REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giuseppe Salmè - Presidente
Dott. Roberta Vivaldi - Rel. Consigliere
Dott. Adelaide Amendola - Consigliere
Dott. Franco De Stefano - Consigliere
Dott. Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 7121/2015
sul ricorso 9280-2013 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., considerato domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per legge;
- ricorrente -
contro
C. S.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1713/2012 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, depositata il 31/10/2012 R.G.N. 2401/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2015 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l'Avvocato PASQUALE PICCIARIELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con la decisione in questa sede impugnata il Tribunale di Reggio Calabria ha dichiarato inammissibile l'opposizione proposta dal Ministero della Giustizia nell'esecuzione per espropriazione presso terzi intrapresa nei suoi confronti da C. S., sulla base del decreto della Corte d'Appello di Catanzaro in tema di equa riparazione per violazione de1 termine di durata ragionevole del processo.
Il Tribunale ha qualificato come opposizione agli atti esecutivi l'azione proposta dal Ministero esecutato per lamentare la nullità del pignoramento per mancato rispetto del D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter, convertito nella L. n. 181 del 2008, ed ha concluso nel senso dell'inammissibilità perché il ricorso in opposizione era stato depositato il 26.10.2009, quindi ben oltre i1 termine di venti giorni dall'atto di pignoramento, che era stato notificato il 10.7.2009.
2. - Avverso la sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso straordinario affidato a tre motivi.
L'intimato non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 617 c.p.c., dell'art. 1 ter del D.L. 16.09.2008, n. 143, (così come convertito dalla Legge 13.11.2008 n. 181), in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c..
Il Ministero sostiene che il pignoramento avrebbe dovuto essere g. eseguito secondo le forme imposte dal D.L. n. 313 del 1994, art. 1, richiamato dall'art. 1 ter, citato e che il mancato rispetto di queste forme comporterebbe una nullità espressamente prevista, da qualificarsi come insanabile, rilevabile d'ufficio e non assoggettata a1 termine dell'art. 617 c.p.c..
Lamenta l'erroneità della sentenza che ha applicato quest'ultimo termine, dichiarando perciò inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi.
1.1. - Con il secondo motivo, si ribadiscono le medesime censure, denunciando il vizio di violazione delle stesse norme in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c..
2. - I motivi non sono fondati, ma la motivazione della sentenza deve essere corretta.
Le ragioni.
Il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, (così come convertito dalla L. 13 novembre 2008, n. 181), entrato in vigore il 16 novembre 2008, ha esteso la forma di pignoramento prevista dal D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, e successive modificazioni, "ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia".
Secondo il Ministero ricorrente, l'effetto di questa estensione sarebbe che, in presenza di fondi pignorabili diversi da quelli da ultimo menzionati, i pignoramenti a carico del Ministero della Giustizia si dovrebbero eseguire sempre nelle forme dell'espropriazione mobiliare presso il debitore con atto notificato al funzionario delegato nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, secondo quanto previsto dal D.L. n. 313 del 1994, art. 1; con la conseguenza che, ai sensi del comma terzo di questo stesso articolo, non sarebbero mai ammessi nei confronti del Ministero della Giustizia atti di pignoramento presso le sezioni di tesoreria dello Stato, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio.
2.1.- La questione da risolvere non è tanto quella, affrontata, in via principale, da entrambi i motivi di ricorso, della natura e della sanabilità di questa nullità, nonché dei rimedi esperibili avverso il pignoramento che ne sia affetto, quanto quella dell'applicabilità della norma che la prevede, vale a dire dell'applicabilità, al pignoramento oggetto della presente opposizione, del D.L. n. 313 del 1994, art. 1, in quanto richiamato dal D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter, e del significato da attribuire a questo richiamo. Quindi occorre verificare se sia corretto il presupposto di diritto sul quale il Ministero fonda le proprie censure: l'esclusività della forma del pignoramento diretto quale unica utilizzabile nei confronti del Ministero della Giustizia; a cui farebbe seguito l'invalidità del pignoramento presso terzi eseguito dal D., con sottoposizione ad esecuzione delle somme detenute per conto dell'Amministrazione dalla Banca, (nella qualità di terzo pignorato).
Soltanto se le dette norme fossero applicabili, si avrebbe la dedotta nullità e quindi si dovrebbe affrontare l'ulteriore questione della natura di tale invalidità.
