
DECRETO PRESIDENZIALE 4 novembre 2002
SUPPLEMENTO ORDINARIO n. 1 G.U.R.S. 22 novembre 2002, n. 53
Linee guida per l'attuazione del piano socio-sanitario della Regione Siciliana.
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE
Visto lo Statuto della Regione;
Viste le leggi regionali 22 dicembre 1962, n. 28 e 10 aprile 1978, n. 2;
Vista la legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", ed, in particolare, l'art. 18 della legge medesima che prevede l'adozione del piano nazionale e dei piani regionali degli interventi e dei servizi sociali;
Vista la nota prot. n. 16515 del 19 settembre 2002 dell'Assemblea regionale siciliana, che comunica che la Commissione legislativa "Sanità e servizi sociali", nella seduta n. 42 del 18 settembre 2002, ha espresso parere favorevole a maggioranza e con modifiche ed integrazioni alla richiesta di parere sulle linee guida per l'attuazione del piano socio-sanitario della Regione Siciliana;
Considerato che l'Assessore regionale per gli enti locali, nell'illustrare al Governo, durante la seduta della Giunta del 27 settembre 2002, il documento recante le osservazioni della Commissione dell'Assemblea regionale siciliana ha rappresentato che le stesse possono essere intese come raccomandazioni al Governo;
Vista la deliberazione n. 305 del 27 settembre 2002, con la quale la Giunta regionale ha approvato le linee guida per l'attuazione del piano socio-sanitario della Regione Siciliana redatto in osservanza della legge n. 328/2000;
Su proposta dell'Assessore regionale per gli enti locali;
Decreta:
Articolo Unico
Sono approvate le linee guida per l'attuazione del piano socio-sanitario della Regione Siciliana, redatto in osservanza della legge 8 novembre 2000, n. 328, nel testo allegato al presente decreto.
Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana.
Palermo, 4 novembre 2002.
CUFFARO
D'AQUINO
CITTADINI
ALLEGATO
VERSO IL PIANO SOCIO-SANITARIO DELLA REGIONE SICILIANA
Linee guida di indirizzo ai comuni per la redazione dei piani di zona. Triennio 2001-2003, in attuazione della legge n. 328/2000
PARTE PRIMA
Cap. 1
IL CONTESTO DI RIFERIMENTO
1.1. Principi e finalità
La Regione Siciliana in attuazione dei principi di uguaglianza, non discriminazione, di libera partecipazione, di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2, 3, 38 e 118 della Costituzione italiana, intende disciplinare la materia degli interventi e dei servizi socio-sanitari.
A tal fine ed in armonia con le disposizioni di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", in attuazione dei principi di cui agli artt. 29, 30, 31 della Costituzione italiana e in armonia con i contenuti del comma 1 dell'art. 16 della legge quadro, la Regione utilizza gli strumenti di programmazione, coordinamento, concertazione, cooperazione, partecipazione nonché dell'integrazione dei servizi sociali con gli interventi e le politiche sanitarie, dell'istruzione, della formazione e del lavoro.
Questo documento vuole essere la base della discussione e la proposta metodologica per avviare un percorso volto a definire le regole, gli indirizzi, i ruoli e le competenze proprie di un sistema integrato di servizi alla persona e alla famiglia che rappresenti per la Regione Siciliana non soltanto l'occasione del recepimento dei decreti attuativi relativi alla legge n. 328/2000, ma l'affermazione di una strategia operativa volta a definire e consolidare, in tempi e modalità certi, l'indirizzo socio-sanitario come punto di coesione di una rete territoriale per il contrasto all'esclusione e per il sostegno allo sviluppo, che sappia erigersi a livello di piano socio-sanitario della Regione.
Un'architettura istituzionale che tende ad attuare un modello federalista solidale su scala regionale, aperto ai contributi e attento alla partecipazione di tutte le parti sociali, così come delle reti della solidarietà nazionali e comunitarie, garantendo allo stesso tempo la complessità e la univocità della dimensione regionale, rappresentata dal sistema integrato dei servizi e delle attività sociali e le molteplici identità dei fabbisogni locali, protagonisti dei piani di zona distrettuali.
