
MINISTERO DELLE IMPRESE E DEL MADE IN ITALY
CIRCOLARE 18 settembre 2024
- Allegata al Comunicato Ministero Imprese e Made in Italy pubblicato nella G.U.R.I. 5 ottobre 2024, n. 234
Linee guida sulla dichiarazione della quantità degli ingredienti (art. 22 del regolamento (UE) n. 1169/2011), nonché ulteriori informazioni per la corretta applicazione delle disposizioni riguardanti l'etichettatura di taluni prodotti alimentari.
PREMESSE
Si premette che questo Ministero ha già fornito agli operatori economici e alle autorità di controllo chiarimenti su specifiche tematiche legate all'etichettatura degli alimenti, spesso a seguito di quesiti pervenuti dalle associazioni di categoria o da singole aziende. In particolare, sono state emanate:
- la circolare n. 165 del 31 marzo 2000 del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato recante "Linee guida relative al principio della dichiarazione della quantità degli ingredienti (art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992 nonché ulteriori informazioni per la corretta applicazione delle disposizioni riguardanti l'etichettatura dei prodotti alimentari" (G.U. del 92 del19 aprile 2000);
- la circolare n. 167 del 2 agosto 2001 del Ministero delle attività produttive "Etichettatura e presentazione di prodotti alimentari" (G.U. n. 185 del 10 agosto 2001);
- la circolare n. 168 del 10 novembre 2003 del Ministero delle attività produttive "Etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari" (G.U. n. 4 del 7 gennaio 2004);
- la circolare n. 168/bis del 25 marzo 2004 del Ministero delle attività produttive "Etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari" (G.U. n. 74 del 29 marzo 2004). Successivamente all'adozione delle suddette circolari ministeriali, la disciplina dell'etichettatura degli alimenti è stata oggetto di interventi normativi, sia a livello europeo che nazionale; più specificamente, è stato adottato il regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nonché la conseguente disciplina nazionale di cui al decreto legislativo n. 231/2017 che reca la "Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011", relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della Direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 170/2016 "Legge di delegazione europea 2015".
A seguito dell'entrata in vigore di tali norme generali, così come di altre normative che disciplinano specifici prodotti, si ritiene opportuno procedere all'aggiornamento delle circolari citate, attualizzando tutti i riferimenti normativi. Inoltre, allo scopo di rendere maggiormente fruibili le indicazioni destinate agli operatori, si è ritenuto conveniente unificarne il contenuto nel presente documento.
Il seguente testo è il risultato dei lavori del sottogruppo "Circolari", costituito in seno al Tavolo Agroindustria operante presso questo Ministero.
SEZIONE I
DICHIARAZIONE DELLA QUANTITA' DEGLI INGREDIENTI (QUID)
La presente circolare tiene conto anche della Comunicazione della Commissione sull'applicazione del principio della dichiarazione della quantità degli ingredienti (QUID) (2017/C 393/05) ed è stata redatta allo scopo di fornire i necessari orientamenti per l'applicazione dell'indicazione quantitativa degli ingredienti - in seguito detta QUID - che figurano nella denominazione di vendita, che sono posti in rilievo nell'etichettatura o che sono essenziali per caratterizzare l'alimento.
Si richiama a tal proposito l'attenzione circa l'obbligo suddetto, che riguarda solo gli ingredienti e non i componenti naturalmente presenti nei prodotti alimentari. Pertanto, il QUID non si applica, ad esempio, alla caffeina, alle vitamine e ai sali minerali contenuti rispettivamente nel caffè o nei succhi e nettari di frutta.
CAPO I
OBBLIGO DI INDICARE IL QUID
Con riferimento all'art. 22 lettera A) del regolamento (UE) n. 1169/2011, il QUID è obbligatorio:
1. qualora l'ingrediente di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (es.: pasta all'uovo, yogurt alle fragole, panettone al cioccolato, cotoletta di merluzzo);
2. qualora la categoria di ingredienti di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (es.: bastoncini di pesce impanati, torta alla frutta, zuppa di pesce).
Per "categoria di ingredienti" si intende la designazione generica, il cui uso è consentito ai sensi dell'allegato VII Parte B del regolamento (UE) n. 1169/2011, nonché ogni analogo termine generico che, anche se non figura in tale allegato, è generalmente utilizzato per designare un prodotto alimentare (es.: proteine vegetali, verdure, legumi, frutta, cereali, pesce, molluschi, crostacei, frutti di bosco).
Se la denominazione di vendita identifica un prodotto composto, senza porre in evidenza alcun ingrediente (es.: torrone), non è richiesta alcuna indicazione percentuale di ingredienti, mentre nel caso in cui venga posto in evidenza un ingrediente ne è richiesta l'indicazione della percentuale (ad. es. nel torrone alle mandorle o alle nocciole è richiesta l'indicazione percentuale di mandorle o di nocciole).
Quando nella denominazione di vendita figura un ingrediente composto (es.: la crema nel biscotto alla crema) deve essere indicata la percentuale di tale ingrediente (crema x%). La menzione della farcitura o del ripieno, senza ulteriori specificazioni, tuttavia, non comporta l'obbligo del QUID (es.: biscotto farcito, olive farcite, pasta fresca con ripieno) in quanto nessun ingrediente viene specificato.
Qualora, poi, sia indicato anche un ingrediente dell'ingrediente composto, di esso va indicata altresì la percentuale
In tal caso, la percentuale dell'ingrediente può essere calcolata con riferimento all'ingrediente composto (es.: wafer con crema alle nocciole: crema alle nocciole x% - nocciole x%).
Si rilevano sul mercato prodotti alimentari che sono commercializzati con denominazioni di vendita che non fanno riferimento ad alcun ingrediente particolare, quale ad esempio il "surimi", il quale è un prodotto della pesca ottenuto generalmente da merluzzo di Alaska ma anche da altre specie di pesce. Questo prodotto viene generalmente utilizzato quale ingrediente di preparazioni alimentari.
Per la corretta applicazione del QUID occorre riferirsi ai seguenti principi:
- la denominazione "surimi", anche se con riferimento ad una specie di pesce, non comporta l'obbligo di indicazioni percentuali trattandosi di prodotto destinato a lavorazione industriale e costituito essenzialmente da quel pesce;
- l'impiego del surimi nella produzione di preparazioni alimentari a base di surimi comporta l'obbligo dell'indicazione percentuale del surimi e, se viene evidenziata la specie ittica, va indicata la percentuale anche di questa.
Si ritiene altresì utile evidenziare che la messa in evidenza di un ingrediente composto nella denominazione di vendita di un prodotto finito non comporta necessariamente l'obbligo della sua designazione con lo stesso nome nell'elenco degli ingredienti. Ad esempio la crema alle nocciole, di cui all'esempio precedente, può figurare, nell'elenco degli ingredienti dei "wafers con crema di nocciole", sia con il suo nome "crema di nocciole" sia mediante l'elencazione dei singoli ingredienti che la compongono.
Un ulteriore esempio è il biscotto al cioccolato fondente: nell'elenco degli ingredienti il cioccolato può figurare sia con la parola "cioccolato fondente" sia mediante l'elencazione dei suoi ingredienti.
Giova tuttavia ricordare che l'ingrediente composto, salvo nei casi previsti dall'allegato VII Parte E punto 2, deve essere menzionato sempre mediante l'elencazione dei suoi componenti. A titolo esemplificativo, nel caso di una torta a base di confettura di albicocche (30%), nell'elenco degli ingredienti della torta, dopo la menzione della "confettura di albicocche" bisogna indicare tutti gli ingredienti della confettura (zucchero, albicocche, ecc.) e con la menzione del 30%, a meno che detta percentuale non figuri nella denominazione di vendita accanto alla dicitura "confettura di albicocche". In quest'ultimo caso, nell'elenco degli ingredienti della torta può essere omessa l'indicazione "confettura di albicocche" e gli ingredienti di quest'ultima diventano ingredienti della torta da menzionare in ordine ponderale decrescente;
3. qualora l'ingrediente sia generalmente associato dal consumatore alla denominazione di vendita.
Tale fattispecie trova raramente applicazione, in quanto è residuale rispetto alle altre previsioni. Pertanto, non deve condurre automaticamente ad associare ad ogni denominazione di vendita un ingrediente specifico con la conseguenza di renderlo sempre obbligatorio.
Si fa riferimento, infatti, a quei prodotti che sono presentati al consumatore con nomi consacrati dall'uso, non accompagnati da denominazioni descrittive. In tal senso, un criterio che consenta di determinare gli ingredienti che possono essere abitualmente associati a detti prodotti è il riferimento agli ingredienti principali, di particolare valore per la composizione del prodotto e che il consumatore si aspetta di trovare all'interno dello stesso, a condizione che non rientrino in una delle esenzioni previste.
A titolo esemplificativo, si fa riferimento ai biscotti savoiardi, i quali sono particolarmente caratterizzati dalla presenza di uova, che il consumatore è portato ad associare alla denominazione del biscotto, anche se le uova non sono poste in rilievo nell'etichettatura, ma indicate solo nell'elenco degli ingredienti. In tal caso va indicata la percentuale di uova utilizzate. Un altro esempio è lo strudel, che è un prodotto dolciario all'interno del quale il consumatore si aspetta la presenza di frutta (mela o altro frutto). Se il frutto è posto in evidenza direttamente dal produttore nell'etichettatura "strudel di mele", non v'è dubbio che ricorrono le condizioni per la sua indicazione. Tuttavia, anche in mancanza di uno specifico riferimento, l'indicazione della quantità di frutta va menzionata.
Parimenti, con riferimento alle carni in scatola, qualunque sia la denominazione di vendita utilizzata, il consumatore associa al prodotto la presenza di carne, di cui occorrerà fornire la quantità.
L'obbligo, invece, non sussiste nel caso di prodotti fabbricati essenzialmente o totalmente a partire da un solo ingrediente (es: prodotti di salumeria, polenta, gorgonzola) o da una sola categoria di ingredienti (es.: latticini). Per tali prodotti, se composti anche da altri ingredienti (formaggio alle noci, gorgonzola al mascarpone) l'obbligo dell'indicazione del QUID riguarderà esclusivamente l'ingrediente diverso da quello fondamentale;
Con riferimento all'art. 22 lettera B) del regolamento (UE) n. 1169/2011 il QUID è obbligatorio:
1. qualora l'ingrediente o la categoria di ingredienti sia evidenziato nell'etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica.