3. L'effetto dell'estensione di cui alla norma da questo richiamata è, però, soltanto quello per cui i fondi contemplati dal D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, così come convertito dalla L. 13 novembre 2008, n. 181, siano impignorabili, ma con le eccezioni relative ai crediti espressamente indicati dal D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 22 luglio 1994, n. 460.
Quest'ultima norma prevede infatti, al primo comma, che i fondi di contabilità speciale ivi espressamente contemplati, "non sono soggetti ad esecuzione forcata, salvo che per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile (A), nonché dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180". Segue ai comma successivi la previsione delle modalità con cui si effettua il pignoramento, nei soli casi in cui è consentito sui fondi vincolati, vale a dire nei casi menzionati dal comma 1. Soltanto per tali ultimi crediti il mezzo di espropriazione utilizzabile per pignorare somme facenti parte dei fondi di contabilità speciale è il pignoramento diretto presso il debitore, con la conseguente nullità, insanabile e rilevabile d'ufficio, del pignoramento eseguito presso le sezioni di tesoreria dello Stato. In conclusione, la speciale disciplina prevista dal D.L. n. 313 del 1994, art. 1, si applica ai soli casi in cui, in via eccezionale, è ammesso il pignoramento di fondi vincolati. Depone in tale senso anche la lettera della legge, laddove prevede, a1 terzo comma, l'inammissibilità di forme diverse di pignoramento, quando questo possa essere eseguito "ai sensi della presente legge". Il significato dell'estensione effettuata con il D.L. n. 143 del 2008, può essere colto appieno soltanto considerando quanto previsto dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1348 - Legge finanziaria 2007, che, aggiungendo la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 294 bis, - Legge finanziaria 2006, aveva sottratto all'esecuzione forzata, senza alcuna eccezione, fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionali delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudicati e della Direzione Nazionale Antimafia e della Presidenza del Consiglio dei ministri".
Con il D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, così come convertito dalla L. 13 novembre 2008 n. 181, si è, invece, consentita la pignorabilità degli stessi fondi, sia pure nei soli casi contemplati dal D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, ed, in tali casi, con le modalità del pignoramento diretto previste dalla stessa norma. Tra le ipotesi eccezionali di pignorabilità previste dal D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 22 luglio 1994, n. 460,fr non vi sono i crediti vantati dai privati in forza di un decreto di liquidazione emesso dalla Corte d'Appello ai sensi della L. n. 89 del 2001.
3.1. - Nel caso in esame, è stato posto in esecuzione il decreto rep. n. 1715 del 31.10 - 14.11.2007 emesso in favore di C. S. ed a carico del Ministero della Giustizia dalla Corte d'Appello di Catanzaro ai sensi della L. n. 89 del 2001. Il creditore ha sottoposto ad esecuzione, con la forma dell'espropriazione presso terzi, le somme detenute per conto dell'Amministrazione dalla Banca, Tesoreria provinciale dello Stato di Reggio Calabria (terzo pignorato); la Banca ha trasmesso la dichiarazione di terzo di cui all'art. 547 c.p.c., dando atto, oltre che dell'entrata in vigore della disciplina del D.L. n. 143 del 2008, dell'apposizione comunque del vincolo pignora tizio sugli ordini di accreditamento specificati nella stessa dichiarazione "attesa la disponibilità di altri fondi" ritenuti pignorabili nella forma del pignoramento presso terzi.
Questa dichiarazione consente perciò di escludere che fossero stati pignorati fondi contemplati dal D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter, così come convertito dalla L. 13 novembre 2008, n. 181 (vale a dire "fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrativo dal Ministero della giustizia, accreditati mediante apertura di credito in favore dei funzionati delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione Nazionale Antimafia").
Esclusa l'ipotesi dell'impignorabilità dei fondi di contabilità speciale, non avrebbe potuto trovare applicazione la disciplina sulla forma speciale del pignoramento difetto presso il debitore, che le norme sopra richiamate riserva(va)no ai casi eccezionali di pignorabilità di fondi di contabilità speciale per particolari crediti, tra i quali non rientra(va)no i crediti per equa riparazione di cui alla legge n. 89 del 2001.
