REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luigi Macioce - Presidente
Dott. Enrica D'antonio - Rel. Consigliere
Dott. Adriano Piergiovanni Patti - Consigliere
Dott. Paola Ghinoy - Consigliere
Dott. Fabrizio Amendola - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 3931/2015
sul ricorso 29641-2011 proposto da:
G. M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato ALESSIO OLDRINI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
SOCIETA' AGRICOLA C. S.A.S., (già AZIENDA AGRICOLA C. A S.A.S.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell'avvocato GERARDO VESCI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MARGHERITA CAGGESE, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 534/2010 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/11/2010 r.g.n. 244/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA D'ANTONIO;
udito l'Avvocato VESCI GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23 novembre 2010 la Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona con la quale era stata rigettata la domanda di G. M., collocato obbligatoriamente presso l'Azienda Agricola C. s.a.s., volta ad accertare l'illegittimità del licenziamento comminatogli il X per superamento del periodo di comporto.
La Corte d'appello ha rilevato che il lavoratore lamentava la violazione dell'art. 10, comma 4, della L. n. 68/1999 secondo cui era annullabile il licenziamento di lavoratore occupato obbligatoriamente per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo quando al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva. Secondo la Corte il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituiva un'ipotesi speciale di licenziamento che trovava una sua specifica disciplina prevalente sia sulla disciplina della risoluzione per impossibilità parziale sopravvenuta, sia su quella limitativa dei licenziamenti di cui alle leggi n. 604 del 1966 e 300 del 1970 con la conseguenza che il superamento del termine,determinato dalla disciplina collettiva o dagli usi o in difetto dal giudice, costituiva condizione sufficiente di legittimità del recesso.
La Corte ha poi sottolineato che il licenziamento per superamento del comporto era distinto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo; che l'articolo 10, comma 4, citato era di stretta interpretazione e che, pertanto, non era applicabile alla fattispecie in esame. Infine la Corte ha escluso che la malattia del ricorrente fosse riconducibile all'attività svolta non avendo mai esercitato mansioni incompatibili.
Avverso la sentenza ricorre il G. M. formulando 4 motivi.
Resiste l'Azienda Agricola che deposita controricorso e memoria ex art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo denuncia violazione dell'art. 10, comma 4, L n 68/1999 e con il secondo vizio di motivazione.
Deduce che il licenziamento per superamento del comporto è licenziamento per giustificato motivo oggettivo seppure speciale e che la Corte non si era pronunciata sulla natura del recesso citando soltanto sentenze che sottolineavano la specialità del recesso.
Il motivo è infondato.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che le previsioni dell'art 10 citato sono tassative e non possono estendersi al licenziamento per superamento del comporto o al licenziamento disciplinare.
Questa Corte ha affermato che (v. Cass. 15873/2012) "In tema di licenziamento del lavoratore disabile, l'art. 10, comma 4, della legge n. 68 del 1999 - che prevede l'annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente «qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva» prevista dal precedente art. 3 della legge - riguarda soltanto il «recesso di cui all'articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo» e non anche gli altri tipi di recesso datoriale".
La Corte d'appello, facendo corretta applicazione dì tali principi, ha escluso che al licenziamento per superamento del comporto fosse applicabile l'art. 10 citato.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, nel rilevare la specialità della figura di detto licenziamento richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte sul punto (cfr. Cass n. 5413/2003, 7730/2004 sulla riconducibilità alle regole dettate dall'art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti), la Corte di merito ha inteso proprio sottolineare che il licenziamento per superamento del comporto non è riconducibile alle altre ipotesi previste dall'art 10 citato atteso che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al quale si riferisce tale disposizione, non può che essere quello per soppressione del posto (ossia il cd. licenziamento economico) in simmetria con il licenziamento collettivo per riduzione di personale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 2110 c.c., dell'articolo 115 c.p.c. nonché vizio di motivazione.
Lamenta che né il tribunale né la Corte d'appello hanno accolto l'istanza di consulenza tecnica al fine di provare l'affidamento al lavoratore di mansioni incompatibili che avevano determinato molte delle sue assenza dal lavoro.
La censura è infondata. Il dipendente che sostenga la dipendenza dell'infermità da una causa di servizio ha l'onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell'esposizione a rischio (v. Cass. n. 21825/2014, n. 15269/2012).
Né può avere valore esclusivo e determinante la consulenza tecnica -considerato che essa non costituisce un mezzo sostitutivo dell'onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l'attività del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti già acquisiti (Cass. n. 16778 del 17/07/2009).Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto che le risultanze della prova testimoniale svolta con l'accertamento delle mansioni assegnate al ricorrente consentisse di escludere già da tali elementi, la loro incompatibilità con le assenze per malattia, né risultano dedotte specifiche circostanze idonee a pervenire a diverse conclusioni.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla contro ricorrente le spese processuali liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e 15% per spese generali.
Roma 18/12/2014
IL PRESIDENTE
Luigi Macioce
L'ESTENSORE
Enrica D'Antonio
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2015
IL FUNZIONARI OGIUDIZIARIO
Adriana Granata