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Direzione scientifica di M. Alessandra Sandulli e Andrea Scuderi
31/03/2015
GIUSTIZIA / Giudizio civile

Abusiva parcellizzazione del credito: quali sanzioni?

Si consolida l'orientamento della Suprema Corte in forza del quale l'abusivo frazionamento della domanda giudiziale in distinti processi può dar luogo alla riunione dei procedimenti o alla condanna del creditore al pagamento delle spese processali, non già ad una pronuncia di inammissibilità delle relative domande.

La Suprema Corte torna a pronunciarsi sulla vexata quaestio dell'abuso del processo, nella fattispecie dell'artificiosa parcellizzazione del credito unitario in distinte frazioni, ciascuna partitamente azionata in assenza di alcun apprezzabile interesse del creditore e con ingiustificato aggravamento della posizione del debitore.
Ferma restando la qualificazione della condotta del creditore in termini di abuso del processo (dunque ribadendo quanto già statuito da SS.UU. 23726/2007), l'orientamento più recente della Suprema Corte tende a mitigare le conseguenze sanzionatorie della condotta contraria ai doveri di buona fede e correttezza, escludendo che l'abuso possa dar luogo ad una pronuncia in rito di inammissibilità delle domande frazionate.
Segnatamente, si afferma che è illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione, derivandone che il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione della cause autonomamente introdotte dal creditore deve individuarsi vuoi nella riunione delle medesime, vuoi sul piano della liquidazione delle spese di lite, da riguardarsi come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine.