I primi due motivi, pertanto, non possono essere accolti perché l'art. 1 ter d.l. n. 143 del 2008 convertito dalla L. n. 181 del 2008 - del quale si denuncia la violazione e la falsa applicazione non si sarebbe potuto applicare, in quanto non destinato a disciplinare l'azione esecutiva intrapresa contro il Ministero della Giustizia sulla base del titolo esecutivo e costituito dal decreto pronunciato ai sensi della l. n. 89 del 2001.
4.- Riscontro normativo di questa conclusione lo si ricava dal disposto dell'attuale L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito nella L. 6.6.2013 n. 64.
La disposizione fa seguito ad una modifica del menzionato L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294 bis, attuata con la L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 24, nei seguenti termini:
"Non sono soggetti ad esecuzione forcata i fondi destinati al pagamento di spese per servici e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, destinati al pagamento di somme liquidate a norma della L. 24 marzo 2001, n. 89, ovvero di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri", in vigore dal 1 gennaio 2013.
A distanza di pochi mesi, il legislatore ha ritenuto tale ultima modifica non idonea, da sola, a garantire l'ordinato pagamento dei creditori di somme liquidate ai sensi della legge Pinto.
Perciò, ha introdotto l'attuale L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies, che, nell'enunciare la finalità della modifica normativa, prevede: "1. Al fine di assicurare un'ordinata programmazione dei pagamenti dei creditori di somme liquidate a norma della presente legge, non sono ammessi, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge. (2. Ferma restando l'impignorabilità prevista dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 294 bis e 294 ter, e successive modificazioni, anche relativamente ai fondi, alle aperture di credito e alle contabilità speciali destinati al pagamento di somme liquidate a norma della presente legge) i ereditari di dette somme, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro 3^, titolo 2^, capo 2^ del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui all'articolo 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l'effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate.
L'ufficio competente presso i Ministeri di cui all'art. 3, comma 2, a cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, ovvero il funzionario delegato sono tenuti a vincolare l'ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata; la notifica rimane priva di effetti riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi.
3. Gli atti di pignoramento o di sequestro devono indicare a pena di nullità rilevabile d'ufficio il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione.
4. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati alla Tesoreria centrale e alle Tesorerie provinciali dello Stato non determinano obblighi di accantonamento da parte delle Tesorerie medesime, ne' sospendono l'accreditamento di somme a favore delle Amministrazioni interessate. Le Tesorerie in tali casi rendono dichiarazione negativa, richiamando gli estremi della presente disposizione di legge.
5. Il D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di somme liquidate a norma della presente legge, ivi compresi quelli accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionali delegati degli uffici centrali e periferici delle amministrazioni interessate".
Pertanto, la modalità di pignoramento c.d. diretto che si vorrebbe applicabile alla riscossione coattiva delle somme liquidate ai sensi della legge Pinto già a far data dall'entrata in vigore del D.L. n. 143 del 2008, è stata introdotta per queste somme dal D.L. n. 35 del 2013, art. 6, che ha inserito la L. n. 89 del 2001, art. 5 quinquies; con la conseguente inapplicabilità a fattispecie precedenti. Soltanto a far data dall'entrata in vigore della disposizione appena richiamata i creditori di somme liquidate ai sensi della L. n. 89 del 2001, che non ne ottengano il pagamento in via spontanea, debbono agire in via esecutiva con le forme del pignoramento diretto ed, in caso di notificazione di un atto di pignoramento presso le Tesorerie, queste sono tenute a rendere dichiarazione negativa. D'altronde, l'incipit del nuovo art. 5 quinquies, laddove vieta "a pena di nullità rilevabile d'ufficio, atti di sequestro o di pignoramento presso la Tesoreria centrale e presso le Tesorerie provinciali dello Stato per la riscossione coattiva di somme liquidate a norma della presente legge", presuppone che prima dell'entrata in vigore della modifica normativa il pignoramento presso terzi fosse la modalità normale di riscossione coattiva dei crediti in parola.
La nuova disposizione è entrata in vigore in data 9 aprile 2013, ai sensi del D.L. n. 35 del 2013, art. 13, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 82 del 8.4.2013.
Essa regola le modalità dell'azione esecutiva.