La disposizione si applica:
a) quando un ingrediente è messo in rilievo nell'etichettatura di un prodotto alimentare, in luogo diverso da quello ove figura la denominazione di vendita, (con indicazioni del tipo "al burro"; "con panna"; "alle fragole"; "con prosciutto"), ovvero con caratteri di dimensione, colore e/o stile diverso per richiamare su di esso l'attenzione dell'acquirente, anche se non figura nella denominazione di vendita. Ne è un esempio il caso di un prodotto dolciario da forno, con un'immagine o un'illustrazione ben visibile, che pone in evidenza la presenza di pezzettini di cioccolato;
b) quando una rappresentazione grafica è utilizzata per enfatizzare selettivamente uno o più ingredienti. A titolo di esempio:
- nel caso di un'immagine o di un disegno di una mucca, per mettere in rilievo ingredienti di origine lattiero-casearia come il latte o il burro;
- un'immagine o un disegno di pesci, di una zuppa di pesce o di una insalata di mare con la messa in evidenza solo di alcuni (crostacei, aragosta, ecc.) va menzionata la quantità di tutti i pesci evidenziati. Tale disposizione non va applicata:
a) quando l'immagine rappresenta il prodotto alimentare venduto, ovvero quando una rappresentazione grafica è destinata a suggerire come preparare il prodotto (come l'illustrazione del prodotto presentato assieme ad altri prodotti che possono accompagnarlo), a condizione che l'illustrazione sia inequivocabile e non metta in evidenza in altro modo il prodotto venduto e/o alcuni dei suoi ingredienti;
b) quando l'immagine rappresenta tutti gli ingredienti del prodotto, senza metterne in rilievo uno, ad esempio la rappresentazione grafica di tutte le verdure usate in un minestrone, di tutti i pesci usati in una insalata di mare o delle specie di frutta in uno yogurt alla frutta;
c) quando si tratta di una preparazione alimentare e la rappresentazione grafica illustra le modalità di preparazione, conformemente alle istruzioni per l'uso;
d) quando l'immagine non è destinata a enfatizzare la presenza di un ingrediente e rappresenta solo una raffigurazione paesaggistica, quali un campo di frumento o delle spighe sulle confezioni di pasta alimentare o di prodotti da forno.
Con riferimento all'art. 22 lettera C) del regolamento (UE) n. 1169/2011 il QUID è obbligatorio:
1. qualora l'ingrediente o la categoria di ingredienti sia essenziale per caratterizzare un prodotto alimentare e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso per la denominazione di vendita o per l'aspetto.
Tale disposizione mira a soddisfare le esigenze dei consumatori in quegli Stati membri dove la composizione di certi prodotti è regolamentata e/o dove i consumatori associano taluni nomi ad una composizione specifica. Per questo motivo la gamma di prodotti che può rientrare in questa disposizione è molto limitata e riguarda esclusivamente quei prodotti che differiscono nella composizione tra un paese e l'altro, ma che sono venduti con lo stesso nome o con nomi similari. Nella comunicazione della Commissione Europea 2017/C 393/05 vengono individuati i seguenti casi:
- maionese,
- marzapane.
L'obbligo di indicare il QUID si applica soltanto se sono soddisfatte cumulativamente due condizioni: l'ingrediente o la categoria di ingredienti deve essere essenziale o per caratterizzare l'alimento, e o per distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto.
Ad esempio, affinché una bibita possa essere denominata "Aranciata" occorre che sia prodotta con una determinata quantità di succo di arancia, che varia da Paese a Paese. Onde evitare che il consumatore possa essere tratto in errore nella scelta del prodotto, in relazione all'ingrediente essenziale, l'indicazione della quantità di succo utilizzato è obbligatoria. Tale regola, comunque, in Italia, si applica già da diversi anni e non rappresenta, pertanto, un elemento di novità.
CAPO II
DEROGHE DALL'OBBLIGO DI INDICARE IL QUID
L'allegato VIII del regolamento (UE) n. 1169/2011 descrive i casi in cui il QUID non è richiesto:
1. per un ingrediente o una categoria di ingredienti
a) il cui peso netto sgocciolato è indicato conformemente all'allegato IX, punto 5 (quando un alimento solido è presentato in un liquido di copertura, viene indicato anche il peso netto sgocciolato di questo alimento) in quanto la quantità dell'ingrediente o della categoria di ingredienti può essere dedotta dai pesi indicati. Ad esempio: Pesche allo sciroppo (X g - sgocciolato X g).
Quando l'alimento è stato glassato, il peso netto indicato dell'alimento non include la glassatura.
Ai sensi del presente punto, per «liquido di copertura» si intendono i seguenti prodotti, eventualmente mescolati e anche quando si presentano congelati o surgelati, purché il liquido sia soltanto accessorio rispetto agli elementi essenziali della preparazione in questione e non sia pertanto decisivo per l'acquisto: acqua, soluzioni acquose di sali, salamoia, soluzioni acquose di acidi alimentari, aceto, soluzioni acquose di zuccheri, soluzioni acquose di altre sostanze o materie edulcoranti, succhi di frutta o ortaggi nei casi delle conserve di frutta o ortaggi.
Quando l'etichettatura dei prodotti presentati in un liquido di copertura non contemplato nella lista precedente, contiene, come indicazione volontaria, una dicitura relativa alla quantità di prodotto sgocciolato, l'indicazione del QUID non è richiesta.
Ad esempio: Tonno all'olio (X g - sgocciolato X g).
Per i prodotti presenti in un liquido di copertura di cui alla lista precedente, è obbligatorio il doppio peso (totale e sgocciolato), mentre negli altri casi (prodotti all'olio, alle acquaviti, ecc.) può essere indicato o il doppio peso o la percentuale dell'ingrediente di cui si tratta. A titolo di esempio:
- Nel caso di "ciliegie in alcool o acquavite", poiché l'elemento caratterizzante è dato dalle ciliegie e non dall'alcool o dall'acquavite, l'indicazione QUID deve riguardare le ciliegie;
- Nel caso di preimballaggi contenenti acquavite di pera Williams e relativa pera, non è necessario indicare il doppio peso né il QUID, perché la pera è solo di decorazione, non essendo destinata al consumo.
Si ritiene utile chiarire che non è prescritto alcun obbligo di indicazione della quantità all'origine, se l'operatore non può preparare i preimballaggi a gamme unitarie costanti.
b) la cui quantità deve già figurare sull'etichettatura in virtù delle disposizioni dell'Unione.
Le disposizioni dell'Unione europea menzionate in tale punto sono elencate nella tabella riportata di seguito. Il QUID non è richiesto se la legislazione prevede già l'indicazione sull'etichetta della quantità dell'ingrediente o della categoria di ingredienti in questione. Tuttavia, nel caso dei nettari e delle confetture prodotti con due o più frutti, evidenziati singolarmente sull'etichetta mediante parole o immagini o citati singolarmente nella denominazione dell'alimento, è obbligatorio indicare anche la quantità o la percentuale di tali ingredienti.
Direttiva 1999/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio | Estratti di caffè ed estratti di cicoria (articolo 2) |
Direttiva 2000/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio | Prodotti di cacao e di cioccolato (articolo 3) |
Direttiva 2001/112/CE del Consiglio | Succhi di frutta e altri prodotti analoghi (articolo 3, paragrafo 7: contenuto di frutta nel nettare) |
Direttiva 2001/113/CE del Consiglio | Confetture, gelatine e marmellate di frutta e crema di marroni(articolo 2) |
.
c) che è utilizzato in piccole quantità a fini di aromatizzazione. La deroga non si limita agli «aromi» come definiti nel regolamento (CE) n. 1334/2008, ma si applica a ogni ingrediente (o categoria di ingredienti) utilizzato in piccole dosi per aromatizzare un alimento (per esempio aglio, piante ed erbe aromatiche o spezie in qualsiasi prodotto utilizzati, bevande analcoliche di thè, vini e vini liquorosi nei prodotti di salumeria).
Il concetto di "piccole dosi" va valutato in relazione all'ingrediente utilizzato e al suo potere aromatizzante (per esempio: patatine al gusto di gamberetti, pomodori pelati con foglia di basilico, caramella al limone, maionese al limone, risotto allo zafferano o al tartufo). Si ritiene utile precisare che il regolamento (UE) n. 787/2019 stabilisce le denominazioni di vendita dei liquori di frutta e di piante, che possono essere ottenuti anche a partire solamente da aromi e non necessariamente da frutta o da piante. Per tali prodotti, pertanto, non è richiesta l'indicazione del QUID.
d) che, pur figurando nella denominazione dell'alimento, non è suscettibile di determinare la scelta del consumatore nel paese di commercializzazione, poiché la variazione di quantità non è essenziale per caratterizzare l'alimento o tale da distinguerlo da altri prodotti simili. Tale disposizione prevede l'esenzione dell'obbligo di indicare il QUID nei casi in cui la quantità di un ingrediente indicato nel nome di un prodotto alimentare non influenzi la decisione del consumatore di acquistare o meno il prodotto ovvero un prodotto invece che un altro analogo. E' il caso di prodotti fabbricata principalmente a partire dall'ingrediente o dalla categoria di ingredienti citati in denominazione.
L'esenzione si applica anche quando la stessa denominazione è ripetuta su più parti dell'imballaggio del prodotto.
Ne sono esempi:
- Liquori di frutta;
- Concentrato di pomodoro;
- Pasta di semola di grano duro;
- Passata di pomodoro;
- Cereali per la prima colazione;
- Pasta di acciughe.
Anche nel caso di formaggi fusi, che sono prodotti a partire da formaggi ed altri ingredienti lattieri e la cui etichettatura non pone in evidenza la presenza di un particolare tipo di formaggio, opera l'esenzione dall'obbligo del QUID.
L'indicazione del QUID è richiesta, invece, se il nome dell'ingrediente è messo in rilievo e, in particolare, quando figura in un punto diverso dalla denominazione di vendita, fra le indicazioni che attirano l'attenzione dell'acquirente sulla presenza di tale ingrediente.
2. L'indicazione quantitativa non è richiesta anche quando disposizioni specifiche dell'Unione europea determinano in modo preciso la quantità degli ingredienti o della categoria d'ingredienti senza prevederne l'indicazione sull'etichettatura. Nella legislazione dell'Unione europea non esistono disposizioni che determinano con precisione la quantità degli ingredienti, senza prevederne l'indicazione nell'etichettatura. L'allegato VIII, punto 1, lettera b), del Regolamento prevede una «quantità precisa». L'imposizione di una quantità minima di un ingrediente non costituisce un motivo di deroga a norma di questa disposizione.
3. L'indicazione quantitativa non è richiesta nei casi di cui all'allegato VII, parte A, punti 4 e 5. (Miscugli di frutta o ortaggi, inclusi i funghi, miscugli di spezie o di piante aromatiche in cui nessun ingrediente abbia una predominanza di peso significativa).