Questo modo di procedere intende valorizzare l'autonomia degli ambiti territoriali, la loro capacità di programmare, di decidere e di governare, rafforzandone le identità collegate a valori comuni ma anche a strumenti e indirizzi operativi condivisi.
L'obiettivo della Regione non può e non deve limitarsi a realizzare un buon progetto per la ottimizzazione del riparto delle risorse economiche, che comunque occorre fare per determinare un beneficio quantitativo nel livello dei servizi sociali; è opportuno riuscire a incidere sul livello di benessere di tutti i cittadini e, quindi, sulla qualità del servizio reso anche in termini di diffusione, di informazione, di monitoraggio e di valutazione dei risultati attesi e degli indicatori di crescita e sviluppo dell'intera comunità regionale, valorizzando la persona e la famiglia, promuovendo la formazione e l'educazione alla socialità, anteponendo le politiche volte alla prevenzione dei fattori del disagio sociale nonché alla rimozione e riduzione delle condizioni che ostacolano la piena partecipazione delle persone e delle famiglie alla vita sociale, alla logica degli interventi di emergenza e di contenimento.
1.2. I riferimenti storici: una riforma lungamente attesa
L'Italia, pur vantando una lunga tradizione in tema di assistenza sociale, non ha avuto un'altrettanto significativa esperienza dal punto di vista legislativo.
Infatti, la cosiddetta "legge Crispi" del 1890 ha regolamentato questo settore per oltre un secolo, passando indenne attraverso esperienze quali il fascismo e più di cinquant'anni di vita democratica e repubblicana.
E', pertanto, fondamentale cogliere le attese da cui nasce la legge n. 328/2000 e gli obiettivi che intende perseguire, prima di addentrarsi nell'illustrare quanto, a partire da essa, intende fare la Regione Siciliana.
Vi è un dato storico incontrovertibile da cui si muove ogni analisi delle istituzioni assistenziali in Italia: la situazione determinatasi al momento dell'unificazione, nel 1861.
Allo stato unitario appena costituitosi si pose il non facile compito di fare sintesi su una varietà e pluralità di iniziative assistenziali di carattere assolutamente privatistico, molte delle quali nate dalla tradizione del cattolicesimo ed altre da una matrice più laica, che non avevano quasi mai avuto forme di controllo da parte delle autorità statali precedenti.
La prima normativa, proposta dal Ministro Ricasoli nel 1862, rispettò il principio della libera iniziativa dei privati, limitandosi a porre pochi elementi di controllo volti alla efficienza delle prestazioni e alla finalizzazione della spesa per scopi veramente assistenziali. Il punto di svolta si ebbe, invece, con la legge voluta da Crispi nel 1890 per riordinare la materia delle opere pie, come si chiamavano a quel tempo le istituzioni preposte all'assistenza e alla beneficenza.
Con terminologia attuale potremmo definire quell'intervento di tipo statalista o accentratore. Nei fatti l'autorità pubblica sottrasse ai privati quasi ogni forma di autonomia, ponendo sotto il suo controllo la tipologia d'intervento, la gestione del patrimonio, il controllo sulle prestazioni.
Questa impostazione, frutto ed espressione dello Stato liberale dell'epoca, sopravvisse al periodo fascista, durante il quale, anzi, si incentivarono i controlli da parte delle amministrazioni locali e, senza molti cambiamenti, superò anche la nascita dello stato democratico, dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Si dovette giungere alla fine degli anni '70 e al dibattito sul decentramento e la regionalizzazione per cominciare a rivedere una impostazione dell'assistenza sociale che, anche in altri Paesi europei, aveva imboccato strade ben diverse.
Il D.P.R. n. 616/77, tuttavia, mentre per un verso pose le basi per il passaggio da una concezione di assistenza di stampo tradizionale a quella di sicurezza sociale, con servizi rivolti a tutti i cittadini, per altro verso lasciò una impostazione centralista alla gestione della materia, senza accompagnare fino in fondo un processo di decentramento regionale e locale di cui si avvertiva già l'esigenza.