Ne deriva che, in mancanza di apposita disciplina transitoria, la nuova normativa non può che regolare le azioni esecutive intraprese con atti di pignoramento eseguiti successivamente alla data della sua entrata in vigore.
In conclusione, va affermato che fino alla data di entrata in vigore della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5 quinquies, introdotto dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 6, comma 6, convertito nella L. 6 giugno 2013, n. 64, i creditori di somme liquidate a norma della stessa L. n. 89 del 2001, dovevano eseguire i pignoramenti con la forma dell'espropriazione presso terzi mediante notificazione dell'atto di pignoramento alla Tesoreria centrale ovvero alla Tesoreria Provinciale dello Stato competente per territorio, in qualità di terzo pignorato, sottoponendo a vincolo fondi diversi da quelli della contabilità speciale, nei limiti della relativa disponibilità.
Soltanto a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'art. 5 quinquies, i creditori di tali somme, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, eseguono i pignoramenti e i sequestri esclusivamente secondo le disposizioni del libro 3^, titolo 2^, capo 2^ del codice di procedura civile, con atto notificato ai Ministeri di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 2, ovvero al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale posto in esecuzione, con l'effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di pagamento relativamente alle somme pignorate e di ottenere l'imposizione del vincolo sull'ammontare per cui si procede, sempreché esistano in contabilità fondi soggetti ad esecuzione forzata.
4.1.- Nel caso in esame il pignoramento è stato notificato il data anteriore al 9 aprile 2013.
L'azione esecutiva intrapresa dal creditore con le forme dell'espropriazione presso terzi è, quindi, conforme a legge (e la dichiarazione resa dal tesoriere ai sensi dell'art. 547 c.p.c., è da intendersi come dichiarazione positiva).
L'opposizione è, quindi, non fondata.
Così corretta la motivazione della sentenza impugnata, i primi due motivi sono rigettati, essendo il dispositivo conforme a diritto.
5. - Con i1 terzo motivo, proposto in via subordinata, si deduce nullità della sentenza ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e art. 186 bis disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Il Ministero ricorrente sostiene che, essendo stata l'opposizione agli atti esecutivi instaurata con ricorso proposto dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, il cui art. 52, ha inserito l'art. 186 bis disp. att. c.p.c., si sarebbe dovuta applicare quest'ultima norma.
Pertanto, il giudizio di merito di cui all'art. 618 c.p.c., comma 2, avrebbe dovuto essere trattato da magistrato diverso dal giudice dell'esecuzione.
Poichè la sentenza impugnata è stata pronunciata dalla medesima persona fisica che, trattando il processo esecutivo, aveva conosciuto del pignoramento avverso il quale è stata proposta l'opposizione, la sentenza sarebbe nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c..
5.1. - Il motivo non è fondato.
La norma dell'art. 186 bis disp. att. c.p.c., si applica ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, in forza della disposizione transitoria della L. n. 69 del 2009, art. 58.
Si applica, quindi, ai giudizi di opposizione agli atti esecutivi proposti con ricorso depositato dopo tale data, quale è il presente.
L'art. 186 bis disp. att. c.p.c., che è stato introdotto dall'art. 52, comma 7, della legge da ultimo citata, prevede che "i giudizi di merito di cui all'art. 618, comma 2, del codice e sono trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione".
La norma si pone in linea di discontinuità col precedente della Consulta n. 497 del 2002, che reputando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 617 c.p.c., comma 2, e art. 618 c.p.c., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 1, art. 25 Cost., art. 101 Cost., comma 2, art. 104 Cost., comma l, e art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui non prevedono l'obbligo di astensione del giudice dell'esecuzione chiamato a conoscere dell'opposizione agli atti esecutivi - aveva ritenuto insussistente l'incompatibilità del giudice dell'esecuzione a conoscere dell'opposizione agli atti esecutivi avverso gli atti dell'esecuzione da lui stesso compiuti in quanto non vi è identità di res iudicanda tra processo esecutivo e giudizio oppositivo; secondo la Corte Costituzionale, questo giudizio, infatti, non configura un'impugnazione in senso proprio e costituisce un distinto processo a cognizione piena, nel contraddittorio delle parti.
Tuttavia, al fine di salvaguardare l'imparzialità e la terzietà del giudice dell'opposizione, sulla base del precetto costituzionale dell'art. 111 Cost., comma 2, il legislatore della riforma del 2009 è intervenuto introducendo la disposizione di attuazione del codice di rito riportata.