L'indicazione del QUID non è altresì richiesta nel caso di ingredienti le cui quantità sono distintamente indicate. Taluni prodotti costituiti da due o più ingredienti sono posti in vendita con l'indicazione in etichetta delle rispettive quantità, pur costituendo un'unica unità di vendita. In tal caso non è richiesta anche l'indicazione del QUID. Ne è un esempio lo yogurt ai cereali, di cui sono indicate le quantità di yogurt (150 g) e di cereali (15 g).
L'allegato VIII punto 2 del regolamento (UE) n. 1169/2011 prevede che l'articolo 22, paragrafo 1, lettere a) e b) del Regolamento stesso, non si applica nel caso:
1. di ingredienti o di categorie di ingredienti recanti l'indicazione «con edulcorante(i)» o «con zucchero(i) ed edulcorante(i)» quando la denominazione dell'alimento è accompagnata da tale indicazione conformemente all'allegato III;
oppure
2. di vitamine o di sali minerali aggiunti, quando tali sostanze devono essere oggetto di una dichiarazione nutrizionale.
Inoltre, l'obbligo del QUID non si applica ai prodotti di cui all'art. 19 (vendita di prodotti non preimballati) e 20 (prodotti non destinati al consumatore) del decreto legislativo 15.12.2017 n. 231, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8 punto 8 del regolamento (UE) n. 1169/2011. Da ultimo, si richiama l'attenzione sul fatto che le norme di etichettatura previste dal regolamento (UE) n. 1169/2011 riguardano unicamente i prodotti destinati alla vendita al consumatore (consumatore finale e collettività). Resta fermo quanto previsto dall'articolo 8 comma 7 del regolamento (UE) n. 1169/2011, in quanto la relativa conformità, ai fini dell'informazione dei consumatori, va garantita al momento della loro immissione nel circuito distributivo per la vendita al consumatore stesso.
CAPO III
FORME DI ESPRESSIONE DEL QUID
L'indicazione della quantità di un ingrediente o di una categoria di ingredienti di cui all'allegato VIII, punto 3, lettera a) del regolamento (UE) n. 1169/2011 è espressa in percentuale e corrisponde alla quantità dell'ingrediente o degli ingredienti al momento della loro utilizzazione. Tale quantità non va, quindi, verificata sul prodotto finito ma analizzando la ricetta all'origine, così come avviene per gli ingredienti indicati in ordine ponderale decrescente.
L'indicazione della quantità degli ingredienti trasformati può essere accompagnata da diciture quali "equivalente crudo/fresco/all'origine", che aiuterebbero il consumatore a confrontare prodotti analoghi, nei quali gli ingredienti sono incorporati in stati fisici diversi.
Nel caso di "tonno all'olio d'oliva", ad esempio, essendo il tonno utilizzato previa cottura, la formulazione potrebbe essere la seguente: "Tonno cotto x%, equivalente a... g di tonno crudo". Anche nel caso delle carni in scatola, essendo la carne utilizzata previa cottura, la formulazione potrebbe essere la seguente: "carni bovine cotte x% equivalente a... g di carne cruda".
Le quantità indicate nell'etichettatura designano la quantità media dell'ingrediente o della categoria di ingredienti da citare. Per quantità media dell'ingrediente o della categoria di ingredienti si intende la quantità dell'ingrediente o della categoria di ingredienti ottenuta rispettando la ricetta e la buona pratica di fabbricazione, tenendo conto delle variazioni che si producono nel quadro della buona pratica di produzione.
L'indicazione della quantità di un ingrediente figura nella denominazione dell'alimento o immediatamente accanto a tale denominazione, o nella lista degli ingredienti in rapporto con l'ingrediente o la categoria di ingredienti in questione, così come previsto dall'allegato VIII punto 3 lett. b). Per i prodotti esentati dall'obbligo dell'indicazione degli ingredienti, la quantità deve figurare necessariamente nella denominazione di vendita.
Qualora tale indicazione debba accompagnare la denominazione di vendita, si evidenzia che non sono previste particolari modalità di indicazione oltre quanto espressamente detto. Se la denominazione di vendita è ripetuta più volte, tale indicazione può essere fornita una sola volta e non necessariamente sulla facciata principale, purché riportata in maniera visibile e chiaramente leggibile.
In deroga al punto 3 dell'Allegato VIII:
1. per gli alimenti che hanno subito una perdita di umidità in seguito al trattamento termico o di altro tipo, la quantità è indicata in percentuale corrispondente alla quantità dell'ingrediente o degli ingredienti utilizzati, in relazione col prodotto finito, tranne quando tale quantità o la quantità totale di tutti gli ingredienti menzionati sull'etichettatura supera il 100 %, nel qual caso la quantità è indicata in funzione del peso dell'ingrediente o degli ingredienti utilizzati per preparare 100 g di prodotto finito. In un prodotto a base di carne, ad esempio, la percentuale di carne utilizzata può risultare superiore al 100 % nel prodotto finito. In tal caso si dirà: "carne bovina 130 g per 100 g di prodotto finito". Restano valide le disposizioni che prevedono diverse modalità di indicazione della presenza dell'ingrediente rispetto al prodotto finito. Ad esempio: gli zuccheri nelle confetture di cui al decreto legislativo n. 50/2004, laddove è prescritto che gli stessi vanno indicati con la formula "zuccheri totali......% per 100 grammi di prodotto", in quanto la quantità risulta superiore a quella effettivamente impiegata;
2. la quantità degli ingredienti volatili è indicata in funzione della loro proporzione ponderale nel prodotto finito (es. per lo champagne nei prodotti da forno, la quantità percentuale è indicata in funzione del peso nel prodotto finito);
3. la quantità degli ingredienti utilizzati sotto forma concentrata o disidratata e ricostituiti durante la fabbricazione può essere indicata sulla base della loro proporzione ponderale così come registrata prima della loro concentrazione o disidratazione;
4. quando si tratta di alimenti concentrati o disidratati da ricostituirsi mediante l'aggiunta di acqua, la quantità degli ingredienti può essere indicata sulla base della loro proporzione ponderale nel prodotto ricostituito.
SEZIONE II
CHIARIMENTI SU SPECIFICHE PREVISIONI NORMATIVE
Questo Ministero è intervenuto in più occasioni per chiarire la portata di norme di particolare rilievo in tema di etichettatura degli alimenti e fornire informazioni per una corretta ed uniforme loro applicazione sia da parte delle imprese che da parte degli organi di vigilanza. Con la presente vengono pertanto forniti di seguito alcuni chiarimenti in ordine a specifiche previsioni normative.
PRODOTTI PREIMBALLATI E NON PREIMBALLATI
Le nozioni di "prodotto preincartato" e "prodotto preconfezionato" equivalgono e corrispondono alle nuove definizioni contenute nel regolamento (UE) n. 1169/2011, rispettivamente nell'art. 44 (alimenti non preimballati) e nell'art. 2, comma 2 lett.e) (alimenti preimballati).
Si precisa che per il burro la legge 23 dicembre 1956, n. 1526 prevede all'art. 4 che "Il burro destinato al consumo diretto deve essere posto in vendita in imballaggi preconfezionati ovvero in involucri ermeticamente chiusi all'origine ovvero in involucri sigillati"; pertanto il burro destinato al consumatore può anche essere semplicemente "preimballato", senza alcun obbligo di chiusura ermetica o di apposizione di sigilli.
VENDITA DI PRODOTTI NON PREIMBALLATI
La definizione di "prodotti non preimballati", come sopra specificato, deriva dal regolamento (UE) n. 1169/2011. Tali prodotti includono gli alimenti senza preimballaggio, gli alimenti imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore e gli alimenti preimballati per la vendita diretta. Con riferimento a quest'ultimo caso, si tratta di prodotti imballati su luoghi di vendita per essere venduti a libero servizio, senza l'assistenza di un addetto, generalmente costituiti da una confezione o da un involucro protettivo. L'articolo 19 del decreto legislativo 231/2017 (conformemente a quanto previsto dall'art 44 del Regolamento 1169/2011 che lascia agli Stati Membri, per questa tipologia di prodotti, la facoltà di adottare norme nazionali) stabilisce le modalità di etichettatura da seguire.
Per tali prodotti vi è la possibilità di applicare il talloncino del peso e del prezzo al momento della vendita, a meno che il prodotto non venga pesato alla presenza dell'acquirente. La dicitura "da vendersi a peso", non richiesta da alcuna norma, è superflua, in quanto, come per qualsiasi altra indicazione obbligatoria, la quantità deve, in ogni caso, figurare sull'unità al momento dell'offerta in vendita.
Si richiama l'attenzione, al riguardo, sull'obbligo dell'indicazione della data di scadenza previsto dall'art. 19, comma 2, lett. b) del decreto legislativo n. 231/17, che - giova ribadire - deve figurare, con la dicitura «da consumarsi entro» seguita dalla data stessa, solamente sulle paste fresche di cui al D.P.R. n. 187/2001 (categoria nella quale non sono comprese le paste stabilizzate). Gli altri prodotti ne sono esenti.
INVOLGENTE PROTETTIVO
L'art. 12 del decreto ministeriale 21 dicembre 1984 (regolamento di esecuzione della legge n. 441/1981, concernente la vendita a peso netto delle merci) fornisce, ai fini della determinazione della tara, la definizione di involgente protettivo.
In tale articolo sono riportati taluni esempi di prodotti che non rientrano, per loro natura, nel concetto di tara, quali i budelli degli insaccati, lo spago e la corda che avvolge taluni formaggi come il provolone, o l'incarto dei formaggi molli "nonché' ogni altro involgente similare". In tale categoria di involgenti rientrano il cryovac e l'alluminio destinati ad avvolgere prosciutti cotti o crudi disossati, mortadelle ed altri salumi interi nei quali tali prodotti vengono posti prima della pastorizzazione, nonché la paraffina, generalmente usata su taluni formaggi.
Si precisa, pertanto, che l'elencazione dei materiali e dei prodotti suddetti è solo esemplificativo. Si ritiene utile evidenziare, poi, che la definizione di involgente protettivo è data unicamente al fine di definire il concetto di tara, e, pertanto, il fatto che un prodotto abbia o meno un involgente protettivo non lo qualifica ai fini delle nozioni di "preimballato" o "non preimballato" ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/2011, e del decreto legislativo n. 231/17.
PRODOTTI POSTI IN CONFEZIONE O INVOLUCRO PROTETTIVO
I prodotti alimentari ai quali è stata riconosciuta la denominazione DOP o IGP, qualora vengano venduti, previo affettamento o porzionamento in assenza dell'acquirente, come prodotti posti in confezione o involucro protettivo (sempre che non ricorra l'obbligo del preconfezionamento all'origine), possono pregiarsi della denominazione legale solo se rispondono alle norme vigenti ad essi applicabili.