La legge n. 328/2000 è, pertanto, figlia di tale lungo e contrastato dibattito che solo adesso, anche grazie ad un confronto e uno stimolo che coinvolgono l'Europa e le sue istituzioni, può riconoscere ruolo e valore all'iniziativa dei cittadini, alle organizzazioni del terzo settore, alla valorizzazione delle iniziative locali, all'esaltazione del lavoro in rete, all'importanza della integrazione degli interventi, alla valorizzazione delle professionalità, alla applicazione del principio di sussidiarietà.
La legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", pur con le inevitabili luci e ombre, costituisce oggi un punto di non ritorno per la costituzione di un moderno sistema di interventi e servizi dei cittadini, che vedono nella Regione un soggetto propulsore delle iniziative e rispettoso delle attività di tutti gli attori di cui la nostra nazione è ricca e che in questo campo molto hanno fatto e molto possono ancora fare.
1.3. Il quadro normativo attuale: il sistema sociale regionale
L'articolo 8 della legge 8 novembre 2000, n. 328, attribuisce alle Regioni la funzione di indirizzo e coordinamento degli interventi sociali e socio-sanitari, nonché la verifica e il controllo della loro attuazione a livello territoriale. Questa legge si inserisce in un contesto normativo regionale che, grazie anche all'autonomia della Regione, ha prodotto significativi esempi di interventi in svariati settori dell'assistenza socio-sanitaria.
Tra essi spicca la legge regionale 9 maggio 1986, n. 22 "Norme per la gestione dei servizi socio-assistenziali in Sicilia" che ha rappresentato un impianto legislativo di avanguardia per l'impostazione dei temi e per il respiro degli indirizzi. E' interessante sottolinearne alcuni articoli che anticipano aspetti innovativi della legge n. 328/2000:
1) l'ispirazione al principio di prevenzione (punto a, art. 2);
2) il concetto di rete di servizi per superare la frammentarietà degli interventi (punto d, art. 2);
3) la definizione di un piano triennale per i servizi socio-assistenziali comunali (art. 5);
4) l'esigenza di un collegamento fra le strutture e i servizi comunali e i presìdi socio-sanitari territoriali (art. 5);
5) l'indirizzo sulla formazione e l'aggiornamento degli operatori (punto e, art. 15);
6) la previsione di quote di partecipazione alla spesa dei servizi (punto f, art. 15);
7) il riferimento ad un livello distrettuale di coordinamento dei servizi socio-assistenziali (art. 17).
Nonostante la presenza di numerosi spunti attuali e innovativi, nell'impianto legislativo regionale permangono alcuni elementi di criticità che impongono l'assunzione di un metodo e di una proposta più funzionali agli indirizzi europei e nazionali in materia di politiche sociali e di decentramento:
1) l'assenza di un indirizzo socio-sanitario integrato;
2) la consapevolezza di realizzare un sistema integrato di servizi a cui deve corrispondere un adeguato sistema di governo del territorio;
3) la condivisione di strumenti efficaci di monitoraggio e di verifica dei risultati;
4) la scarsa capacità ed elasticità del sistema dei servizi socio-assistenziali nel comprendere le mutevoli esigenze dei diversi ambiti territoriali;
5) la non uniformità del servizio sociale su tutto il territorio;
6) la scarsa propensione alla comunicazione e all'informazione da parte degli erogatori dei servizi, pubblici e privati;
7) una non adeguata valorizzazione del privato sociale e dei diversi attori sociali;
8) una disarmonica gestione dei canali di finanziamento europei alle politiche per lo sviluppo e per il contrasto alla discriminazione e all'esclusione sociale;
9) un insufficiente sistema di formazione per gli operatori del sociale.
Un sistema integrato efficace di interventi e servizi alla persona e alla famiglia non può che realizzarsi con il concorso di una pluralità di attori, in un quadro di condivisione di ruoli, responsabilità e competenze.