La ratio ispiratrice dell'intervento legislativo, anche in ragione del richiamato precedente della Corte Costituzfonale, consente di ricondurre l'incompatibilità sancita dall'art. 186 bis disp. att. c.p.c., all'ipotesi considerata, in generale, quale presupposto dell'obbligo di astensione del giudice, dall'art. 51 c.p.c., n. 4.
Questa norma prevede, tra le altre, l'astensione obbligatoria quando il giudice ha conosciuto del processo come magistrato in altro grado.
La giurisprudenza, anche costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 387/99), ne ha ampliato la portata, imponendo l'obbligo dell'astensione al giudice che abbia conosciuto del processo/condizioni.
Un ulteriore ampliamento si è avuto, per via normativa, con l'introduzione dell'art. 186 bis disp. att. c.p.c., che, però, non è norma sulla costituzione del giudice, ma introduce un'ipotesi speciale di obbligo di astensione del giudice.
La lettera dell'articolo in esame conferma tale conclusione, laddove adopera la medesima espressione dell'art. 51 c.p.c., n. 4, riferendo l'incompatibilità al magistrato che "ha conosciuto" degli atti avverso i quali è proposta l'opposizione. In particolare, sussiste l'incompatibilità alla trattazione della causa di opposizione per il giudice persona fisica che abbia posto in essere gli atti esecutivi opposti ovvero che li abbia "conosciuti" perché compiuti da suoi ausiliari.
L'incompatibilità comporta che, nel caso in cui la causa di opposizione agli atti esecutivi introdotta in sede di merito ai sensi dell'art. 618 c.p.c., comma 2, venga assegnata allo stesso giudice persona fisica che abbia conosciuto dell'atto impugnato come giudice dell'esecuzione, questi ha l'obbligo di astenersi ai sensi dell'art. 51 c.p.c., n. 4.
5.2.- La violazione di quest'obbligo peraltro non comporta, di per sé, un vizio della sentenza che sia stata emessa dal giudice che, pur dovendosi astenere, l'abbia invece pronunciata.
Deve, in proposito, ribadirsi, anche con riferimento all'ipotesi in esame, intesa quale species dell'art. 51 c.p.c., n. 4, che la sentenza pronunciata da un giudice che abbia violato l'obbligo di astenersi, di cui all'art. 51 c.p.c., è nulla soltanto se quel giudice aveva un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio.
Negli altri casi, la violazione dell'obbligo di astensione può costituire solo motivo di ricusazione, con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non è tempestivamente proposta (così, tra le altre, Cass. n. 12263/09, nonché, in riferimento ad un giudizio di opposizione agli atti esecutivi cui non era applicabile l'art. 186 bis disp. att. c.p.c., Cass. n. 12115/13).
Ed invero, anche a seguito della modifica dell'art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice che abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo (art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4) non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina ed, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione.
Né tali istituti - ai quali si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione - possono ritenersi strumenti di tutela inadeguati od incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma di cui all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost. ( Cass. n. 14807/08).
5.3. - In conclusione, va affermato che l'art. 186 bis disp. att. c.p.c., introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 52, comma 7, prevede un'ipotesi speciale di incompatibilità tra il giudice persona fisica che abbia conosciuto dell'atto esecutivo opposto ed il giudice investito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi avverso quello stesso atto, che impone un obbligo di astensione ai sensi dell'art. 51 c.p.c., n. 4.
Tuttavia, in difetto di ricorso per la ricusazione del giudice, ai sensi dell'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4), e art. 52 c.p.c., la violazione dell'obbligo di astensione non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza.
Poiché non risulta che il Ministero, odierno ricorrente, abbia proposto istanza di ricusazione del giudice dell'opposizione agli atti esecutivi che ha pronunciato la sentenza impugnata, i1 terzo motivo è inammissibile.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva.
P. Q. M.
La Corte decidendo sul ricorso rigetta l'opposizione.
Così deciso in Roma, il giorno 22 gennaio 2015, nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte di cassazione.
IL PRESIDENTE
Giuseppe Salmè
IL CONSIGLIERE EST.
Roberta Vivaldi
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2015