PRESENTAZIONE DEI PRODOTTI SUI BANCHI DI VENDITA
L'art. 7, paragrafo 4, lettera b) del regolamento (UE) n. 1169/2011, definisce la presentazione dei prodotti alimentari. Per essa si intende: il materiale utilizzato; il modo di esposizione sul banco di vendita; l'ambiente nel quale il prodotto è esposto.
E' stato rilevato che taluni produttori, ad esempio di succhi di frutta e di nettari di frutta (succo e polpa), di bevande analcoliche a base di succo di frutta, presentano l'etichetta principale in modo simile per i tre prodotti attraverso l'indicazione della raffigurazione della frutta e indicando la denominazione di vendita con la menzione della percentuale di frutta (ove richiesta) sulla retroetichetta.
Anche laddove non vi siano rilievi da formulare su quanto sopra, sussistono problemi in relazione alla presentazione dei prodotti, in quanto gli stessi possono essere disposti sugli stessi banchi di vendita ma è necessario che siano separati per categoria. Ciò si rende necessario perché, diversamente, il consumatore può essere indotto in errore nella scelta dei prodotti, in quanto, essendo simili per il materiale utilizzato per il confezionamento, la loro disposizione nello stesso reparto è fonte di confusione.
Si invita, in particolare, la grande distribuzione organizzata a tener conto di quanto sopra.
VENDITA DI PRODOTTI CONGELATI
E' stato rilevato che, in alcune superfici della grande distribuzione, nei banchi di vendita dei prodotti surgelati che, per obbligo di legge, devono essere venduti in confezioni originali chiuse dal fabbricante o dal confezionatore (art. 7, comma 1 del decreto legislativo n. 110/92), sono immessi anche prodotti congelati non confezionati, esposti con gli estremi dell'azienda produttrice, che spesso incorpora nel proprio nome la parola «surgelati», sebbene sulle singole etichette o nei dépliant a disposizione del pubblico compare l'indicazione che si tratta di prodotti congelati. Tale modus operandi, oltre ad essere ingannevole per il consumatore, rappresenta anche una forma di slealtà commerciale.
Si invitano, pertanto, gli organi di vigilanza a verificare che, per i prodotti congelati venduti sfusi, siano fornite adeguate informazioni al consumatore, in linea con quanto previsto dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 23/2017, conformemente all'articolo 44 del regolamento (UE) n. 1169/2011, il quale stabilisce che tali prodotti devono essere muniti di apposito cartello, applicato ai recipienti che li contengono oppure applicato nei comparti in cui sono esposti.
Sul cartello devono figurare: a) la denominazione di vendita, accompagnata dal termine «congelato», senza che compaia, a qualsiasi titolo, il termine «surgelato/i»;
b) le modalità di conservazione dopo l'acquisto; c) la percentuale di glassatura per i prodotti glassati.
I banchi ed i prodotti in essi contenuti, infine, vanno adeguatamente protetti e vanno rispettate le norme igieniche di cui al regolamento (CE) n. 852/2004 e, se del caso, regolamento (CE) n. 853/2004.
DICITURA DEL LOTTO
La direttiva 2011/91/UE relativa alla indicazione del lotto è una direttiva a sé stante, la quale completa il regolamento (UE) n. 1169/2011. In Italia detta direttiva è stata inserita nell'art. 17 del decreto legislativo n. 231/2017.
Ciò comporta che, qualora venga richiesta in specifiche direttive e nelle relative norme di attuazione nazionali l'indicazione del lotto oltre alle altre indicazioni previste dal regolamento (UE) n. 1169/2011, il lotto va riportato secondo le modalità prescritte dal citato art. 17, ivi compresi i casi di esenzione di cui al comma 7.
Nel caso degli alimenti surgelati destinati al consumatore, di cui al decreto legislativo n. 110/1992, è stata prevista l'indicazione del lotto, oltre alle indicazioni prescritte in via generale per i prodotti alimentari.
LINGUA
Le indicazioni obbligatorie di cui all'art. 9 comma 1 del regolamento (CE) n. 1169/2011 devono essere realizzate in lingua italiana. E' stato chiesto se tale regola debba applicarsi anche ai prodotti destinati all'industria, agli artigiani, agli utilizzatori industriali.
Al riguardo si precisa che il regolamento n. 1169/2011 si applica ai prodotti alimentari destinati al consumatore.
Va tuttavia considerato che il regolamento (CE) n. 1169/2011 prevede, all'articolo 8, punto 8, che gli operatori del settore alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non destinati al consumatore finale o alle collettività assicurino che a tali altri operatori del settore alimentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso, di adempiere agli obblighi di cui al paragrafo 2.- La citata disposizione è ripresa ed integrata da quanto riportato nell'articolo 20 del decreto legislativo n. 231/2017.
Gli addetti alla vigilanza, pertanto, non possono sostituirsi alle aziende ed esigere che le informazioni in parola vadano fornite in lingua italiana, se le aziende sono in condizione di riceverle in qualsiasi lingua. Qualora un'azienda acquisti un prodotto in un altro paese, avente la relativa documentazione redatta nella lingua originaria o in lingua inglese, ciò implica che nel proprio ambito la lingua in parola è conosciuta e, pertanto, le informazioni sono assicurate.
UTILIZZAZIONE DI PRODOTTI A DENOMINAZIONE LEGALE DEFINITA
I prodotti che hanno una denominazione legale definita da norme nazionali o comunitarie devono essere designati con il loro nome anche nell'elenco degli ingredienti dei prodotti composti nella cui preparazione sono utilizzati.
Viene rilevato sempre più spesso che tali denominazioni sono accompagnate da aggettivazioni in grado di confondere l'acquirente sulla natura del prodotto e sulla qualità delle materie prime utilizzate.
Si ritiene pertanto necessario segnalare che, nella presentazione dei prodotti finiti, i nomi definiti _in particolare se ad essi è attribuita la denominazione DOP o la IGP - siano riportati senza aggettivazioni ed in modo completo.
Il termine "aceto", infine, da solo non può essere utilizzato, ma va sempre completato dal nome della materia prima agricola alcoligena da cui deriva, quale aceto di vino, aceto di mele, come disciplinato dall'articolo 49 della legge n. 238/2016.
USO DEI TERMINI «ALL'ACETO», «CON ACETO» E SIMILI
Con circolari n. 379/1966 e n. 385/1968 del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato sono state fornite, sulla base dell'allora normativa vigente, una serie di indicazioni alle aziende alimentari conserviere circa l'uso delle diciture suddette, nel caso di utilizzazione di aceto come ingrediente.
L'adozione di norme comunitarie (regolamento (UE) n. 1308/2013) in materia di etichettatura ha comportato negli anni successivi il superamento delle predette circolari e, pertanto, i termini riportati in titolo sono da considerarsi utilizzabili alternativamente con equivalente significato.
GRAPPA
Il disciplinare di produzione della IG Grappa come approvato - da ultimo - con decreto 28 gennaio 2016 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del'8 febbraio 2016 vieta i simboli e le diciture "DOC", "DOCG", "IGT", "DOP" e "IGF", sia in sigla che per esteso. La norma consente il riferimento al vino DOC ma non l'uso di tale parola. In altri termini, è consentita la denominazione di "Grappa dei Colli Orientali del Friuli" ma non quella di "Grappa dei Colli Orientali del Friuli DOC", di "Grappa di Chianti" ma non "Grappa di Chianti DOCG".
BEVANDE AROMATIZZATE A BASE DI VINO E SIMILI
Le bevande aromatizzate a base di vino ed i cocktail aromatizzati di prodotti vitivinicoli, di cui al regolamento (UE) n. 251/2014, presentano rispettivamente un titolo alcolometrico da 4,5 per cento a 14,5 per cento in volume e da 1,2% vol. a 10% vol. E' stato chiesto da più parti di conoscere se detti prodotti debbano riportare l'indicazione del termine minimo di conservazione. Si ritiene pertanto utile precisare che l'esenzione da tale obbligo è prevista solo per le bevande quali i vini, vini liquorosi, vini spumanti, vini aromatizzati e prodotti simili ottenuti a base di frutta diversa dall'uva, nonché delle bevande del codice NC 2206 00 ottenute da uva o mosto di uva, come confermato nel regolamento (CE) n. 852/2004 unitamente. Per le altre bevande con una gradazione inferiore ai 10% vol. l'indicazione risulta obbligatoria.
ACQUAVITI DI FRUTTA
Il regolamento (UE) n. 2019/787 disciplina, tra l'altro, le acquaviti di frutta e prevede altresì il divieto di aggiunta di alcool, dal momento che in caso contrario si perderebbe il diritto all'uso della denominazione riservata e l'obbligo di uso della denominazione "bevanda spiritosa". E' stato rilevato che sul mercato nazionale sono messe in vendita bevande designate "obstschnaps", le quali sono costituite da alcool di origine agricola e da almeno 33 per cento di distillato di frutta. Questi prodotti, ben conosciuti nei Paesi di origine, sollevano profili problematici qualora vengano commercializzati nello stesso modo sul territorio italiano. D'intesa con le autorità interessate, pertanto, si è convenuto che:
- la denominazione di vendita in italiano è "bevanda spiritosa", come previsto dalla citata normativa.
- la stessa deve essere riportata con caratteri maggiori di quelli del termine "schnaps", se questo figura in etichetta;
- va applicata la regola del Quid, per cui occorre indicare la percentuale di distillato di frutta in volume;
- il prodotto deve essere conforme al citato regolamento e non deve riportare termini che possano creare nel consumatore l'aspettativa che si tratti di "acquavite di frutta".
BEVANDE DI FANTASIA AL GUSTO DI FRUTTA
Le bevande di fantasia, di cui all'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica, n. 719/1958, devono essere prodotte in conformità alle disposizioni di detto decreto. Conseguentemente, possono essere preparate con o senza aggiunta di succo di frutta e devono essere presentate con denominazione di vendita e modalità tali da non generare confusione con le bevande di cui all'art. 4.
Tali bevande sono poste in vendita nel rispetto della disciplina comunitaria in tema di informazioni al consumatore (regolamento (UE) n. 1169/2011) e in tema di impiego di additivi nei prodotti alimentari (regolamento (CE) n. 1333/2008), che supera le precedenti normative in materia.
LATTE
1. Latte pastorizzato a temperatura elevata.
Tale tipologia di latte è prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 54/1997. Al riguardo, si ritiene utile precisare che, trattandosi di un tipo di latte diverso, per caratteristiche e per trattamento, dai tipi disciplinati dalla legge n. 169/1989, la sua produzione e la sua commercializzazione rimangono assoggettate alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 54/1997 e del regolamento (UE) n. 1169/2011. Pertanto:
- la produzione di tale tipo di latte può essere effettuata anche in Italia e per esso non si applicano le disposizioni della legge n. 169/1989;
- la denominazione di vendita legale è "latte pastorizzato a temperatura elevata";
- la durabilità (data di scadenza) viene determinata, in conformità al regolamento (UE) n. 1169/2011, direttamente dal produttore e sotto la sua diretta responsabilità.
