Notizie su procedimenti giudiziari in corso e libertà di espressione dei giornalisti

Libertà di espressione dei giornalisti e procedimenti giudiziari in corso
Secondo la Corte di Strasburgo, la buona fede di un giornalista va valutata sulla base delle conoscenze e delle informazioni disponibili al momento in cui egli pubblica i propri articoli.
L’eventuale azione che volesse intraprendersi nei confronti del giornalista che abbia scritto un articolo diffamatorio mentre era pendente il procedimento penale avente ad oggetto accuse dalle quali si è stati successivamente assolti deve essere fondata sulla dimostrata mala fede del giornalista e l'assenza della diligenza che da questi ci si possa attendere nello svolgimento del suo compito di informazione dei consociati sui fatti di pubblico interesse.
Mancando tali prove, rimuovere la parte dell’articolo ove l'autore, sulla base delle informazioni disponibili al tempo della pubblicazione, dava conto degli sviluppi del processo penale e comminare a quest'ultimo e all’editore, secondo le rispettive responsabilità, sanzioni per risarcire il danno provocato dalla pubblicazione dello stesso, appaiono misure sproporzionate in una società democratica ove la stampa deve assolvere la funzione di informare il pubblico dei fatti di interesse collettivo ed esiste, correlativamente, un diritto dei consociati ad essere informati dei fatti prima detti. Qualora manchi un rapporto di proporzionalità tra le restrizioni imposte dalla autorità pubbliche alla libertà di espressione del giornalista e i fini perseguiti tramite esse, sussiste una violazione del diritto alla libera espressione garantito all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il caso
La pronuncia trae origine dal ricorso sollevato da una giornalista islandese contro la Repubblica di Islanda per avere la Suprema Corte irlandese, in applicazione del diritto nazionale, disposto la rimozione e l'annullamento di una parte dell’articolo firmato dalla ricorrente, oltre ad averla condannata, insieme al suo editore (quest'ultimo per il titolo diffamatorio della testata), al risarcimento del danno cagionato al soggetto cui l’articolo si riferiva. In particolare, la ricorrente sosteneva vi fosse stata un’indebita ingerenza delle autorità pubbliche nel suo diritto di esprimersi liberamente e che ciò rappresentava una misura non necessaria - e dunque sproporzionata - in una società democratica.

Libertà di espressione, restrizioni e margine di apprezzamento degli Stati
L’articolo 10 della Convenzione europea è la norma posta a presidio della libertà di espressione ed «include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera».
Come previsto dal secondo comma della citata disposizione, l’esercizio di tali libertà, comportando «doveri e responsabilità», può tuttavia essere limitato con legge dello Stato, se ciò appare necessario per preservare gli interessi generali di una società democratica e/o la reputazione o i diritti altrui, «per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
Detto altrimenti, il diritto di libertà di espressione è uno di quei diritti le cui condizioni di esercizio possano essere liberamente determinate dagli Stati nazionali, che possono all’uopo prevedere formalità, restrizioni o sanzioni in relazione a tale diritto. Gli Stati membri della Convenzione possono altresì sottoporre le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive ad un regime di autorizzazione preventiva.
Le Alte Parti contraenti godono dunque a riguardo di un margine di apprezzamento: dottrina che, sviluppatasi ad opera della giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo, consente agli Stati di derogare a certe disposizioni della Convenzione, quando la loro applicazione potrebbe risultare pregiudicativa di interessi fondamentali costituzionalmente riconosciuti. Con specifico riferimento alla libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU, alla Corte di Strasburgo spetta quindi valutare se le interferenze pubbliche nel godimento di tale diritto possano essere giustificate da ragioni “rilevanti e sufficienti” e se le misure adottate appaiano proporzionate e perseguano fini legittimi. In caso di esito negativo, il margine di apprezzamento concesso alle autorità pubbliche nel dettare le condizioni di tale diritto dovrà essere necessariamente ristretto.
Circa i criteri da impiegare nel bilanciamento tra il diritto a esprimersi liberamente e quello a che sia protetta la propria reputazione - quest’ultimo, rientrante nel diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU -, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha in particolare riconosciuto come rilevanti:
- il contribuire a formare un dibattito di interesse generale;
- la notorietà della persona interessata e il soggetto di cui l'articolo tratta;
- le precedenti condotte;
- il metodo per ottenere le informazioni e la loro veridicità;
- il contenuto, la forma e le conseguenze della pubblicazione di esse;
- la gravità della sanzione imposta.
Tale disciplina, osserva la Corte, appare coerente con l’importante funzione che oggi assolve la stampa in una società democratica, e cioè di informare e comunicare idee in tutte le materie e i fatti di pubblico interesse. Ciò deve avvenire conformemente agli obblighi e alle responsabilità connessi a tale diritto e nel rispetto della reputazione e dei diritti altrui. La necessaria osservanza di detti obblighi e responsabilità implica che la libertà di espressione dei giornalisti risulti coperta dall’art. 10 CEDU, a condizione che essi forniscano informazioni precise e affidabili, si comportino secondo buona fede e l’etica del giornalismo.
Pertanto, il margine di apprezzamento degli Stati membri sarà ridotto ogniqualvolta sussista l’interesse a che, in una società democratica, la stampa svolga il suo ruolo vitale di “public watchdog” nella divulgazione delle informazioni di pubblico interesse.