REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Federico Roselli - Primo Pres.te f.f.
Dott. Renato Rordorf - Presidente Sezione
Dott. Renato Bernabai - Consigliere
Dott. Aurelio Cappabianca - Consigliere
Dott. Gianfranco Bandini - Consigliere
Dott. Vittorio Nobile - Rel. Consigliere
Dott. Angelo Spirito - Consigliere
Dott. Pietro Curzio - Consigliere
Dott. Adelaide Amendola - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 10455/2015
sul ricorso 3915-2009 proposto da:
V. A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 4, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE TENCHINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIOVANNI PRUNEDDU, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati ALESSANDRO RICCIO, CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
nonché contro
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 362/2008 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 10/10/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/03/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito l'Avvocato Clementina PULLI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. UMBERTO APICE, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, accoglimento, p.q.r., del secondo motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 4-11-2004 V. A. adiva il giudice del lavoro chiedendo l'accertamento del diritto all'indennità di accompagnamento e la condanna dell'INPS all'erogazione della prestazione. Il Tribunale di Cagliari con sentenza del 15-6-2007 accoglieva la domanda e condannava l'INPS alla rifusione delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 999,00 di cui euro 548,00 per diritti e euro 340,00 per onorari.
Avverso la statuizione sulle spese proponeva appello l'originario ricorrente deducendo la violazione dei minimi tariffari. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza depositata il 10-10-2008, in parziale accoglimento dell'impugnazione, liquidava le spese del giudizio di primo grado in euro 1555,88 di cui euro 933,00 per diritti, euro 450,00 per onorari e euro 172,88 per rimborso spese generali; compensava per due terzi le spese di secondo grado e condannava l'INPS alla rifusione del residuo che liquidava in complessivi euro 324,75 di cui euro 165,33 per diritti, euro 123,33 per onorari e euro 36,08 per rimborso spese generali. Osservava la Corte territoriale che, ai fini delle spese, il valore della controversia andava determinato in applicazione del criterio di cui al comma primo dell'art. 13 cod. proc. civ. attesa la sostanziale natura alimentare della prestazione in controversia. Pertanto lo scaglione tariffario di riferimento era quello compreso tra euro 5.200,01 e euro 25.900,00. In merito alle singole voci richieste con la nota spese riteneva non dovute le voci corrispondenti alla richiesta di quattro copie autentiche, di notifica a tre parti nonché di esame delle retate di notifica considerato che le parti in giudizio erano solo due. In ragione del parziale accoglimento dell'appello compensava parzialmente le spese.
Per la cassazione della detta sentenza V. A. ha proposto ricorso con due motivi.
L'INPS ha resistito con controricorso.
Il Ministero dell'economia e delle finanze è rimasto intimato.
Con ordinanza interlocutoria n. 10350/2014 depositata il 13-5-2014, la Sezione Lavoro, rilevato il contrasto "tra due indirizzi giurisprudenziali riguardanti la determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese di lite nelle controversie relative a prestazioni assistenziali e previdenziali", ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
In particolare la Sezione Lavoro, dopo aver esaminato i detti due indirizzi, ha affermato che "per concludere quindi sul punto, con il patrocinare l'applicabilità del disposto dell'art. 13 c.p.c., comma 2, anche alle prestazioni assistenziali e previdenziali si finisce per non attribuire nell'esame di dette prestazioni alcun significativo e distintivo rilievo alla natura ben diversa delle rendite temporanee e vitalizie, costituenti figure contrattuali proprie del rapporto tra privati, aventi tra l'altro natura aleatoria; figure, quindi, del tutto estranee all'area giuslavoristica e specificamente di quella della previdenza ed assistenza, incentrata invece sul generale, ineludibile dovere di solidarietà collettiva ex art. 38 Cost. - in presenza di una situazione, effettiva o presunta,di bisogno."
La Sezione, infine, ha altresì rilevato che "la questione di diritto in esame inoltre - e sempre alla stregua dell'art. 374 c.p.c. (comma 2) - deve considerarsi di massima, di particolare importanza in considerazioni delle notevoli dimensioni del contenzioso previdenziale ed assistenziale e delle ricadute in termini di oneri finanziari a carico degli enti pubblici erogatori delle prestazioni, derivanti dall'opzione per l'uno o per l'altro degli indirizzi giurisprudenziali in precedenza indicati."
