Direzione editoriale di Massimiliano Mangano - Chiara Campanelli
Ricongiungimento familiare anche per le coppie extraconiugali same-sex
La Corte europea dei diritti dell'uomo amplia il novero dei diritti delle coppie stabili ed extraconiugali omosessuali, ponendo un limite al margine di apprezzamento di cui godono gli Stati parte della Convenzione nell'ambito delle politiche sull'immigrazione.
La pronuncia resa dalla Corte sul caso in breve
Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, il mancato rilascio del permesso di soggiorno per il ricongiungimento familiare con il proprio partner omosessuale a motivo della circostanza che l'ordinamento nazionale non preveda, quale presupposto per il suo rilascio, l'unione tra persone dello stesso sesso, costituisce una violazione dell'art. 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione.
E' quanto ha disposto la Corte di Strasburgo su un ricorso presentato da una cittadina della Bosnia-Erzegovina, nei cui confronti lo Stato croato e, segnatamente, il dipartimento di polizia ed, in seguito, il tribunale, poi avallato dalla Corte costituzionale, ha respinto il reclamo presentato dalla ricorrente avverso la negazione del permesso di soggiorno per il ricongiungimento familiare con la propria partner same-sex.
Principi generali in materia di discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e di margine di apprezzamento sulle politiche di immigrazione degli Stati
Prima di entrare nel merito della questione, i giudici strasburghesi richiamano alcuni precedenti ove la Corte ha affermato come le disparità di trattamento siano censurabili dinanzi alla Corte non in via generale ma in quanto esse non perseguano un obiettivo legittimo o siano prive di una giustificazione ragionevole, mancando, in tali casi, una proporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine che si vuole realizzare. Una discriminazione ai sensi dell'art. 14 CEDU sussiste pertanto ogni volta che una persona o un gruppo di individui siano trattati, in assenza di una corretta o necessaria ragione giustificatrice, in modo meno favorevole rispetto a chi si trovi nella medesima situazione, quand'anche il trattamento più favorevole non sia stato previsto o sancito dalla Convenzione.
Per quanto gli Stati parte della Convenzione godano di un ampio margine di discrezionalità in materia di immigrazione e, in particolare, sul controllo dell'ingresso di extracomunitari all'interno del proprio territorio, così come sulle condizioni per soggiornarvi, l'art. 8 della Convenzione non attribuisce allo straniero un generale diritto di entrare e/o di ottenere un permesso di soggiorno in un particolare Paese. Ciononostante, lo Stato è tenuto ad esercitare la propria politica di immigrazione nel rispetto dei diritti umani degli individui e, in particolare, del diritto del rispetto della vita privata e familiare delle persone, e senza adottare misure discriminatorie (art. 14 CEDU).
La Corte richiama inoltre quanto in precedenza affermato riguardo le disparità di trattamento fondate sull'orientamento sessuale, le quali, secondo quanto consolidato nella giurisprudenza di Strasburgo possono essere giustificate unicamente da ragioni particolarmente convincenti e serie. Con riferimento a tale ambito, il margine di apprezzamento degli Stati è per converso piuttosto ristretto, sicché le disparità che appiano unicamente e definitivamente fondate sull'orientamento sessuale risultano inaccettabili nell'ambito del sistema di protezione istituito dalla Convenzione di Roma.
L'argomentazione giuridica della Corte di Strasburgo
Sviluppando il proprio ragionamento sulla base di alcuni suoi importanti arresti in tema di discriminazioni sessuali, ove la Corte ha riconosciuto come la relazione same-sex tra due persone rientri nell'ambito della nozione di "vita privata" tutelata dall'art. 8 CEDU, atteso che tale concetto abbraccia, inter alia, il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani, così come gli elementi della propria identità sessuale, i giudici di Strasburgo, nel caso di specie, hanno dovuto tuttavia preliminarmente chiarire se la relazione detta implichi anche il rispetto della "vita familiare" della ricorrente, il cui rispetto è, com'è noto, protetto dall'art. 8 CEDU a fianco della vita privata (cfr. l'art. 8, par. 1, CEDU: «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza»). Com'è ormai noto, infatti, per i giudici di Strasburgo, la nozione di "famiglia" non coincide con la vita matrimoniale, ricomprendendo anche le famiglie ove le persone vivano insieme al di fuori di un contesto matrimoniale (c.d. de facto).
Sicchè, per la Corte adita nel caso de qua si è trattato di conciliare in una sintesi di tutela il rispetto della vita non solo privata ma soprattutto familiare della ricorrente nell'ambito di un contesto, quello della gestione dei flussi migratori, su cui gli Stati parte della Convenzione godono di un ampio margine di apprezzamento nella fissazione delle condizioni cui subordinare l'ingresso degli stranieri nel proprio Paese. Per la risoluzione del caso di specie, i giudici di Strasburgo hanno richiamato inoltre alcuni casi, ritenuti invero artificiosi, ove una simile distinzione con riferimento alle coppie stabili same-sex, prescindendo dal fatto che esso coabitassero o meno, continui a persistere.
Nella sentenza in epigrafe, la Corte ha in sostanza verificato se la situazione della ricorrente fosse comparabile, secondo il diritto croato, a quella di una coppia eterosessuale che viva nell'ambito di una relazione extraconiugale e che faccia richiesta allo Stato di un permesso di soggiorno per ricongiungersi con la propria famiglia. I giudici hanno rilevato in particolare che il diritto di famiglia croato, cui il diritto di immigrazione si rifarebbe per la presa in prestito delle nozioni rilevanti per la normativa di settore, quale quella di "relazione extraconiugale" o di "parenti", considera extraconiugale la relazione (solo) tra un uomo e una donna non avvinti dal vincolo coniugale, che perduri da almeno tre anni, o che quantomeno da tale unione sia nato un/a bambino/a.
Le condizioni cui il testo sull'immigrazione subordina il ricongiungimento familiare, quale è stato applicato dai tribunali croati nel caso di specie, sembrerebbe inoltre porsi in contrasto con lo stesso Atto nazionale delle Unioni Same-Sex, a mente del quale qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, fondata sull'esistenza di un'unione same-sex o di un orientamento sessuale è proibita. Tale Atto ha per contro definito la coppia same-sex come quell'unione tra due persone dello stesso sesso non sposate ed "anche" in una relazione extraconiugale, che perduri da almeno tre anni e che sia fondata sui principi dell'eguaglianza tra i partner, sul reciproco rispetto e sull'assistenza, nonché su legami sentimentali tra i partner della relazione.
Nel caso di specie, la censura della Corte di Strasburgo è stata pertanto rivolta all'Atto dell'immigrazione nazionale, il quale, per concedere il ricongiungimento familiare, si rifarebbe alla nozione di «relazione extraconiugale» propria del diritto famiglia croato, così riservando la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per lo scopo anzi detto (soltanto) alle coppie eterosessuali, sposate o che vivano in una relazione extraconiugale, escludendo di conseguenza, senza una valida ragione giustificatrice, quelle same-sex, stabili e che si trovino nella medesima situazione di extraconiugualità. Per tali motivi, la normativa nazionale dà luogo, per i giudici di Strasburgo, ad un'ingiustificata disparità di trattamento basata sull'orientamento sessuale, come tale lesiva dell'art. 14, in combinato disposto con l'art. 8 CEDU per il fatto di non assicurare il rispetto del diritto alla vita familiare della ricorrente.
D.B.I. SRL - via B. Mattarella, n. 58 - 90011 Bagheria (PA) - P.IVA 04177320829 - Iscr. Trib. Palermo 41892 vol.343/165