.
Quanto sin qui ricordato trova riscontro nell'impossibilità di realizzare, altrimenti, un soddisfacente coordinamento sistematico tra l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi al giudice contabile e l'esercizio delle azioni di responsabilità contemplate dal codice civile.
Con riguardo alla fattispecie è giunta da ultimo la pronuncia della Corte di cassazione SS.UU. n. 17188/2018.
Tale ulteriore arresto giurisprudenziale, se per un verso, consolida l'orientamento giurisprudenziale sul riparto di giurisdizione, ritenendo discriminante, ai fini della sussistenza di quella giuscontabile, che la società della quale gli amministratori sono ritenuti responsabili di un pregiudizio al patrimonio sociale, e conseguentemente al pubblico erario, sia da considerare o meno in controllo analogo, dall'altro, fornisce un utile spunto anche sulla irrilevanza di eventuali modifiche dell'assetto proprietario nel corso del giudizio che rafforzino i presupposti della pretesa risarcitoria azionata in sede giuscontabile.
In particolare la sentenza in esame, nel confermare i circoscritti presupposti per la sussistenza di profili responsabilità in capo ai rappresentati degli enti pubblici partecipanti ("il comportamento omissivo di coloro i quali rappresentano la parte pubblica all'interno della società partecipata si sia determinato un pregiudizio al valore della partecipazione societaria" ciò in quanto il socio pubblico che detiene una quota del patrimonio di una società privata "ha il dovere di fare tutto il possibile affinchè tale partecipazione venga indirizzata in vista del raggiungimento del miglior risultato possibile; per cui, se egli omette di compiere quanto è in suo potere in vista di tale obiettivo, egli in concreto determina la perdita di valore della sua quota di partecipazione all'interno della società, il che si traduce in un danno erariale"), in linea con la giurisprudenza sin qui richiamata, ha statuito che va ritenuta sussistente la giurisdizione della Corte dei conti esclusivamente quando l'azione di responsabilità trovi fondamento in comportamenti di amministratori o sindaci "tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio".
Ma quel che più rileva ai fini della ricostruzione effettuata, permane la giurisdizione del giudice ordinario sulle società a partecipazione mista anche nel caso in cui si verifichi, come accaduto nella fattispecie sulla quale si è pronunciata la suprema Corte, una trasformazione della compagine sociale a seguito dell' instaurazione del giudizio.
Nel senso che la sopravvenuta acquisizione totalitaria della partecipazione da parte della Regione non determina la riconoscibilità della giurisdizione al giudice contabile che era carente della stessa al momento nel quale il giudizio è stato incardinato, in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, dovendosi confermare la conclusione della consolidata giurisprudenza calendata per la quale non è in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti.
Sicchè, se in base alle previsioni dello statuto sociale vigenti alla data del fatto generatore della responsabilità contabile (gennaio 2014), la società regionale mista pubblico- privata (Sicilia e Servizi S.p.A.) "non poteva ritenersi una società in house, mancando sia il requisito della titolarità esclusiva del capitale sociale in mano pubblica, con conseguente divieto di cessione delle azioni a privati, sia il requisito del controllo analogo; per cui la sussistenza del terzo requisito, ossia quello dell'esercizio dell'attività prevalente a favore dei soci stessi, non contestato e comunque esistente, si rivela insufficiente", la giurisdizione contabile non può in alcun modo ritenersi suffragata dalla circostanza che in seguito a tale fatto generatore la partecipazione sia stata acquisita integralmente dalla Regione e che la società sia stata assunta in controllo analogo da quest'ultima.
Deve poi ricordarsi la distinzione, richiamata anche dalla sentenza, tra la responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della società (sancita per le società per azioni dagli articoli 2393 e seguenti e per le società a responsabilità limitata dall'art. 2476 del codice civile, commi 1, 3, 4 e 5) e la responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi (prevista e disciplinata, per le società azionarie, dall'art. 2395 del codice civile, per le società a responsabilità limitata, dallo stesso art. 2476 del codice civile, comma 6), ed in questa seconda fattispecie sussiste la giurisdizione del giudice contabile, volta a "far valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico quando questo sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima (classico caso è quello del danno all'immagine)".
La sentenza in commento se, per un verso, rafforza ulteriormente il già nitido orientamento della giurisprudenza della S. Corte di cassazione sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e contabile, anche con riguardo a fattispecie particolari come quella oggetto del giudizio, per altro verso, evidenzia ancor di più gli oneri che sussistono in capo al socio pubblico nel ponderare la sussistenza delle iniziative volte a far valere la responsabilità dell'amministratore che sia incorso in ipotesi di malagestio.
I più recenti orientamenti della giurisprudenza nomofilattica hanno così posto in rilievo che l'azione del procuratore contabile ha presupposti e caratteristiche profondamente diverse dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali sancite dal codice civile: in primo luogo l'una è obbligatoria, le altre discrezionali; la prima ha finalità precipuamente sanzionatoria (sicchè essa non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla malagestio dell'amministratore o dall'omesso controllo del vigilante, contemplandosi, ad esempio, la compensatio lucri cum damno o l'esercizio del potere riduttivo da parte del giudice), le azioni sociali hanno invece scopo sostanzialmente ripristinatorio; la prima richiede il dolo o la colpa grave, e solo in limitate ipotesi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; avuto riguardo alle azioni sociali e dei creditori sociali è sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi (Corte di cassazione, SS. UU., 2 settembre 2013, n. 20075).
In tal guisa, quindi, ai fini del riparto di giurisdizione deve precisarti che non risulta rilevante il carattere soggettivo, quanto piuttosto, in applicazione di un principio sostanzialistico, la natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate.
Conseguentemente deve ritenersi escluso il modello gestionale dell'affidamento in house per organismi non aventi precipua finalità lucrativa quali le fondazioni.
La figura dell'affidamento in house, infatti, trova la sua puntuale collocazione nell'ambito di attività economiche da svolgersi con criteri imprenditoriali e proprio in tale ambito può trovare spazio l'analisi dell'ente al fine di rinvenire un agire sul mercato in termini concorrenziali con altri soggetti economici: situazione questa che va del tutto esclusa, in ragione della statutaria previsione della Fondazione, di non perseguire fini di lucro (Corte di cassazione, SS.UU., 2 febbraio 2018, n. 2584).
Con il decreto n. 2590 del 22 ottobre 2018 dell'Assessore regionale per l'economia, in corso di pubblicazione, è stata data attuazione alle disposizioni di cui all'art. 2 della legge regionale 10 luglio 2018, n. 10.
Il decreto ha appositamente disciplinato in maniera strutturale i controlli sulle società partecipate dalla Regione, con successiva circolare saranno diramate le opportune direttive applicative su tali controlli.
L'Assessore: ARMAO