2. Data di scadenza e termine minimo di conservazione.
Il regolamento (UE) n. 1169/2011 rimette la determinazione della validità dei prodotti alimentari ai fabbricanti ed ai confezionatori, i quali stabiliscono la stessa in relazione ad una serie di parametri, quali la qualità delle materie prime, i trattamenti, le caratteristiche dei materiali di confezionamento. Ciò premesso, la data di scadenza ed il termine minimo di conservazione, ad esempio per i diversi tipi di latte confezionati provenienti da altri Stati membri, possono essere determinati direttamente dai confezionatori in conformità alle disposizioni vigenti nei paesi d'origine.
FORMAGGI FRESCHI A PASTA FILATA
Come già illustrato con Nota del Ministero dello Sviluppo Economico 0133330 del 9 aprile 2018, per le ragioni già chiarite nella Circolare del Ministero dell'Industria 16 gennaio 1996, n. 150, i formaggi freschi a pasta filata destinati al consumatore devono essere posti in vendita preconfezionati. Il preconfezionamento deve essere effettuato all'origine direttamente dal produttore.
Al venditore al dettaglio, salvo nel caso di vendita diretta nel caseificio, non è concesso di vendere allo stato sfuso o previo ulteriore preconfezionamento ai fini della vendita immediata, ricorrendo ad artifizi, quale l'aggiunta - a titolo di esempio - di olio d'oliva e/o olive.
E' ben nota e tradizionale l'aggiunta di ingredienti non lattieri ai formaggi, ad esempio spezie, erbe, noci, olive e simili, e detta aggiunta non è tale da modificare la natura merceologica del formaggio fresco a pasta filata.
Affinché detto formaggio possa essere venduto non preconfezionato deve essere ingrediente di una preparazione gastronomica, al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge n. 98/1986, convertito, con modificazioni, nella legge n. 252/1986; è necessario, quindi, che il formaggio sia lavorato in maniera sostanziale ed il prodotto finito sia posto in vendita con una diversa specifica denominazione di vendita, la quale deve essere utilizzata anche dal dettagliante.
Già precedentemente questo Ministero ha precisato espressamente che la vendita allo stato sfuso di detti formaggi, salvo che nei caseifici, è vietata e che sui relativi involucri devono figurare tutte le indicazioni obbligatorie attualmente prescritte dal regolamento (UE) n. 1169/2011, salvo quella della quantità netta per il formaggio pesato su richiesta e alla presenza dell'acquirente. Gli organi di vigilanza sono invitati ad applicare, per le violazioni rilevate, le sanzioni amministrative previste dal decreto legislativo n. 231/2017.
UTILIZZAZIONE DEL TERMINE «INTEGRALE» NELL'ETICHETTATURA DEI PRODOTTI DA FORNO
Si è rilevato un problema di interpretazione relativamente all'uso del termine «integrale» nella etichettatura dei prodotti da forno ottenuti attraverso la miscelazione di farina di grano tenero con crusca e/o cruschello invece che con farina integrale, come definita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001. La questione è rilevante per diversi aspetti.
Anzitutto, occorre distinguere la denominazione di vendita dall'ingrediente, secondo le diverse utilizzazioni della farina. Nel caso in cui questa venga destinata alla vendita diretta al consumatore o alla panificazione, occorre rispettare quanto previsto dal decreto n. 187/2001.
Quando la farina in parola è ingrediente, la stessa può essere designata col nome «farina di frumento» o «farina di grano» o «farina di frumento integrale» o «farina di grano integrale», così come avviene negli altri Stati membri, con la precisazione che la designazione prescelta dovrà comparire in modo omogeneo su tutto il packaging del prodotto.
Le denominazioni di vendita riservate agli sfarinati, previste dal decreto n. 187/2001, sono vincolanti solo per i produttori di farine e le caratteristiche fissate al comma 3, dell'art. 1 del citato decreto e si applicano esclusivamente alle farine destinate alla panificazione e alla vendita diretta al consumatore; pertanto, non sono vincolanti per gli altri settori industriali, in particolare per i prodotti da forno, come si evince dall'art. 10, il quale ha previsto una specifica deroga al riguardo.
L'uso, poi, del qualificativo «integrale» nella denominazione di vendita (esempio: biscotti integrali) risulta coerente sia nel caso di utilizzo di farina di frumento integrale acquistata come tale da aziende molitorie, sia nel caso in cui si ottenga tale prodotto, con le medesime caratteristiche, nell'ambito dello stesso opificio, ove venga utilizzata, aggiungendo crusca e/o cruschello alla farina di grano tenero.
Il termine «integrale», infatti, implica la presenza di crusca e/o di cruschello in quantità tale da assicurare un significativo apporto nutrizionale di fibre nel prodotto finito ai sensi del regolamento (CE) 1924/2006. La crusca e il cruschello sono, infatti, gli unici elementi che differenziano la farina di frumento integrale dalla farina di grano tenero, non essendo inoltre vincolanti, per utilizzazioni diverse dalla panificazione e dalla vendita diretta al consumatore, i parametri previsti al comma 3 dell'art. 1 del decreto n. 187/2001.
Pertanto, ai fini dell'informazione al consumatore, non è rilevante specificare se si tratti di «farina integrale di grano tenero» proveniente dai molini con i parametri previsti dalla norma suddetta oppure di «farina di frumento integrale» sempre proveniente dai molini ma con parametri diversi da quelli previsti dalla norma o, infine, di farina integrale ricostituita, all'interno dell'azienda utilizzatrice, con parametri uguali o diversi da quelli previsti dalla norma.
I prodotti finiti sono tutti legali con caratteristiche organolettiche pressoché identiche. Si ritiene utile evidenziare, a tal fine, che lo scopo primario della norma consiste nella protezione e nella informazione dei consumatori e non nella protezione delle esigenze delle categorie economiche.
Si ritiene utile evidenziare inoltre che, nell'elaborazione del decreto n. 187/2001, è stata rivolta particolare attenzione ai principi comunitari sulla libera circolazione delle merci, i quali riguardano in particolare la loro utilizzazione, nonché a quanto sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 443/1997 sulla pasta, finalizzata ad evitare discriminazioni alla rovescia a danno dell'industria nazionale rispetto alla concorrenza estera.
Ciò che cambia dal punto di vista giuridico, ai fini del rispetto delle regole di etichettatura relative alla definizione di «ingrediente», è che, nel caso in cui la farina provenga direttamente dal molino, si ha un unico ingrediente da menzionare come tale e cioè «farina di frumento integrale»; nel caso in cui, invece, la farina integrale si ottenga per ricostituzione si hanno due o tre ingredienti che vanno designati separatamente col proprio nome (farina di frumento, crusca, cruschello).
In tal caso, è opportuno chiarire se l'uso del termine «integrale» nella denominazione del prodotto finito imponga l'indicazione del QUID. Poiché nella denominazione di vendita non figura alcun ingrediente particolare, non è richiesto alcun ulteriore adempimento, a meno che non vi siano espliciti richiami in etichettatura relativi alla specifica tipologia di farina utilizzata.
SOMMINISTRAZIONE DELLA CROISSANTERIE
La necessità di offrire una vasta gamma di prodotti, freschi e fragranti, quali croissant, krapfen, sfogliatine, strudel e simili, ha indotto l'industria a produrre prodotti a temperatura controllata, destinati ad essere somministrati sul punto di vendita, con appositi fornetti, senza alcuna manipolazione che integri un'attività produttiva.
I prodotti in questione non sono considerati semilavorati o preparazioni alimentari, ma sono qualificati come prodotti finiti, in quanto per essere somministrati non necessitano di una manipolazione o di una ulteriore lavorazione.
Questo Ministero ha già precisato precedentemente che, tenendo conto della evoluzione delle modalità di prestazione del servizio di somministrazione, tale attività è del tutto compatibile con l'attività di somministrazione, di cui all'art. 5, lettera b), della legge n. 287/1991.
Diversamente, si correrebbe il rischio di fornire un servizio insoddisfacente al consumatore, le cui esigenze devono sempre essere considerate come prioritarie, evitando di creare ostacoli superflui alla commercializzazione, a condizione che siano rispettate le norme igienico-sanitarie. Nulla vieta, pertanto, di ricondurre nella specifica autorizzazione sanitaria rilasciata al pubblico esercizio l'attività di cui sopra, alla stregua di quanto avviene per il pane parzialmente cotto surgelato o meno in quanto si tratta di situazione analoga.
Inoltre, il legislatore è intervenuto nel caso del pane, a causa del problema relativo alla denominazione di vendita, che non consentiva di etichettare il prodotto parzialmente cotto come «pane». Tuttavia, tale situazione non si presenta nel caso specifico della croissanterie.
UTILIZZAZIONE DI UOVA FRESCHE
Il regolamento (UE) n. 1308/2013 e il regolamento delegato n. 2023/2465 fissano le norme per la commercializzazione delle uova vendute in guscio. Ai sensi dell'art. 3 e 4 del regolamento delegato (UE) 2023/2465 le uova di categoria A o «uova fresche» devono possedere determinate caratteristiche, tra cui quella di non aver subito alcun trattamento di conservazione.
Dal momento che le uova utilizzate nei prodotti trasformati, indipendentemente dalla categoria di riferimento, devono essere pastorizzate, la sola menzione «uova fresche» potrebbe sembrare non corretta.
Al riguardo è necessario precisare che la pastorizzazione delle uova fresche in questo caso è richiesta dal regolamento (CE) n. 853/2004, non come trattamento di conservazione, ma come esigenza di ordine igienico-sanitario obbligatoria. Pertanto, ai fini della qualificazione dei prodotti finiti preparati con l'impiego di uova fresche (categoria A) e al fine di garantire un'idonea informazione del consumatore, si ritiene che gli ovoprodotti ottenuti esclusivamente da uova fresche di gallina vadano distinti da quelli ottenuti da uova di gallina di categoria diversa dalla categoria A, attraverso l'etichettatura.
Risulta opportuno, pertanto, che le uova fresche pastorizzate per l'uso nei prodotti trasformati, come sopra descritte, siano designate nell'elenco degli ingredienti dei prodotti finiti trasformati con la menzione «uova fresche» e le uova diverse dalle uova di categoria A) come «uova».
Tale soluzione è da ritenersi conforme a quanto previsto dall'allegato VI, Parte A, punto 1 del regolamento (UE) n. 1169/2011. In caso contrario, non ci sarebbe neppure necessità di impiegare uova fresche, con il rischio di provocare significativi danni alla produzione agricola associata. Si precisa, infine, che il divieto del trattamento della pastorizzazione a scopo conservativo per le uova fresche, previsto dalla normativa comunitaria, riguarda solo il prodotto venduto in guscio.