Massimo Fricano
ALLEGATO 1 Cassazione Civile - Sentenza 19 Marzo 2015, n. 5491
> Giudizio civile - Frazionamento della domanda - Abuso del processo - Sussiste - Inammissibilità delle domande frazionate - Non si configura
Cod. Civ. , art. 1175
Cod. Proc. Civ. , art. 91
> Ferma restando la natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito, la sanzione di tale comportamento non può consistere nella inammissibilità delle domande giudiziali, essendo illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione. Sicché il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte deve individuarsi - in applicazione di istituti processuali ordinari - vuoi nella riunione delle medesime, vuoi sul piano della liquidazione delle spese di lite; da riguardarsi come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Libertino Alberto Russo - Presidente -
Dott. Angelo Spirito - Consigliere -
Dott. Giacomo Maria Stalla - Rel. Consigliere -
Dott. Antonietta Scrima - Consigliere -
Dott. Marco Rossetti - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 5491/2015
sul ricorso 7899-2012 proposto da: A. SPA, in persona dell'Amministratore Delegato LUCCHINI ROBERTO, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell'avvocato ELISABETTA NARDONE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato VINCENZO DE NISCO giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
D. S., titolare dell'omonima ditta, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO 10, presso lo studio dell'avvocato GUIDO FIORENTINO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 231/2011 del TRIBUNALE DI MESSINA SEDE DISTACCATA DI TAORMINA, depositata il 21/10/2011, RR.GG.NN. da 414/2007 a 423/2007 e da 602/2007 a 615/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito l'Avvocato ELISABETTA NARDONE;
udito l'Avvocato GUIDO FIORENTINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
D. S., titolare della omonima ditta individuale avente ad oggetto la gestione convenzionata di parcheggi in aree comunali mediante parcometri elettronici, conveniva in giudizio A. spa, chiedendone la condanna al pagamento della somma complessiva di euro 35,68 a titolo di tariffa ed accessori per il mancato pagamento della sosta da parte di un'autovettura di proprietà della convenuta.
Con sentenza n. 51/07 l'adito giudice di pace di Santa Teresa di Riva accoglieva la domanda, con condanna di quest'ultima al pagamento della suddetta somma e delle spese di lite.
Interposto gravame, veniva emessa la sentenza n. 231/11 con la quale il tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina - previa riunione al giudizio di numerosi appelli proposti avverso altre sentenze emesse in identiche controversie tra le stesse parti - confermava le decisioni di primo grado, con condanna della società appellante alla rifusione delle spese di lite.
Avverso questa sentenza viene dalla società convenuta proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, ai quali resiste il D. S. con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ., con richiamo a successive pronunce di merito a sé favorevoli.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5 1.1 Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta
- ex art. 360, l^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione normativa, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione; per avere il giudice di appello erroneamente affermato la sua responsabilità per il pagamento della tariffa di sosta, nonostante che il contratto di parcheggio fosse, nella specie, stato concluso non già da essa società convenuta, bensì direttamente dal conducente dell'autoveicolo a nolo mediante accettazione, per fatti concludenti, della proposta di parcheggio del gestore.
§ 1.2 Si tratta di motivo inaccoglibile.
Il giudice di appello ha ritenuto che in assenza di prova del fatto che, nella specie, l'automezzo fosse stato parcheggiato da un soggetto diverso dal proprietario - prova che doveva essere fornita dalla società di autonoleggio la quale, tuttavia, non aveva prodotto il contratto di noleggio, né aveva chiesto di essere autorizzata a chiamare in giudizio il cliente nell'esercizio della rivalsa contrattuale - l'obbligazione di pagamento della tariffa di sosta non potesse che essere posta a carico della società, in quanto proprietaria del veicolo.
Sul piano della lamentata violazione normativa, la decisione del giudice di appello appare giuridicamente corretta là dove pone la responsabilità per il mancato pagamento della tariffa di parcheggio presuntivamente in capo alla società proprietaria del veicolo. Si tratta di decisione che si basa sulla normale acquisizione del veicolo alla sfera di giuridica e material disponibilità del proprietario, con quanto ne consegue in ordine alla riferibilità a quest'ultimo delle conseguenze della circolazione; non soltanto di quelle aquiliane o sanzionatorie (per le quali opera la regola di solidarietà rispettivamente prevista dagli artt. 2054 3^ co., e 196 l^ co. CdS), ma anche di quelle, come la presente, di natura meramente contrattuale. In tema di parcheggio in area di gestione privata, poi, la responsabilità del proprietario del veicolo deriva dalla sussistenza di un rapporto contrattuale in quanto tale (tipico o atipico), a prescindere dalla sua qualificazione giuridica (secondo quanto stabilito dalla sentenza SSUU n. 14319/11, citata anche nella decisione qui impugnata) in termini di locazione di area, piuttosto che di deposito con obbligo di custodia.