La causa è stata, quindi, rimessa a queste Sezioni Unite.
Il V. A. e l'INPS hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 13 e 12 c.p.c. e dell'art. 12 preleggi nonché vizio di motivazione, censurando la decisione della Corte d'Appello per avere, nella determinazione del valore della causa ai fini delle spese di lite, ritenuto applicabile il criterio di cui all'art. 13 c.p.c., comma 1, anziché il criterio di cui al comma 2.
In particolare il ricorrente, riportandosi alla giurisprudenza consolidata, ribadisce la applicabilità del detto comma secondo "a tutte le prestazioni periodiche previdenziali e assistenziali" ed all'uopo rileva che le prestazioni agli invalidi civili "sono state sempre e in tutto assimilate alle prestazioni assicurative" e che, nel caso in cui sia contestato il diritto alla prestazione, "il valore della causa non può che essere pari a dieci annualità".
Orbene, va premesso che nella materia delle controversie previdenziali e assistenziali non viene in considerazione un problema di competenza (per valore), stante la competenza funzionale del giudice del lavoro (con la esclusione ora - per i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della legge n. 69/2009 - delle cause "relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali" attribuite alla competenza del giudice di pace ex art. 7 comma 3, n. 3 bis, c.p.c.), per cui le regole del codice di rito, stabilite ai fini della determinazione del valore della causa, assolvono, nella specie, alla funzione della determinazione dei criteri di liquidazione del compensi per l'attività difensiva svolta in giudizio.
Peraltro, attualmente - ma ciò non riguarda, ratione temporis, il caso in esame - alla luce del nuovo testo aggiornato dell'art. 152 disp. att. c.p.c, nella materia de qua, le spese "non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio" (v. penultimo periodo aggiunto dall'art. 52, c. 6, l. n. 69/2009, applicabile ai giudizi instaurati successivamente al 4-7-2009) ed "a tal fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione" stessa (v. ultimo periodo aggiunto dall'art. 38, comma 1, lett. b), n. 2 del d.l. n. 98/2011 conv. in l. n. 111/2011).
Tanto premesso, nella giurisprudenza di questa Corte mentre è costante il riferimento alla norma dell'art. 13 c.p.c. si registrano alcune divergenze in ordine alla applicazione dei sotto-criteri fissati dalla detta norma.
Secondo l'indirizzo di gran lunga prevalente, ed altresì consolidato, in materia di controversie previdenziali e assistenziali il valore della causa va determinato in base al secondo comma, ultima parte, del citato art. 13, "cumulando le annualità domandate fino a un massimo di dieci", in quanto le relative prestazioni, pur partecipando della natura delle prestazioni alimentari, si concretizzano in una somma di denaro da corrispondere periodicamente e sono assimilabili alla rendita temporanea o vitalizia.
Tale indirizzo è stato ripetutamente affermato con riferimento sia alle pensioni di invalidità (v., fra le altre, già Cass. n. 714/1965, 2310/1975, 2109/1978, 2573/1978, 3398/1978, 5789/1978, 4391/1982, 157/1985, 2837/1986, 373/1989, e da ultimo, con riguardo all'assegno ordinario di invalidità, v. Cass. 15656/2012), sia in relazione alle rendite INAIL (v. fra le altre Cass. 23274/2004, 4258/2007, 21841/2007, 2148/2011), sia in tema di pensione di inabilità e indennità di accompagnamento (v. Cass. 7203/2004).
In tale quadro, in sostanza accomunandosi prestazioni previdenziali e assistenziali - in un caso concernente l'indennità di accompagnamento, v. Cass. ord. n. 198/2010 - è stato altresì chiarito che "ciò che è determinante non è il fondamento della prestazione, ma il fatto che la prestazione si concreta in una somma di denaro da corrispondere periodicamente ed è perciò del tutto assimilabile ad una rendita vitalizia.".
