REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Antonio Merone - Presidente
Dott. Antonino Di Blasi - Consigliere
Dott. Domenico Chindemi - Consigliere
Dott. Raffaele Botta - Cons. Rel.
Dott. Ernestino Luigi Bruschetta - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA N. 14225/2015
sul ricorso proposto da:
Comune di Livorno, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele Il, 18, presso lo Studio Grez, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Macchia, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
Congregazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Giuseppe Pisanelli 2, presso l'avv. Stefano Di Meo, che, unitamente all'avv. prof. Alessandro Giovannini la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regione della Toscana (Firenze - Sezione Staccata di Livorno), Sez. 10, n. 109/10/12 del 5 ottobre 2012, depositata il 23 ottobre 2012, notificata il 2 novembre 2012;
Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 20 maggio 2015 dal Relatore Cons. Raffaele Botta;
Udito l'avv. Paolo Macchia per il Comune ricorrente e gli avv.ti Stefano Di Meo e Alessandro Giovannini per la parte controricorrente;
Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso per raccoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne l'impugnazione di un avviso ai fini ICI per gli anni dal 2004 al 2009 relativamente ad unità immobiliari per i quali l'ente religioso, reclamava l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992 (oltre a sostenere, in particolare, la prescrizione del potere d'accertamento per l'armo 2004).
La Commissione adita rigettava il ricorso. La decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale il Comune di Livorno propone ricorso per cassazione con unico motivo. Resiste l'ente religioso con controricorso.
MOTIVAZIONE
Con l'unico motivo, l'ente locale denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, lettera i), d.lgs. n. 504 del 1992 per aver ritenuto il giudice di merito applicabile l'esenzione per l'anno 2004, in base all'originaria formulazione della norma, per gli anni 2005 e 2006, in base alla nuova formulazione della stessa norma introdotta con il d.l. n. 203 del 2005, e per gli anni dal 2007 al 2009, in base alla ulteriore modificazione del norma disposta con il d.l. n. 223 del 2006.
Il motivo è fondato. Intanto, la formulazione originaria della norma si applica sicuramente per gli anni 2004 e 2005, essendo la riforma disposta con il d.l. n. 203 del 2005 entrata in vigore il 3 dicembre 2005, per essere poi abrogata il 4 luglio 2006: questa Corte ha stabilito che «l'art. 7, comma 2-bis, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (introdotto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248), che ha esteso l'esenzione disposta dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e l'art. 39 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha sostituito il comma 2-bis dell'art. 7 cit., estendendo l'esenzione alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale, non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo» (Cass. n. 14530 del 2010). Inoltre, sulla base della formulazione originaria della norma, l'esenzione «è limitata all'ipotesi in cui gli immobili siano destinati in via esclusiva allo svolgimento di una delle attività di religione o di culto indicate nell'art. 16, lett. a), della legge 20 maggio 1985, n. 222» (Cass. n. 24500 del 2009; v. anche Cass. n. 14530 del 2010), nelle quali non rientra l'esercizio di attività sanitarie (Cass. n. 14530 del 2010), didattiche (Cass. n. 20776 del 2005) o ricettive (Cass. n. 4645 del 2004) salvo che non sia dimostrato specificamente che le stesse siano svolte con modalità non commerciali.
Tale prospettiva è punto di riferimento per la soluzione delle identiche questioni anche per gli anni successivi, in quanto la norma di cui all'art. 7, comma 2-bis, del di. 30 settembre 2005, n. 203 (introdotto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248), che ha avuto vita breve (dal 3 dicembre 2005 al 4 luglio 2006 come si è detto), era sospettata, non senza fondamento, di essere in conflitto con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato e con le regole sulla concorrenza: ragione per la quale essa avrebbe dovuto esser disapplicata qualora non fosse stata prontamente sostituita dall'art. 39, d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 248 del 2006, con il quale è stato stabilito che: «l'esenzione disposta dall'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale».
Una modifica, quest'ultima, che non può essa stessa essere giudicata in linea con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato, come testimonia il fatto che la commissione europea sulla concorrenza abbia in proposito aperto un'indagine, per ovviare alla quale è stato poi approvato l'art. 91-bis del d.l. n. 1 del 2012 (convertito con modificazioni dalla legge n. 62 del 2012). In base al comma l di tale norma, la lettera i) dell'art. 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992 ha il seguente testo: «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222». Gli altri due commi della novella del 2012, si preoccupano di regolare le ipotesi di utilizzazione "mista" degli immobili in questione, introducendo il difficile concetto dell'attribuzione "proporzionale" del beneficio fiscale.
Nel quadro generale non può non restar confermato il principio già affermato da questa Corte, secondo cui: «l'esenzione prevista dall'art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. e), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale» (Cass. n. 4502 del 2012). La prova della sussistenza del requisito oggettivo spetta al soggetto che pretende l'applicazione dell'esenzione: «La sussistenza del requisito oggettivo - che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare - non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l'immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un'attività commerciale» (Cass. n. 5485 del 2008; sull'onere della prova gravante sul contribuente v. anche Cass. n. 27165 del 2011). Nel caso di specie si tratta della gestione di una scuola paritaria i cui utenti (per quanto risulta dalla stessa sentenza impugnata) pagano un corrispettivo, che erroneamente il giudice di merito ritiene irrilevante ai fini ICI, in quanto è un fatto rivelatore dell'esercizio dell'attività con modalità commerciali. Altrettanto erroneamente il giudicante attribuisce rilievo al fatto che la gestione operi in perdita (questione assolutamente priva di rilievo, in quanto anche un imprenditore può operare in perdita) e ritiene che l'esenzione spetti sempre laddove l'ente si proponga finalità diverse dalla produzione di reddito. In verità secondo l'orientamento di questa Corte, «la nozione di imprenditore, ai sensi dell'art. 2082 cod. civ., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività e dovendo essere, invece, escluso il suddetto carattere imprenditoriale dell'attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti. Peraltro, ai fini dell'industrialità dell'attività svolta (art. 2195, primo comma, cod. civ.), per integrare il fine di lucro è sufficiente l'idoneità, almeno tendenziale, dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio; né ad escludere tale finalità è sufficiente la qualità di congregazione religiosa dell'ente» (Cass. n. 16612 del 2008).
Il riferimento nell'esposizione del ricorso all'Istituto S. è un irrilevante errore materiale derivante dalla possibile sovrapposizione di due controversie, avendo tuttavia l'ente locale ben identificato quale fosse la sentenza impugnata e quale fosse la collocazione topografica in Livorno degli immobili oggetto dell'accertamento.
Quanto alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni per incertezza normativa formulata nel controricorso, osservato che non appare rispettato in proposito il principio di autosufficienza, occorre richiamare quanto affermato da questa Corte: per il giudice tributario il potere di disapplicazione delle sanzioni «sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente» (Cass. n. 18031 del 2013). Situazione che non ricorre nel caso di specie, stante la chiara inesistenza nella norma in questione di una pluralità di prescrizioni di difficile coordinamento e restando irrilevanti le successive modifiche, tutte di carattere innovativo e non interpretativo. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.
P. Q. M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consig io del 20 maggio 2015.
IL PRESIDENTE
Antonio Merone
IL CONSIGLIERE EST.
Raffaele Botta
Depositato in Cancelleria l'8 luglio 2015
IL FUNZIONARI OGIUDIZIARIO
Marcello Baragona