PRODOTTI ARTIGIANALI
Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, talvolta viene messo in evidenza un riferimento alla «produzione artigianale», come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore. L'uso di diciture quali «lavorato a mano» e similari è ingannevole qualora soltanto alcune fasi secondarie e collaterali della produzione siano effettuate a mano.
Nel comparto delle paste alimentari, ad esempio, le diciture «lavorato a mano» e simili potranno essere apposte unicamente qualora le fasi di impasto, trafilatura, taglio ed essiccazione della pasta siano state effettuate in tutto o per la maggior parte a mano e non anche quando la manualità abbia riguardato unicamente fasi secondarie come lo svuotamento dei sacchi di semola, il riempimento delle tramogge, il dosaggio degli ingredienti o il confezionamento.
Sebbene l'uso di diciture concernenti le caratteristiche del metodo di produzione costituisca una garanzia fornita al consumatore sul metodo, questo non si traduce, di regola, anche in un aumento della qualità del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche, nutrizionali, chimicofisiche, organolettiche ed igienico-sanitarie.
Delle metodologie artigianali viene fornito un elenco, non esaustivo ma di rilievo, nella pronuncia n. 8884 del 9 novembre 2000 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si può così riassumere: la presenza di una struttura organizzativa tipicamente artigianale e/o familiare è caratterizzata dal basso numero di addetti e soprattutto dall'incidenza dell'apporto umano e personale nella produzione. Questo aspetto concerne, ovviamente ed unicamente, le caratteristiche dell'azienda. Pertanto, non può in alcun modo essere utilizzato per presentare i prodotti come superiori nella qualità. L'azienda artigianale non può, cioè, trasformare la sua qualifica giuridica in un elemento di qualità dei prodotti finiti.
In tale contesto non si può non tener conto anche di quanto previsto dall'art. 5 del decreto legislativo n. 145/2007 che, anche se di portata generale, vieta ogni forma di pubblicità subliminale e subordina l'uso dei termini «garantito» e «garanzia» e simili, quali «selezionato e scelto», alla precisazione in etichetta del contenuto e delle modalità della garanzia offerta.
PASTE SPECIALI
Appare utile fornire chiarimenti circa i limiti di riferimento per le ceneri, l'acidità e gli altri parametri analitici, di cui all'art. 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, per la produzione di paste speciali, sia secche, sia fresche, sia stabilizzate.
Tale questione è stata affrontata più volte anche nel corso dell'elaborazione del decreto n. 187/2001, ritenendosi tuttavia che non fosse necessaria alcuna ulteriore precisazione, in quanto la norma risultava già sufficientemente chiara. Infatti, mentre per la pasta di semola di grano duro (semola+acqua), il limite massimo di ceneri è 0,90 su cento parti di sostanza secca, per i casi di presenza di altre sostanze oltre alla semola, come le uova della pasta all'uovo, il legislatore ha conseguentemente provveduto ad adeguare il limite di ceneri, fissandolo a 1,10 per la pasta con quattro uova per chilogrammo di semola ed ammettendo un ulteriore incremento di 0,05 per ogni uovo in più rispetto al minimo prescritto.
Quando all'impasto vengono miscelati altri ingredienti alimentari, allo scopo di ottenere una pasta «speciale», secca, fresca o stabilizzata, i parametri previsti all'art. 6, comma 3, non dovranno essere applicati al nuovo prodotto finito, bensì esclusivamente alla materia prima di base impiegata.
Nella valutazione del tenore delle ceneri e degli altri parametri analitici, si dovrà tener conto sia del contributo apportato dalla materia prima di riferimento impiegata, sia dell'effetto esercitato sul parametro analitico finale dall'ingrediente/i aggiunto/i. Ad esempio, nel caso delle ceneri di una pasta di semola di grano duro con spinaci, è errato non sottrarre il contributo delle ceneri apportate dagli spinaci a quello rilevato sul prodotto finito.
Si deve altresì fare riferimento, per definire il contributo portato dagli spinaci, alla quantità impiegata in ricetta, al loro contenuto medio di ceneri e relativa variabilità naturale. Pertanto, in fase di accertamento analitico, i valori delle ceneri, dell'acidità e degli altri parametri apportati dagli ingredienti alimentari a quelli apportati dalle materie prime di base vanno scorporati dal computo globale. Inoltre, la quantità di tali ingredienti è facilmente rilevabile sulla base della loro dichiarazione quantitativa in etichetta, ai sensi dell'articolo 22 del regolamento (UE) n. 1169/201 [N.d.R. recte: regolamento (UE) n. 1169/2011], o, in alternativa, analizzando la ricetta all'origine.
Tale aspetto è sancito anche dall'art. 2, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 41/2013.
INGREDIENTI
1. E' necessario che gli ingredienti siano determinati al momento della loro utilizzazione e che siano menzionati con il loro nome specifico, anche se nel prodotto finito gli stessi residuano in forma modificata. Viene spesso segnalato che, in talune analisi effettuate da laboratori pubblici, sono rilevati ingredienti non consentiti. Ciò è dovuto principalmente al fatto che taluni laboratori continuano ad applicare il principio dell'elenco degli ingredienti verificato nel prodotto finito, mentre la normativa vigente fa riferimento al momento della loro utilizzazione. E' evidente, pertanto, che nel prodotto finito sia possibile rilevare delle modifiche anche sostanziali delle quali è necessario tenere conto. Anche l'ordine ponderale decrescente può subire col processo di produzione una sostanziale modifica.
Pertanto, il corretto esame dell'elenco degli ingredienti e del suo ordine ponderale decrescente può essere effettuato unicamente verificando all'origine la loro utilizzazione.
2. Nel prodotto finito, inoltre, possono essere rilevate sostanze non utilizzate: la loro presenza è dovuta al fatto che sono componenti naturali di altri ingredienti utilizzati, e pertanto, non essendo considerate ingredienti in quanto tali, non vengono indicate. A titolo di esempio, la presenza del colorante E 100 negli gnocchi può non essere dovuta all'impiego di curcumina ma alla curcuma, di cui la curcumina è componente naturale.
3. In relazione, poi, alla rilevazione di un tasso di umidità superiore al 5% in un prodotto finito, nel cui elenco degli ingredienti non figura l'indicazione dell'acqua, la stessa può significare che siano stati utilizzati unicamente ingredienti con un alto contenuto di umidità (latte, uova, ecc.) e non che sia stata utilizzata l'acqua. Per tale motivo quest'ultima, non essendo ingrediente, può non figurare nell'elenco degli ingredienti del prodotto finito.
4. Il termine "zucchero", nella lista ingredienti, senza ulteriore qualificazione, identifica il saccarosio e le soluzioni acquose di saccarosio, di cui al decreto legislativo 20.2.2004 n. 51. Nel caso in cui siano presenti diciture che pongano in rilievo l'assenza o il ridotto contenute di zucchero, in accordo con la previsione del regolamento (UE) n. 1924/2006 e successive modifiche, deve essere riportata l'etichetta nutrizionale, ove per «zuccheri» si intendono tutti i monosaccaridi e i disaccaridi presenti in un alimento, esclusi i polioli come indicato nell'allegato I del regolamento (UE) n. 1169/2011.
ETICHETTATURA DELLE CARNI, QUALI INGREDIENTI
In relazione all'"ingrediente "carne", si fa riferimento alla carne muscolare scheletrica dell'animale, compresa la quantità massima di grasso e di tessuto connettivo, naturalmente aderenti alle masse muscolari scheletriche.
Le carni di qualsiasi specie vanno designate col nome specifico o con il nome della categoria seguito dal nome della specie. Nello specifico, i riferimenti normativi sono definiti dal Regolamento 1169/2011, il quale ha stabilito negli allegati:
- VI) nella parte A la denominazione e indicazioni obbligatorie che l'accompagnano- ai punti 5,6,7 per le preparazioni a base di carne specifici riferimenti, nella parte B i requisiti specifici relativi alla designazione delle carni macinate;
- VII), nella parte B - Ingredienti designati con la denominazione di una categoria piuttosto che con una denominazione specifica - la denominazione di «carne(i) di …» e i relativi requisiti di composizione e, se del caso, di «carni di … separate meccanicamente»
Relativamente, poi, alle altre parti dell'animale, escluse dalla definizione di «muscoli scheletrici», le stesse sono etichettate con il loro nome specifico di uso comune. Questi nomi specifici, qualora non siano legati a specie animali individuate, devono essere completate con il nome della specie animale da cui provengono. Ad esempio, la cotenna è una parte appartenente unicamente al suino e, pertanto, il prodotto può essere designato col nome «cotenna» in luogo di «cotenna suina».
L'elencazione di seguito riporta l'indicazione da utilizzare, a titolo esemplificativo, per le parti di suino che non rientrano nella definizione di «muscoli scheletrici», il cui impiego risulta possibile in alcune ricette tradizionali:
Parti
Designazione Grasso (eccedente i limiti prescritti)
Grasso suino Cotenna (eccedente i limiti prescritti)
Cotenna Trippino
Trippino suino Magro di testa (diverso dal massetere)
Magro suino di testa.
In relazione, poi, ai limiti di grasso e di tessuto connettivo, contenuti nella tabella dell'allegato VII del regolamento (UE) n. 1169/2011, gli stessi si intendono riferiti ad ogni specie separatamente. Ad esempio, in un prodotto costituito da carne bovina e carne suina, i predetti limiti sono, per il grasso, 30% per la carne suina e 25% per la carne bovina.
Le parti anatomiche dell'animale, quali coscia suina e pancetta suina, designate con il loro nome, non soggiacciono ai limiti di grasso e di tessuto connettivo prescritti. Le stesse non possono essere accompagnate da qualificazioni, suscettibili di trarre in errore il consumatore sulla effettiva natura del prodotto - generando altresì il rischio di concorrenza sleale - come, ad esempio, il termine «fresco», salvo il caso di specifica previsione in una norma comunitaria.
Relativamente alla carne separata meccanicamente, la stessa deve essere indicata come tale, completata dal nome della specie animale. (ad esempio: carne di pollo separata meccanicamente, carne suina separata meccanicamente). I limiti di grasso e di tessuto connettivo sono basati su analisi e calcolati a livello di messa in opera. Non si tiene conto del budello o dell'involucro che sono elementi estranei all'impasto. Per il calcolo si prendono in considerazione il contenuto percentuale di «proteina di carne», «collagene» e «grasso» di ogni specie animale separatamente.
Tali contenuti, tutti identificati al momento della messa in opera, si basano su uno dei seguenti dati e analisi:
- dati di composizione generalmente accettati relativi alle sole parti dell'animale rientranti nella definizione di carne;
- analisi rappresentative relative unicamente alle specifiche parti dell'animale rientranti nella definizione di carne;
- analisi rappresentative di miscele relative unicamente a quelle parti dell'animale rientranti nella definizione di carne.