Diversamente l'indirizzo, risalente, affermato da Cass. n. 4626 del 13-12- 1976, secondo cui "la domanda, con cui viene chiesta al Ministero dell'Interno una pensione d'invalidità civile ai sensi delle leggi n 118 del 1971 e n 194 del 1974, è intesa ad ottenere non già una rendita vitalizia o un'indennità assicurativa, bensì una prestazione di carattere alimentare", in effetti non ha avuto seguito in relazione alla determinazione del valore della causa e della liquidazione delle spese di giudizio, anche se alcune assimilazioni ai crediti alimentari sono state nel tempo riaffermate con riferimento a prestazioni previdenziali e assistenziali (vedi ad es., da ultimo, con riguardo alla rendita vitalizia ex art. 13 d.lgs. n. 38/2000, Cass. n. 27644/2013, richiamata nella ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro n. 10351/2014 citata).
Orbene osserva il Collegio che senza dubbio le prestazioni previdenziali e assistenziali hanno una loro natura, che le accomuna nel sistema di sicurezza sociale disegnato dall'art. 38 della Costituzione (v. fra le altre, C. Cost. n. 85/1979 e C. Cost. n. 196/1993) e che le distingue (entrambe) dalle figure sia delle "prestazioni alimentari periodiche" sia delle "rendite temporanee o vitalizie" di cui all'art. 13 c.p.c.. E' altrettanto indubbio, però, che, rispetto ai criteri stabiliti dal codice di rito ai fini della determinazione del valore della causa (nella specie rilevanti ai fini della liquidazione delle spese giudiziali), occorre verificare una ragionevole assimilabilità all'una o all'altra ipotesi, nel rispetto dell'evidente intento del legislatore (di rendere più accessibili i giudizi di natura alimentare) e, prima ancora, del dettato costituzionale.
Partendo, quindi, da tale dettato va evidenziato che il primo comma dell'art. 38 della Costituzione sancisce il "diritto al mantenimento e all'assistenza sociale" del "cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari" ed il secondo comma stabilisce che "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria", secondo un elenco non tassativo di eventi, tutti peraltro riferibili lato sensu alla categoria degli "ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana" di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.. Tra i diritti, poi, al terzo comma dell'art. 38 vengono sanciti quelli degli invalidi e dei minorati all'istruzione e alla formazione professionale.
Dalla norma costituzionale discende, quindi, una tutela effettiva, costituzionalmente vincolata, del diritto alla previdenza, considerato alla stregua di un diritto fondamentale, imprescrittibile e irrinunciabile, tanto che la Corte Costituzionale, in molteplici pronunce, ha sancito l'irripetibilità (cfr. C. Cost. n. 383/1990, 431/1993), l'imprescrittibilità (cfr. C. Cost. 206/1988), l'indisponibilità (cfr. C. Cost. n. 22/1969) e, infine, la parziale impignorabilità della prestazione (cfr. C. Cost. n. 468/2002, 506/2002).
Il diritto alla previdenza pone, quindi, riparo allo stato di bisogno del lavoratore e della sua famiglia (cfr. C. Cost. 926/1988), in conseguenza di una serie di eventi idonei ad incidere sulla capacità lavorativa e sulla possibilità di produrre reddito, ma inoltre garantisce un quid pluris volto a tener conto, almeno parzialmente del "merito" che dal lavoro (ma anche dalla contribuzione) deriva e che trova riscontro nel tenore di vita raggiunto dal lavoratore alla conclusione della sua vita lavorativa.
In definitiva mentre il primo comma dell'art. 38 Cost. garantisce "ai cittadini inabili e bisognosi il minimo esistenziale necessario per vivere" il secondo comma garantisce ai lavoratori "non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita" "consentito da un pregresso reddito di lavoro, per cui solo per queste ultime è possibile far capo al parametro dell'art. 36, primo comma, Cost." (v. C. Cost. 196/1993 cit.).
Seppure, quindi, è vero che nel tempo a livello legislativo vi è stata una progressiva integrazione fra le due figure, con la estensione della solidarietà anche a soggetti non facenti parte del sistema previdenziale, l'assistenza e la previdenza, in definitiva, sono rimaste pur sempre concettualmente separate e tale separazione, all'interno del sistema di sicurezza sociale, trova fondamento proprio nell'art. 38 Cost. citato.