Il sistema sociale siciliano non deve, dunque, essere rifondato, ma consapevolmente adeguato affinché da socio-assistenziale definisca e compia la sua trasformazione in sistema socio-sanitario, evidenziato e sostenuto nel quadro definitivo del piano socio-sanitario, nel pieno rispetto delle prerogative che la Costituzione attribuisce alla Regione Siciliana (art. 14).
1.3.1. La legge 8 novembre 2000, n. 328
Art. 1. (Princìpi generali e finalità)
1. La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione.
La legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali definisce le politiche sociali come politiche universalistiche, rivolte alla generalità degli individui, senza alcun vincolo di appartenenza.
La legge di riforma dell'assistenza assume i servizi alla persona e alle famiglie come occasione di sviluppo, innovazione, nuovi lavori e nuovi consumi.
Uno sviluppo sostenibile richiede la valorizzazione delle risorse umane, l'attuazione di rinnovate politiche per l'inclusione sociale, la costruzione di comunità locali amichevoli.
Per questi motivi la legge di riforma:
- delinea e offre le condizioni per costruire un sistema integrato di interventi e servizi sociali, volto ad avviare il circolo virtuoso comunità > bisogni > sviluppo;
- assume la "qualità sociale" non come eventuale dividendo dello sviluppo, ma condizione per uno sviluppo equilibrato e sostenibile.
La legge di riforma si pone l'obiettivo di trasformare gli attuali interventi a carattere prevalentemente "riparativo", in un sistema articolato e flessibile di protezione attiva, capace di sostenere e valorizzare la responsabilità e le capacità delle persone e delle famiglie.
In particolare, gli assi di trasformazione possono essere così delineati:
- da interventi "categoriali" a interventi rivolti alla persona e alle famiglie;
- da interventi prevalentemente monetari a un mix di assegni economici e servizi in rete (formativi, sanitari, sociali, di avvio al lavoro, abitativi);
- da interventi disomogenei a livello inter e intra regionale, a livelli essenziali su tutto il territorio nazionale;
- da intervento centralistico a "regia" delle Regioni e degli enti locali;
- da intervento pubblico a "governo allargato" che coinvolge e valorizza gli attori sociali.
In altri termini le politiche sociali, al fine di realizzare comunità amichevoli, mirano ad accompagnare gli individui e le famiglie lungo l'intero percorso della vita:
- sostenendo chi è in condizioni di particolare fragilità;
- rispondendo ai bisogni che sorgono nel corso della vita quotidiana e nei diversi momenti dell'esistenza (in relazione all'età, alla presenza di responsabilità familiari o all'esigenza di conciliare queste ultime con quelle lavorative);
- sostenendo e promovendo le capacità individuali e le reti familiari.
La rete di interventi e servizi non si rivolge solo agli ultimi (né ai penultimi). La legge di riforma afferma l'obiettivo di assicurare livelli essenziali in tutte le realtà territoriali.
1.3.2. I decreti attuativi della legge n. 328/2000.
In attuazione della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono stati emanati i seguenti provvedimenti:
- D.P.C.M. 15 dicembre 2000 "Riparto tra le regioni dei finanziamenti destinati al potenziamento dei servizi a favore delle persone che versano in stato di povertà estrema e senza fissa dimora", in attuazione dell'art. 28 della legge n. 328/2000. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2001, serie generale, n. 69.
- D.M. recante regolamento concernente "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'art. 11 della legge n. 328/2000. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio, serie generale, n. 174.
- D.P.R. 3 maggio 2001 recante "Approvazione del piano nazionale degli interventi e servizi sociali per il triennio 2001-2003, in attuazione dell'art. 18 della legge n. 328/2000. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2001, supplemento ordinario n. 204.
- Decreto legislativo 4 maggio 2001 recante "Riordinamento del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, a norma dell'art. 10 della legge n. 328/2000. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° giugno 2001, serie generale n. 126.
- D.P.C.M. recante atto di indirizzo e coordinamento sui rapporti Regioni - enti locali - terzo settore, in attuazione dell'art. 5 della legge n. 328/2000. Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 agosto 2001, serie generale n. 188.