Qualificazione, quest'ultima, rilevante allorquando si tratti di definire la natura ed ampiezza delle prestazioni poste rispettivamente a carico delle parti contraenti, ma sostanzialmente ininfluente ai fini della presente controversia; nella quale non si pone tale esigenza, quanto solamente quella di individuare la parte contraente tenuta al pagamento del corrispettivo pattuito, come da tariffa oraria, per il servizio di parcheggio. Va d'altra parte osservato come la stessa società di autonoleggio non contesti la correttezza formale della regola di imputazione qui affermata, limitandosi a sostenere che, nel caso di specie, la presunzione ravvisata dal giudice di merito dovrebbe reputarsi superata dall'avvenuta prova della conclusione del contratto di parcheggio, per facta concludentia, ad opera di un soggetto diverso, individuabile nel cliente che aveva ricevuto a nolo la vettura.
Venendo, con ciò, al profilo della lamentata carenza motivazionale, la società ricorrente - che impropriamente definisce "egittimazione passiva"quella che altro non è, come detto, se non la titolarità in capo ad essa convenuta dell'obbligazione di pagamento - assume infatti l'incongruità della valutazione resa dal giudice di merito in ordine al mancato superamento della suddetta presunzione di imputazione al proprietario degli effetti contrattuali. Essa contrasta questa ratio decidendi assumendo che la prova richiesta dal giudice di merito doveva invece rinvenirsi nella documentazione già versata gli atti di causa; documentazione attestante il noleggio del veicolo da essa effettuato a favore di terzi, nonché la pregressa comunicazione all'attore del nome del cliente-conducente.
Sotto questo profilo, il motivo di ricorso palesa per più versi la propria radicale inammissibilità.
In primo luogo, esso mira a suscitare in questa sede una diversa valutazione probatoria della fattispecie; di per sé rientrante tra le prerogative del giudice di merito il quale, nel soppesare il quadro istruttorio complessivo, ha qui ritenuto a tal fine inidonea la documentazione versata in causa. Né tale conclusione può apparire di per sé incongrua sulla sola considerazione della incontrovertibilità dell'oggetto statutario perseguito dalla società di autonoleggio; una cosa è infatti l'attività imprenditoriale perseguita dalla società, ed altra le concrete modalità di utilizzo del singolo autoveicolo dedotto nel caso specifico. Sicché la circostanza, per quanto pacifica, che gli autoveicoli della società convenuta fossero normalmente destinati al noleggio senza conducente, non esclude di per sé - quantomeno sul piano logico - che dello specifico servizio di parcheggio dedotto in giudizio abbia in ipotesi potuto fruire direttamente la società stessa al di fuori di qualsivoglia rapporto contrattuale con terzi. E ciò è stato dal giudice di merito ritenuto, ad ulteriore conferma della non incongruità della decisione assunta, in una situazione nella quale altrettanto incontroverso era che la documentazione comprovante la conclusione, nella specificità del caso, di un rapporto di noleggio senza conducente con terzi dovesse trovarsi nella piena disponibilità della convenuta medesima (proprio in ragione della sua natura ed attività), che di essa poteva agevolmente avvalersi in giudizio per fornire la prova posta a suo carico. In secondo luogo, la ricorrente non specifica - nella doglianza in esame - in cosa consista la documentazione probatoria asseritamente pretermessa o "mal valutata" dal giudice di merito; non indica in quale sede processuale sia stata prodotta, né dove sia rinvenibile agli atti di causa; non ne riporta il contenuto.
Ciò preclude in radice la possibilità di controllare sul piano logico-giuridico la correttezza del ragionamento del giudice di merito il quale, all'opposto, ha affermato che tale prova non era stata fornita mediante la produzione in giudizio del contratto di noleggio a terzi, ovvero di altra documentazione atta allo scopo.
La formulazione della censura appare, in definitiva, a tal punto generica da risultare carente del requisito di autosufficienza ex articolo 366, primo comma n. 6) cpc; carenza che preclude, in particolare, qualsivoglia verifica in ordine alla, almeno potenziale, idoneità della documentazione invocata a determinare una diversa decisione di merito. Soccorre, in proposito, il consolidato principio (Cass.ord. n. 17915/10; Cass. sent. n. 13677/12 ed altre in termini) per cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione. Ciò al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse; prove che, per il suddetto principio dell'autosufficienza del ricorso, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto ed in esso immediatamente percepibili, senza esperimento di indagini o ricerche integrative.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente deduce omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo di causa; per avere il giudice di merito omesso di rilevare l'improponibilità della domanda attorea per violazione da parte del D. S. degli obblighi di buona fede e artt. 88 cpc e 1175 cc, nonché per "abuso del processo". Ciò perché l'attore aveva separatamente introdotto innumerevoli domande nei suoi confronti (in n. di ben 290) mediante strumentale parcellizzazione di una pretesa unitaria (mancato pagamento della tariffa di altrettante auto date a noleggio senza conducente) portata da un unico atto (lettera RR) di messa in mora ed inoltre asseritamente derivante da un medesimo rapporto obbligatorio tra essa convenuta ed il gestore del parcheggio.
2.2 La censura è infondata.
