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Direzione scientifica di M. Alessandra Sandulli e Andrea Scuderi
22/03/2016
GIUSTIZIA / Penale

Questo cane è recidivo! Condannato il padrone

Risponde di lesioni colpose il proprietario del cane che in passato aveva mostrato segni di aggressività e - lasciato libero - morde un condomino.

Si dice che il cane che morde l'uomo non fa notizia. Ma reato sì: la quarte sezione penale, infatti, ha confermato la condanna per lesioni colpose nei confronti del proprietario del cane che, lasciato libero nelle aree comuni nonostante in passato avesse già manifestato segni di aggressività, aveva morso un condomino.
Specifica preliminarmente la Cassazione che chiunque possegga o, semplicemente, detenga un animale è tenuto a custodirlo in modo da evitare danni a terzi. Tale obbligo troverebbe conferma anche all'art. 672 cod. pen. che fa derivare l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al mero possesso dell'animale. Con riferimento poi al caso di specie, i giudici di legittimità puntualizzano che non può trovare applicazione l'orientamento giurisprudenziale concernente la custodia di animali in spazi recintati dove siano entrati terzi estranei. Tale orientamento fa riferimento infatti a situazioni in cui terzi non legittimati accedano alla proprietà altrui dove gli animali sono liberi ed incustoditi.
Diversa è invece la questione della custodia di animali lasciati liberi in spazi di uso comune, come ad esempio quelli condominiali. In evenienze come bisogna adottare le regole di prudenza necessarie ad evitare rischi per l'incolumità di tutti coloro che legittimamente frequentano le aree comuni. Nel caso oggetto della decisione in rassegna, invece, il condomino che utilizzava gli spazi condominiali come area di sgambamento per il proprio cane non ha adottato alcun accorgimento prudenziale atto ad evitare incidenti: peraltro, rileva la Corte, in considerazione della circostanza che in passato lo stesso esemplare aveva aggredito altre persone, egli avrebbe dovuto adottare cautele particolari.

Andrea Merlo
ALLEGATO 1 Cassazione Penale - Sentenza 14 Marzo 2016, n. 10720
> Reati vari - Lesioni personali colpose - Custodia di animali - Animali liberi in aree comuni - Aggressione a persone - Reato - Configurabilità
Cod. Pen. , art. 590
> Risponde di lesioni colpose colui che abbia in custodia un cane aggressivo che , lasciato libero in aree accessibili ad altri, aggredisca un condomino.
Cassazione Penale, Sez. IV, 14 marzo 2016 n. 10720
 
Dott. Fausto Izzo - Presidente -
Dott. Patrizia Piccialli - Relatore -
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P. P. ...omissis...;
Avverso la sentenza n. 10/2014 TRIBUNALE di Piacenza, del 15 ottobre 2014 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 19 febbraio 2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Oscar Cedrangolo che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito per la pare civile, l'Avv. Ettore Maini del Foro di Piacenza;
Udito il difensore Avv. Monica Magelli, del medesimo Foro, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
P. P. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado quanto al trattamento sanzionatorio [pur non essendogli state riconosciute le generiche la pena è stata ridotta], ne ha confermato peraltro il giudizio di responsabilità relativamente al reato di lesioni colpose correlate all'omessa custodia di un cane, che aveva morso B. S., all'interno della proprietà comune.
Con il ricorso si censura il ricostruito addebito di colpa, sostenendosi che sarebbe stato custodito con le cautele del caso, perché l'episodio del morso era avvenuto all'interno di un cortile privato recintato e non aveva riguardato un "estraneo" bensì persona che aveva titolo per entrare e che ben sapeva della presenza dell'animale e delle modalità con cui questo era custodito.
A supporto si cita giurisprudenza di questa Corte secondo cui al fine di escludere l'elemento di colpa, di cui all'articolo 672, comma 1, c.p., rappresentato dalla mancata adozione delle debite cautele nella custodia di un cane da guardia, non basta che l'animale pericoloso si trovi in luogo privato o recintato, ma è necessario che in tale luogo non possano introdursi estranei [cfr. in proposito Sezione IV, 1° marzo 1988, Pierleoni].
Ci si duole del diniego delle generiche, motivato in ragione del precedente coinvolgimento del cane in altra aggressione.
Proprio la non estraneità dell'offeso, quindi, consentiva di ritenere soddisfatto l'obbligo cautelare.
Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato, a fronte di una decisione che, con ricostruzione del fatto neppure contestata, ha fatto corretta applicazione dei principi operanti in materia.
In realtà, vale ricordare che, in tema di custodia di animali, l'obbligo di custodirlo in modo adeguato idoneo ad evitare danni a terzi sorge ogni volta che sussista una relazione di possesso o di semplice detenzione tra l'animale e una data persona, posto che l'articolo 672 c.p. relaziona l'obbligo di non lasciare libero l'animale o di custodirlo con le debite cautele al possesso dell'animale e tale obbligo cautelare si correla appunto all'esigenza di evitare rischi a terzi che possano entrare in contatto con l'animale.
Sotto questo profilo, nel ricorso si fa erroneo richiamo a quell'orientamento giurisprudenziale che ha affrontato specificamente il tema della custodia di un animale in ambiente recintato dove terzi estranei, non titolari del diritto di entrare e/o frequentare quel luogo, abbiano fatto accesso e siano venuti in contatto con l'animale.
Tale orientamento si giustifica con riferimento a situazioni in cui terzi entrino nella proprietà altrui, dove sono liberi ed incustoditi animali, e mira a disciplinare il comportamento cautelare imposto al titolare dell'animale.
Diversa è la questione della custodia di animali lasciati liberi in spazi recintati ma di uso comune [l'ipotesi tipica è quella del condominio chiuso all'esterno e caratterizzato dalla presenza di spazi interni comuni dove, in ipotesi, l'animale può essere lasciato libero].
Rispetto a tali situazioni è evidente che l'obbligo di custodia non può che avere come contenuto quel minimo di regole prudenziali che evitino rischi per l'incolumità degli altri legittimi frequentatori del sito, pur non definibili come estranei nei termini di cui i è detto.
E' su questo tema che si è soffermata la decisione gravata, in una fattispecie in cui l'atteggiamento colposo è stato apprezzato come sussistente in concreto avendo riguardo al precedente incidente in cui il cane era rimasto coinvolto, avendo aggredito altra persona.
Proprio tale comportamento dell'animale avrebbe dovuto indurre una particolare cautela, risultata mancante.
Corretto e incensurabile è il diniego delle generiche.
Il giudice, in linea con i parametri di cui all'articolo 133 c.p., ha motivato valorizzando negativamente il precedente coinvolgimento del cane in episodio analogo.
Basta in proposito ricordare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sezione III, 4 dicembre 2014, M. ed altro).
Così come calzante è l'altro principio secondo cui, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell'articolo 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato (Sezione IV, 28 maggio 2013, Hoxha).
Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita in questo giudizio, liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in data 19 febbraio 2016.
 
IL PRESIDENTE
Fausto Izzo
IL CONSIGLIERE EST
Patrizia Piccialli
 
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2016


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