- D.M. concernente la definizione dei profili professionali delle figure professionali sociali, in attuazione dell'art. 12, comma 1, della legge n. 328/2000.
- D.M. in attuazione dell'art. 12, comma 2, concernente la definizione delle figure professionali sociali da formare con i corsi di laurea e con corsi di formazione organizzati dalle regioni e dei criteri generali riguardanti i requisiti per l'accesso, la durata e l'ordinamento didattico dei medesimi corsi di formazione.
- D.M. recante istituzione della Commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi sociali, in attuazione dell'art. 21 della legge n. 328/2000.
- D.P.C.M. su proposta del Ministro per la solidarietà sociale per l'istituzione della Commissione di indagine sulla esclusione sociale di durata triennale, in attuazione dell'art. 27, comma 4, della legge n. 328/2000.
La Regione Siciliana ritiene che la piena e completa realizzazione degli indirizzi contenuti nella legge 8 novembre 2000, n. 328, così come l'applicazione integrata del decreto legislativo n. 229/99 sulla "Razionalizzazione del servizio sanitario nazionale", richiedano non soltanto uno sforzo organizzativo e procedurale, ma un profondo cambiamento culturale.
Inoltre, la legge costituzionale 28 ottobre 2001, n. 3 ha apportato una sostanziale modifica all'art. 117 della Carta costituzionale ed in particolare la materia dei servizi sociali è stata affidata alla competenza esclusiva delle Regioni.
Occorre, pertanto, che la Regione, nella definizione del sistema integrato dei servizi socio-sanitari, valuti i tempi e i modi per accompagnare il processo di costruzione dell'impianto legislativo con strumenti di orientamento e sostegno che assicurino un omogeneo e corretto recepimento degli indirizzi avviati su tutto il territorio, attraverso un'equa diffusione dell'informazione, rivolta soprattutto alle fasce più deboli della popolazione.
1.4. Il quadro statistico comparato (1)
1.4.1. Introduzione
Una moderna gestione amministrativa, alla luce della complessa ragnatela di relazioni sociali, politiche, culturali e demografiche che si intreccia in ogni collettività di individui, deve riporre le sue fondamenta su informazioni oggettive ed attendibili riguardanti la stessa struttura della comunità, il territorio e le risorse umane e strumentali di cui può disporre.
Tra i diversi possibili percorsi di accesso alle informazioni vi sono le ricerche strutturali sulle caratteristiche economiche, demografiche e sociali di un territorio e dei suoi cittadini, basate su fonti ufficiali di dati quantitativi; le indagini campionarie e i sondaggi d'opinione, per ottenere informazioni di cui, a livello ufficiale, non è possibile disporre, al fine di misurare variabili di natura qualitativa, attraverso le quali conferire definizioni operative ai concetti, rendendoli tangibili e, quindi, misurabili, cioè riferibili a parti sempre più disaggregate dell'insieme osservato.
Nello specifico, tra gli obiettivi fondamentali della legge n. 328/2000 vi sono "tutte le attività destinate a rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, tranne quelle assicurate dalla previdenza, sanità, giustizia". Ciò implica una vasta molteplicità di settori d'intervento, di difficile definizione, che rende complessa qualunque attività politica o amministrativa volta a perseguire criteri di efficienza, di efficacia e di qualità.
In tal senso si configura come uno strumento di supporto fondamentale all'attività amministrativa la realizzazione di un sistema informativo integrato su sanità e società, attraverso cui giungere a quel grado di conoscenza della propria realtà da amministrare, adeguato a perseguire gli obiettivi prefissati.
La disponibilità di un sistema informativo permette l'avviarsi di un processo di ricerca-analisi finalizzato alla conoscenza del territorio e dei bisogni del cittadino amministrato, nonché alle eventuali proposte per il miglioramento dei rapporti con l'utenza. A tale disponibilità si giunge avvalendosi di sistemi automatizzati di raccolta dati, immagini e documenti, di classificazione e di ricerca degli stessi, che vadano a completare il quadro, non esaustivo, disponibile a livello ufficiale e costituito da pubblicazioni di dati statistici e specifiche ricerche scientifiche.