Tali dati ed analisi devono escludere a priori la possibile presenza di sostanze non rientranti nella definizione di carne, quali fegato e cuore, proteine vegetali, additivi ed aromi.
Per quanto riguarda, infine, l'obbligo di indicare la percentuale di carne utilizzata nella preparazione di prodotti composti, essa è prescritta solo per i prodotti preconfezionati destinati tal quali al consumatore. Tale obbligo non si applica ai prodotti costituiti essenzialmente da carne, a condizione che la quantità di acqua aggiunta non superi, nel prodotto finito, il 5% e che non contengano sostanze diverse da quelle tecnologiche (sale, aromi, additivi,). E' fatta salva comunque la facoltà dell'impresa di indicare, per una migliore informazione del consumatore, la percentuale di carne utilizzata anche nei casi in cui non ve ne sia l'obbligo.
I controlli finalizzati all'accertamento della quantità di carne e dei limiti di grasso e di connettivo occorre che siano effettuati ovviamente all'origine. Il controllo sul prodotto prelevato nelle fasi commerciali non può essere preso come riferimento per valutarne la conformità, in quanto, ai sensi dell'art. 18 del Regolamento 1169/2011, occorre riferirsi al momento della utilizzazione degli ingredienti.
Allo scopo, poi, di assicurare comportamenti omogenei nella commercializzazione di taluni prodotti particolarmente diffusi, si rende necessario fornire le seguenti linee guida:
1. Cotechino e zampone «puro suino»
Sono prodotti di solo suino. La dicitura «puro suino», peraltro non obbligatoria, evidenzia solo che le carni utilizzate nella preparazione del prodotto sono solo di suino.
Ai fini della determinazione dell'ordine ponderale decrescente nell'elenco degli ingredienti, il tenore di carne va conseguentemente ridotto quando grasso e connettivo sono superiori ai limiti prescritti come, ad esempio, lo zampone, costituito da carne avente 35% di grasso e 30% di cotenna. In questo caso, l'elenco degli ingredienti è il seguente: carne suina, cotenna, grasso suino, aromi. Oppure può farsi riferimento al cotechino, costituito da carne avente 30% di grasso, 20% di cotenna e 20% di magro di testa (diverso dal massetere). In questo caso, l'elenco degli ingredienti è il seguente: carne suina, magro suino di testa, aromi. Non è richiesta l'indicazione di grasso e di cotenna, in quanto gli stessi rientrano entro i limiti massimi prescritti per la non indicazione. Si evidenzia che, in entrambi i casi, l'elenco degli ingredienti va completato con l'indicazione delle sostanze tecnologiche eventualmente utilizzate e che la cotenna può non essere seguita dal termine «suino», giacché essa è solo di suino.
Prosciutto cotto Si tratta di prodotto, costituito da carni, acqua e sostanze tecnologiche. Nel caso di prodotto con una quantità d'acqua aggiunta entro il limite del 5% nel prodotto finito, non si procede a quantificazione della carne. Qualora la quantità d'acqua aggiunta superi nel prodotto finito il 5%, occorre indicare l'acqua nell'elenco degli ingredienti e quantificare la carne suina, ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/2011.
3. Mortadella puro suino
Il riferimento al suino è fatto unicamente per indicare l'utilizzazione di un solo tipo di carne, quella suina.
Come nel caso dello zampone e del cotechino, non vi è l'obbligo dell'indicazione percentuale di carne anche in presenza di eventuale aggiunta di grasso suino e/o di cotenna e/o di trippino. Il grasso ed il connettivo, qualora superino i limiti prescritti, vanno indicati nell'elenco degli ingredienti della mortadella senza indicazione percentuale della carne.
Le parti anatomiche dell'animale, che non sono considerate carne in riferimento alla tabella dell'allegato VII del regolamento (UE) n. 1169/2011, vanno indicate con il loro nome specifico nell'elenco degli ingredienti della mortadella. In taluni casi viene posto in evidenza una parte anatomica dell'animale per valorizzare il prodotto: mortadella di fegato oppure mortadella con fegato. Trattandosi di un ingrediente non considerato carne, ma caratterizzante per il prodotto, il fegato va quantificato, come nell'esempio seguente: ingredienti: carne suina, fegato suino 30%, grasso suino, trippino suino, aromi.
Nel caso, poi, di prodotti ottenuti da carni di più specie, le relative specie vanno tutte quantificate in percentuale.
4. Wurstel
Si tratta di prodotto ottenuto utilizzando anche acqua, aromi ed altre parti anatomiche. I principi cui ispirarsi per l'etichettatura sono gli stessi indicati per altri prodotti carnei. Ad esempio:
a) "Wurstel costituito da 60% di carne suina, 30% di acqua, 8% di aromi, (....)" ha il seguente elenco di ingredienti: carne suina 60%, acqua, aromi, (....), se i limiti di grasso e di connettivo sono quelli prescritti. La quantificazione percentuale della carne è richiesta perché è presente una quantità di acqua aggiunta superiore al 5%.
b) "Wurstel costituito da carne suina 90%, acqua 5%, aromi": è un prodotto costituito essenzialmente da carne. La carne può non essere quantificata e l'acqua, non superando il 5% del prodotto finito, non viene indicata nell'elenco degli ingredienti. L'elenco degli ingredienti è, quindi, il seguente: carne suina, aromi;
c) " Wurstel di pollo": identifica un prodotto ottenuto da carne di pollo, generalmente separata meccanicamente. Tale carne non è considerata carne ai fini dell'etichettatura e deve essere designata con la dicitura «carne di pollo separata meccanicamente». Essa non risponde, ovviamente, ai limiti di grasso e di connettivo previsti per le carni avicole. La pelle ed altre parti dell'animale composte di grasso e di connettivo rientrano nell'unica voce «carni di (......) separate meccanicamente».
Parimenti vale per le altre carni avicole, quali quelle di tacchino e di anatra. Un esempio di elenco degli ingredienti può essere: carne di tacchino separata meccanicamente 80%, acqua, aromi, (….).
Qualora la quantità di carne sia più elevata e l'acqua aggiunta non superi il 5%, l'elenco degli ingredienti può essere: carne di tacchino separata meccanicamente, aromi, (…). Nel caso di miscele, poi, le specie vanno quantificate come di seguito: carne di pollo separata meccanicamente 50%, carne di tacchino separata meccanicamente 40%, (...). Al fine di evitare la ripetizione della dicitura «separata meccanicamente», la cui indicazione risulterebbe inutilmente dispendiosa in termini di spazio sull'etichetta, è possibile inserire dopo le diciture «carne di pollo» e «carne di tacchino», un asterisco riportato in fondo alla lista degli ingredienti la predetta dicitura accanto all'asterisco. Tale modalità, inoltre, è già prevista da alcune regolamentazioni comunitarie specifiche.
5. Strutto
Lo strutto, generalmente, è un mono ingrediente, e pertanto non riporta l'elenco degli ingredienti. Qualora abbia subito aggiunte, nell'elenco degli ingredienti è possibile indicarlo con la voce «grasso suino», sebbene nulla ostia indicarlo come strutto.
6. Ciccioli, cigoli e simili
I ciccioli e i prodotti simili sono prodotti proteici ottenuti dalla fusione di tessuto adiposo del suino. Possono contenere anche una parte di carne, la quale non è qualificata come ingrediente. Conseguentemente, l'elenco degli ingredienti può essere diverso a seconda della sua presentazione e cioè:
a) nessun elenco di ingredienti, se il prodotto è ottenuto senza aggiunte;
b) ingredienti: grasso suino, aromi, sale;
c) ingredienti: ciccioli, aromi, sale.
Ciò che rileva è che il messaggio sia formulato in termini chiari, senza trarre in errore il consumatore sulla corretta composizione del prodotto.
7. Pancetta cubettata e prodotti simili. Si tratta di prodotto suino in pezzi, la mantiene tuttavia la sua riconoscibilità. Il riferimento al taglio anatomico può essere, pertanto, effettuato nell'elenco degli ingredienti con la voce «pancetta suina».
COMMERCIALIZZAZIONE DEGLI OLI DI OLIVA, QUALI INGREDIENTI
In relazione all'applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 e la conseguente disapplicazione dell'art. 4 del decreto legislativo n. 109/92 (superato dall'art. 17 «Denominazione dell'alimento» e dell'allegato VI «Denominazione degli alimenti e indicazioni specifiche che la accompagnano» del regolamento), l'Italia ha chiesto conferma alla Commissione europea che nella denominazione del prodotto finito possa essere riportato il solo nome generico dell'ingrediente utilizzato, in continuità con il disposto del decreto legislativo n. 109/1992 (es: «biscotto al cioccolato» in luogo di «biscotto al cioccolato al latte e alle nocciole gianduia»). La Commissione (si veda punto 6 della Circolare 5 dicembre 2016, n. 381060 del Ministero dello Sviluppo Economico, GU n. 2 del 3-1-2017) ha rappresentato che non esiste una regola generale e che, pertanto, ogni caso va considerato a sé, valutando se il consumatore possa o meno essere tratto in inganno e tenendo in considerazione gli standard commerciali impostisi nel tempo. Sulla base di tale riscontro, si ritiene dunque, che nella denominazione del prodotto finito possa essere riportato il solo nome generico dell'ingrediente utilizzato, posto il rispetto degli articoli 7 «Pratiche leali d'informazione» e 17 «Denominazione dell'alimento» del citato Regolamento, nonché, ove richiesto, il rispetto dell'art. 22 «Indicazione quantitativa degli ingredienti» dello stesso Regolamento. (Ad esempio: «Carciofini all'olio di oliva» in luogo di «Carciofini all'olio di oliva composto da olio di oliva raffinato ed olio di oliva vergine»). Si precisa che lo stesso comma prescrive che nell'elenco degli ingredienti il nome deve essere completo.
La Commissione europea - D.G. agricoltura - D.C. mercato dei prodotti di origine vegetale, tuttavia, su richiesta di alcune organizzazioni professionali (ANCIT, Federolio) ha precisato, a norma dell'art. 6 del regolamento (CE) n. 1019/2002 modificato dal Regolamento (UE) n. 182/2009 (ora abrogati dai Regolamenti n. 2022/2104 e 2022/2105 ma che, di fatto, non modificano i principi contenuti nelle norme in parola)", che "se in un prodotto alimentare diverso da quelli indicati al paragrafo 1 dell'art. 6 è presente come ingrediente la categoria «olio di oliva composto da oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini», nell'elenco degli ingredienti può figurare la denominazione generica «olio di oliva". Tuttavia, se nel prodotto alimentare è presente olio di sansa di oliva, nella denominazione di vendita e nell'elenco degli ingredienti, deve figurare la denominazione «olio di sansa di oliva, conformemente al disposto dell'art. 6, paragrafo 3, del regolamento in oggetto».