Invero, ed in sostanza, soltanto le prestazioni di assistenza sociale sono fondate e parametrate totalmente ed esclusivamente sullo stato di bisogno e sulla necessità di assicurare "i mezzi necessari per vivere", laddove le prestazioni previdenziali da un lato presuppongono un rapporto assicurativo, che è assente nelle prime, e dall'altro sono strutturate e finalizzate in funzione di una tutela più ampia e diversamente strutturata, prevista per i lavoratori assicurati.
A ben vedere, quindi, soltanto le prime hanno totalmente e propriamente una natura alimentare, di guisa che alle stesse non può di certo disconoscersi la piena assimilabilità alle prestazioni alimentari al fine, che qui interessa, della scelta del criterio per la determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese.
Viceversa tale piena assimilabilità non può essere riconosciuta alle prestazioni previdenziali, pur obbligatorie, le quali, seppure certamente partecipino in parte di una natura alimentare, sono però strutturate e parametrate in funzione diversa e più ampia.
Pertanto, pur confermandosi l'indirizzo consolidato con riguardo alle prestazioni previdenziali, va, invece, enunciato che "ai fini della determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese di giudizio, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali va applicato il criterio previsto dall'art. 13, comma primo, c.p.c., per cui, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all'ammontare delle somme dovute per due anni".
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito correttamente ha applicato tale criterio e, pertanto, va respinto il primo motivo. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 414 c.p.c., n. 3, della L. n. 326 del 2003, art. 42, comma 1, nonché vizio di motivazione in relazione alla necessità di notifica del ricorso introduttivo anche alla Direzione Provinciale Servizi vari del Ministero dell'economia e delle finanze e al rimborso delle relative spese.
In particolare il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello, considerato che "le parti in giudizio sono solamente due", e non tre, ha riconosciuto i diritti relativi alla richiesta di 3 (anziché 4) copie autentiche ricorso e decreto, alla richiesta di notifica a 2 (anziché 3) parti e all'esame di n. 2 (anziché 3) relate di notifica, ignorando che ai sensi dell'art. 42, comma 1°, del d.l. n. 269 del 2003 conv. con l. n. 326 del 2003, la ulteriore notifica effettuata anche alla Direzione Provinciale del Ministero era obbligatoria.
Tale motivo è fondato, giacché la detta norma prevede che "gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali concernenti l'invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati anche al Ministero dell'economia e delle finanze. La notifica va effettuata sia presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'articolo 11 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, sia presso le competenti direzioni provinciali dei servizi vari del Ministero".
Il detto motivo va pertanto accolto e, in relazione allo stesso, l'impugnata sentenza va cassata e la causa, sul punto, può essere decisa nel merito, riconoscendosi, relativamente alle spese di primo grado e alle voci citate, gli ulteriori diritti corrispondenti alle relative attività effettivamente prestate, già richiesti e non riconosciuti dalla Corte d'Appello, i quali (in relazione allo scaglione come sopra correttamente considerato dalla stessa Corte, applicando il primo comma dell'art. 13 c.p.c.), vanno liquidati in ulteriori euro 10+10+16, con la conseguenza che i diritti (per il primo grado) vanno riliquidati in complessivi euro 969,00 in luogo di euro 933,00, con conseguente riliquidazione delle spese generali in euro 177,37 in luogo di euro 172,88, ferma restando la liquidazione degli onorari (euro 450) e ferme restando le altre statuizioni della sentenza impugnata, anche in ordine alle spese di appello, in relazione alle quali, del resto, non è stata avanzata alcuna specifica censura. Infine, in considerazione del richiamato contrasto e della oggettiva opinabilità della questione prevalente, oggetto del primo motivo, nonché dell'esito della lite, le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensate tra le parti.
P. Q. M.
La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, relativamente alle spese di primo grado, liquida i diritti in euro 969,00 e le spese generali in euro 177,37, confermando nel resto, anche in ordine alle spese di appello; compensa le spese del presente giudizio di cassazione.
Roma 24 marzo 2015
IL PRESIDENTE
Federico Roselli
IL CONSIGLIERE EST.
Vittorio Nobile
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2015
IL CANCELLIERE
Paola Francesca Campoli