Questa corte di legittimità (v. SSUU n. 23726 del 15/11/2007) ha effettivamente inserito l'ipotesi di frazionamento del credito nel novero dei casi di abuso del processo; e ciò ha fatto (rettificando, anche sulla scorta della sopravvenuta modificazione dell'articolo 111 Cost., quanto precedentemente affermato da SSUU n. 108/00) sul rilievo che la scissione strumentale del contenuto dell'obbligazione, comportante inutile aggravamento della posizione del debitore senza apprezzabile interesse del creditore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede che deve improntare il rapporto obbligatorio anche nella fase dell'azione giudiziale di adempimento; sia con il principio del giusto processo e, nell'ambito della considerazione complessiva del funzionamento degli organi di giustizia, della ragionevole durata del medesimo. Su tale presupposto - di abuso degli strumenti processuali di tutela offerti alla parte dall'ordinamento - è stata affermata la improponibilità, ovvero inammissibilità, delle domande aventi ad oggetto una frazione soltanto dell'unico credito (in tal senso, anche Cass. n. 15476 dell'il giugno 2008, in materia di fornitura commerciale; Cass. n. 28286 del 22 dicembre 2011, in materia di risarcimento del danno alla persona a seguito di sinistro stradale).
Questo orientamento è stato tuttavia riconsiderato in altre pronunce, nelle quali si è affermato che - ferma restando la natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito - la "sanzione" di tale comportamento non può consistere nella inammissibilità delle domande giudiziali, "essendo illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalità della sua utilizzazione".
Sicché il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno della fittizia proliferazione delle cause autonomamente introdotte deve individuarsi - in applicazione di istituti processuali ordinari - vuoi nella riunione delle medesime, vuoi sul piano della liquidazione delle spese di lite; da riguardarsi "come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine" (così Cass. ord. n. 10634/10; in termini, Cass. n. 10488/11; Cass. 9488/14 ed altre). Ciò senza escludere una possibile responsabilità disciplinare a carico dell'unico difensore che - omettendo di accorpare le posizioni in contestazione - abbia determinato l'indebito aggravamento della posizione della controparte, in violazione dell'articolo 49 del codice deontologico forense (così SSUU n. 14374 del 10 agosto 2012).
Ciò premesso in linea generale, si ritiene che correttamente il giudice di merito non abbia qui pronunciato l'inammissibilità delle domande proposte dal D. S. nei confronti della società di autonoleggio, ancorché introdotte in maniera frazionata.
Questa conclusione si impone non solo in ragione del suddetto orientamento di legittimità secondo il quale, in simili ipotesi, l'illegittimità "non attiene allo strumento adottato, ma alla modalità della sua utilizzazione", ma anche sulla considerazione che le pretese del D. S. (ancorché avanzate nei confronti della stessa controparte, ed in forza di fattispecie causative sostanzialmente identiche) non davano origine ad un unitario rapporto obbligatorio, bensì ad una pluralità di rapporti distinti.
Questo specifico aspetto del problema non può dirsi di poco conto, dal momento che lo stesso orientamento di legittimità su richiamato - quand'anche affermativo, nelle sue estreme conseguenze, della radicale inammissibilità delle domande frazionate - presuppone pur sempre che la scissione delle posizioni processuali si correli ad un rapporto sostanziale unitario.
Nel caso qui in esame, al contrario, si verteva di distinti rapporti contrattuali di parcheggio; stipulati in momenti diversi e per autoveicoli diversi.
Tale circostanza, a ben vedere, è resa manifesta dalla stessa società di autonoleggio la quale se, da un lato, ha fatto constar e come l'attore avesse dedotto i molteplici inadempimenti in un unico atto stragiudiziale di messa in mora, ha - dall'altro basato tutte le sue difese proprio sulla circostanza che ogni singolo parcheggio concretasse nella specie la stipulazione, per fatti concludenti, di altrettanti autonomi contratti; per giunta da parte di diversi soggetti (i vari clienti a nolo) la cui identificazione personale - quali singoli ed esclusivi responsabili del mancato pagamento della tariffa - costituiva oggetto di prova liberatoria da valutarsi caso per caso.
Il che definisce una situazione certamente ripetitiva, ma non propriamente di unitarietà obbligatoria.
Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso.
Quanto alle spese del presente procedimento, non vi sono ragioni per non fare concreta applicazione del su riportato orientamento di legittimità che individua, tra le altre, proprio nella disciplina delle spese di lite una delle contromisure atte a fronteggiare e limitare, per quanto possibile, gli effetti distorsivi del frazionamento giudiziale delle pretese; effetti distorsivi indubbiamente ravvisabili pure nella presente fattispecie. L'adozione di tale criterio induce - nel riscontro della seriale pendenza di molteplici altri ricorsi sulla medesima questione - a senz'altro qui ravvisare i presupposti dell'integrale compensazione.
P. Q. M.
La Corte
- rigetta il ricorso;
- compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile in data 3 dicembre 2014.
 
IL PRESIDENTE
Alberto Libertino Russo
IL CONSIGLIERE EST.
Giacomo Stalla
 
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2015
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Innocenzo Battista
 


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