Le informazioni statistiche devono rappresentare non un elemento fine a se stesso, bensì uno strumento atto a delineare delle strategie di gestione basate su informazioni preziose, valide ed attendibili, per una migliore amministrazione delle risorse del l'azienda pubblica. La ricerca deve indicare quali sono le priorità di intervento cui deve attenersi l'amministratore pubblico, stabilendo e collocando nel tempo le priorità degli interventi e prevedendo costanti elementi di verifica, fondati su parametri scientifici di misurazione individuati in modo specifico per ogni tipologia di servizi, rendendo la conoscenza del pensiero dei cittadini e della loro struttura socio-demografica la base per l'implementazione delle azioni dell'amministrazione.
In conformità a quanto detto, di seguito è fornito un quadro descrittivo, sintetico, del settore socio-sanitario in Sicilia, secondo le variabili di maggiore interesse individuate dalla legge n. 328/2000, riferite all'ultimo anno per il quale è possibile disporre di dati ufficiali. Al fine di una migliore comprensione del quadro complessivo, si sono confrontati i valori espressi dalla Sicilia con i valori nazionali.
1.4.2. Giovani e anziani in Sicilia
All'inizio del 2001 la popolazione residente in Sicilia ammonta a 5.076.700 unità, che rappresentano l'8,8% della popolazione complessiva italiana. Di queste, il 51,5% sono femmine e il 48,5% sono maschi. Le categorie della popolazione di maggiore interesse, in riferimento al settore socio-sanitario, sono quelle rappresentate dai giovani, cioè bambini fino a tre anni e minorenni, e dagli anziani, cioè popolazione con più di 65 e 75 anni. In particolare, possiamo osservare che, nel 2001, i bambini siciliani fino a tre anni sono 160.012 e rappresentano il 3,2% della popolazione isolana complessiva, superiore alla quota di bambini espressa a livello nazionale che è del 2,8%.
I minorenni siciliani, ossia tutti coloro i quali hanno meno di 18 anni, categoria ovviamente più vasta rispetto ai bambini, rappresentano in Sicilia il 21,6% della popolazione complessiva, valore che per l'Italia in complesso raggiunge solo il 17,4%. La Sicilia mostra quindi fasce giovanili di popolazione più numerose rispetto all'intera nazione mentre, considerando le fasce più anziane, il rapporto si inverte: infatti, la popolazione Siciliana con età superiore a 65 anni ammonta al 16,4% del totale (834.257 unità), contro il 18,2% della media nazionale.
Possiamo fare simili affermazioni anche per gli anziani siciliani con un'età superiore ai 75 anni, i quali costituiscono il 6,2% della popolazione siciliana contro un'incidenza di questa stessa classe d'età dell'8%, sulla popolazione italiana. In definitiva la Sicilia mostra un'incidenza sulla popolazione complessiva delle fasce fino ai 18 anni superiore a quanto espresso dall'Italia in complesso, mostrandosi quindi mediamente più "giovane". Tali considerazioni occorre che si accompagnino a valutazioni dinamiche sulla popolazione, esposte più avanti.
1.4.3. Gli stranieri
Nei paesi maggiormente sviluppati la componente straniera va assumendo sempre maggior peso e rilevanza, alla luce dei crescenti flussi d'immigrazione, che per l'Italia derivano soprattutto dai paesi del bacino del mediterraneo, dal medio oriente e dai Balcani. L'analisi di tale componente risulta di difficile realizzazione a causa della sua notevole mobilità sul territorio e della tendenza degli stranieri a sfuggire alle indagini demografiche e sociali. Dalle fonti ufficiali dell'ISTAT risultano comunque presenti in Sicilia, al 2001, ben 70.122 stranieri residenti, l'1,4% dell'intera popolazione siciliana. Di questi 70.122 stranieri, il 18,5% (12.960) ha un'età inferiore a 18 anni, risultando cioè minorenni.