PREPARATI PER BRODO E CONDIMENTO
La legge n. 836/1950 ed il suo regolamento di esecuzione approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 567/1953 hanno previsto l'autorizzazione ministeriale preventiva per la produzione a scopo di vendita dei preparati per brodo e condimento.
L'autorizzazione, oltre a disciplinare la composizione standardizzata degli stessi, aveva la finalità di permettere l'impiego di altri ingredienti che potevano rivelarsi utili per esigenze tecnologiche, per migliorare la qualità di detti prodotti, per innovare i processi produttivi ed altro nonché per garantire trasparenza sul mercato e soddisfare le esigenze dei consumatori.
La legislazione suddetta è stata oggetto di condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia con sentenza del 19 giugno 1990, in ragione delle restrizioni attinenti alla composizione e alla denominazione subordinando inoltre la messa in commercio dei prodotti ad una preventiva autorizzazione.
L'autorizzazione è stata soppressa con l'art. 52 della legge n. 428/1990, mentre in materia di composizione le restrizioni, già oggetto della condanna di cui sopra, non trovano più alcuna giustificazione neppure dal punto di vista igienico-sanitario.
Infatti, ai sensi degli articoli 28 e successivi del trattato UE, i divieti di utilizzazione di ingredienti alimentari nella preparazione dei prodotti in parola trovano giustificazione solo se dettati da esigenze di ordine igienico sanitario. Siffatta situazione è stata causata anche da una erronea interpretazione delle disposizioni in materia, che hanno indicato solo gli ingredienti di base che potevano essere utilizzati, mentre con il decreto di autorizzazione si consentiva l'impiego anche di altri ingredienti alimentari idonei allo scopo.
La soppressione dell'autorizzazione ha fatto venir meno tale procedura, e pertanto, alla luce delle recenti nuove norme comunitarie che hanno imposto al fabbricante l'autocontrollo sulla propria produzione in collaborazione anche con la competente autorità sanitaria, si può ritenere che quanto poteva essere oggetto di autorizzazione è direttamente ammissibile nella fabbricazione dei prodotti in parola, fatta eccezione degli additivi il cui impiego soggiace alle disposizioni del regolamento (CE) n. 1333/2008. Quanto sopra trova piena rispondenza nell'indirizzo delineato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 443/1997, secondo cui non possono essere posti a carico delle aziende italiane oneri che non trovano riscontro negli altri Stati membri e che non siano motivati da comprovate esigenze di tutela della salute.
CONTROLLO DELLA QUANTITA' NOMINALE
Circa il controllo della quantità nominale e l'applicazione delle prescritte tolleranze (scarti in meno), in relazione ad accertamenti di infrazioni da parte degli organi di vigilanza igienico-sanitaria, si precisa che:
1. il controllo sui prodotti confezionati a gamme unitarie costanti (legge 25 ottobre 690/1978, e decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980 e successive modifiche) nonché quello sui prodotti confezionati a peso variabile (unità di vendita che sono per loro natura differenti l'una dall'altra) non attengono alla vigilanza igienico-sanitaria. Essi comportano, in particolare, verifiche all'origine che possono essere effettuate solo dagli ispettori metrici, in relazione alla specificità della materia. A tal fine si richiama l'attenzione sul regolamento (UE) n. 2017/625 nel cui campo di applicazione non risulta incluso il controllo metrologico sull'indicazione delle quantità;
2. la quantità indicata in etichetta è quella determinata all'origine ed è un valore medio per i prodotti confezionati a gamme unitarie costanti; il controllo, pertanto, va normalmente effettuato all'origine. Quando nelle fasi commerciali viene rilevato uno scarto in meno sul singolo preimballaggio, il prodotto è da ritenersi conforme se tale scarto è nei limiti previsti dall'art. 5 della legge 690/1978 (per i preimballaggi CEE) o del corrispondente decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980 per i preimballaggi diversi da quelli CEE. Se lo scarto è superiore a quello tollerato, l'organo di vigilanza allerta l'Ufficio metrico competente per territorio affinché provveda alle necessarie verifiche presso il confezionatore, al fine di accertare che abbia superato il controllo statistico al riguardo. Il prodotto va sequestrato quando lo scarto rilevato è superiore al doppio di quello previsto (art.5 della legge 690/1978 e art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980);
3. gli scarti in meno (tolleranze) sui contenuti degli imballaggi preconfezionati, previsti all'art. 5, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980 e all'allegato 1 della legge n. 690/1978 si applicano non solo sul contenuto totale dei preimballaggi ma anche sulla quantità di prodotto sgocciolato per i prodotti alimentari immessi in un liquido di governo: dette tolleranze non tengono ovviamente conto delle disposizioni più specifiche di cui alle metodiche analitiche riconosciute;
4. ai prodotti, che sono stati confezionati a gamme di peso variabili, si applicano le tolleranze tuttora valide previste all'allegato D del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/1980, in quanto sono compatibili con le norme successivamente emanate. Tali tolleranze, infatti, possono applicarsi solo ai prodotti confezionati a gamme unitarie variabili;
5. Poiché non è possibile indicare tanti lotti quante sono le esigenze (merceologiche, sanitarie o metrologiche), ogni dicitura di lotto deve essere tale da soddisfarle tutte. Vale il principio, pertanto, previsto all'articolo 17 del decreto legislativo n. 231/2017, il quale prevede al comma 4 che il lotto è determinato dal produttore o dal confezionatore del prodotto alimentare o dal primo venditore stabilito nell'Unione europea ed è apposto sotto la propria responsabilità, escludendo pertanto qualsiasi tipo di comunicazione alle amministrazioni pubbliche in merito alle modalità di identificazione;
6. in riferimento a quanto previsto dall'articolo 23 e dall'allegato II del regolamento (UE) n. 1169/2011, la quantità riportata sugli imballaggi dei prodotti soggetti a notevoli cali di peso è quella apposta al momento della esposizione per la vendita. In un'eventuale verifica per la determinazione della quantità occorre tener conto anche dell'acqua residua della confezione. Detti prodotti, ivi compresi i formaggi freschi a pasta filata, possono anche non riportare, nell'etichettatura, l'indicazione della quantità, se sono venduti a richiesta dell'acquirente e pesati alla sua presenza;
7. per i prodotti cotti o precotti, che sono confezionati prima della cottura, per la determinazione della quantità occorre tener conto anche del liquido di cottura. Poiché la quantità menzionata nella etichettatura è determinata all'atto del confezionamento, il relativo controllo deve tenerne conto. Si ritiene che in tal caso l'acquirente vada adeguatamente informato che la quantità menzionata in etichetta contempli non solo la parte carnea, ma anche il liquido gelatinoso. Tale informazione va riportata in un punto evidente dell'etichetta, perché possa essere percepita immediatamente dall'acquirente;
8. Secondo quanto previsto all'allegato IX del regolamento (UE) n. 1169/2011, quando l'alimento è stato glassato, il peso netto indicato dell'alimento non include la glassatura.
PESO/PESO NETTO
L'art. 23 del regolamento (UE) n. 1169/2011 prescrive che la quantità dei prodotti alimentari preimballati, per i prodotti diversi da quelli liquidi, debba essere espressa in unità di massa.
Viene segnalato che, in taluni Paesi dell'Unione europea, è richiesto di far precedere l'indicazione della quantità dalla dicitura «Peso netto» per i prodotti diversi da quelli liquidi e viene richiesto anche di conoscere se tale indicazione è effettivamente obbligatoria.
Nessuna norma ha mai prescritto regole al riguardo e nemmeno l'attuale regolamento (UE) n. 1169/2011 che riprende quanto previsto nelle precedenti disposizioni, stabilendo che qualunque sia il tipo di quantità riportato in etichetta (nominale, netta, media, meccanicamente determinata e simili), tale quantità è da intendersi come la quantità netta. Le norme metrologiche, fatte salve dall'art. 11 del regolamento (UE) n. 1169/2011, nulla hanno prescritto circa l'obbligo di indicazione della dicitura «peso netto». La dicitura «peso netto», pertanto, è da ritenersi non obbligatoria, ma la sua indicazione non è vietata.
ETICHETTATURA DEGLI IMBALLAGGI E DEI CONTENITORI PER LIQUIDI
Il decreto legislativo n. 152/2006 all'art 219 c. 5 (come modificato dal decreto legislativo n. 116/2020) prevede, analogamente al decreto legislativo n. 22/1997 ora abrogato, che "Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione dell'Unione europea, per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, nonché per dare una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali degli imballaggi. Ai fini della identificazione e classificazione dell'imballaggio, i produttori hanno, altresì, l'obbligo di indicare la natura dei materiali di imballaggio utilizzati, sulla base della decisione 97/129/CE della Commissione.". Inoltre, in data 21 novembre 2022 è stato pubblicato il decreto ministeriale n. 360 del 28 settembre 2022, che adotta le Linee Guida sull'etichettatura ambientale, ai sensi dell'art. 219, comma 5.1, del decreto legislativo n. 152/2006, per il corretto adempimento degli obblighi di etichettatura degli imballaggi da parte dei soggetti responsabili.
PRODOTTI CON EDULCORANTI
L'allegato II del regolamento (CE) n. 1333/2008 elenca gli edulcoranti che possono essere utilizzati nella fabbricazione di taluni prodotti alimentari, indicando casi e dosi d'impiego.
Per quanto riguarda i casi d'impiego vengono indicate le categorie merceologiche e non i singoli prodotti con le relative denominazioni di vendita. Vi rientrano i prodotti di cioccolato, i nettari di frutta, le confetture, le gelatine di frutta, le marmellate e la crema di marroni nonché altri prodotti. Le denominazioni di vendita di questi prodotti rimangono inalterate con la sostituzione totale o parziale degli zuccheri; tuttavia, le stesse devono essere accompagnate dalla dicitura «con edulcorante/i» oppure «con zucchero/i ed edulcorante/i», a seconda che si tratti di sostituzione totale o parziale dello zucchero, inteso come il complesso dei mono-disaccaridi, secondo quanto previsto dalle disposizioni di etichettatura di cui all'allegato III del regolamento (UE) n. 1169/2011 parte 2. A titolo di esempio, "Alimenti contenenti edulcoranti": prodotto di cioccolato con sostituzione totale di zucchero: cioccolato fondente con edulcorante/i; prodotto di cioccolato con sostituzione parziale di zucchero: cioccolato al latte con zucchero ed edulcorante/i.
Il Direttore Generale per la Politica industriale, la riconversione e la crisi industriale, l'innovazione, le PMI e il Made in Italy
PAOLO CASALINO