Lo stesso dato a livello nazionale si presenta ben più consistente: infatti, la componente straniera della popolazione italiana ammonta a 1.464.589 residenti, cioè il 2,5% della popolazione totale, di cui il 18,9% sono minorenni. Occorre sottolineare che la Sicilia rappresenta soprattutto un punto d'approdo e quindi di passaggio per molti stranieri, i quali poi si trasferiscono nel resto d'Italia e dell'Europa. I dati ufficiali sono probabilmente sottostimati per la Sicilia, a causa soprattutto del fenomeno degli irregolari e del sommerso.
1.4.4. Le famiglie siciliane
Le famiglie in Italia (dati relativi al 1999) in complesso sono 21.770.664, e di queste ben l'8,4%, cioè 1.839.738 famiglie, sono siciliane. Mediamente la Sicilia esprime famiglie più numerose rispetto al resto del Paese. Infatti, possiamo osservare che una famiglia media siciliana si compone di 2,8 elementi contro i 2,6 elementi del dato nazionale.
Di particolare interesse risulta il comportamento alla spesa mensile di una famiglia siciliana rispetto ad una famiglia italiana. In complesso una famiglia siciliana spende ogni mese, in prodotti sia alimentari sia non alimentari, circa 1.582,17 euro (3.063.515 lire), mentre in Italia tale valore è di 2.088,1 euro (4.043.140 lire).
Una famiglia siciliana spende mediamente il 24% del totale in alimentari e bevande, mentre l'italiano vi dedica solo il 19,1% della sua spesa. Riferito al settore socio-sanitario, la spesa media mensile di una famiglia siciliana è di 63,28 euro (122.542 lire), ben inferiore al valore italiano medio di 88,85 euro (172.047 lire), mentre in "tempo libero, cultura e giochi" una famiglia siciliana spende solo 68,1 euro (122.542 lire) contro i 106,83 euro (206.853 lire) di una famiglia italiana. La spesa di una famiglia è correlata ai redditi di cui essa dispone e, quindi, al cosiddetto concetto di povertà. La sua incidenza è quindi calcolata sulla base del numero delle famiglie (e relativi componenti) che presentano spese per consumi al di sotto di una soglia convenzionale. Tale soglia è definita relativa se determinata ogni anno rispetto alla spesa media mensile pro-capite per consumi delle famiglie, oppure assoluta se basata su un paniere di beni e servizi essenziali, il cui valore monetario è aggiornato annualmente tenendo conto della variazione dei prezzi al consumo. In Italia la variazione del fenomeno povertà è effettuata sulla base di entrambe le soglie, utilizzando i dati dell'indagine sui consumi delle famiglie.
Nell'anno 2000, in Italia, le famiglie che vivono in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 707 mila Euro, posto pari a 100 il totale delle famiglie in condizione di povertà, ben 63 risiedono nel Mezzogiorno. Questo dato vede ulteriormente appesantita la sua negatività in considerazione del fatto che nel Mezzogiorno le famiglie residenti rappresentano solo il 32,8% delle famiglie residenti nel Paese.
La povertà assoluta tocca il 4,3% delle famiglie italiane, per un totale di 2 milioni 937 mila individui. Anche in questo caso è nelle regioni del Mezzogiorno che si evidenzia una maggiore concentrazione del fenomeno; infatti, vi risiede il 70,7% delle famiglie assolutamente povere. La Sicilia presenta un elevato numero di famiglie relativamente povere (435.000) e di assolutamente povere (175.000), le quali costituiscono rispettivamente ben il 23,6% ed il 9,5% delle famiglie complessive siciliane. Per una più corretta lettura di questo dato, occorre tenere conto del fenomeno del lavoro sommerso, particolarmente diffuso nel sud d'Italia e in Sicilia e non riscontrabile statisticamente.
1.4.5. Natalità e mortalità
Negli ultimi dieci anni, dal 1991, la Sicilia ha visto crescere la sua popolazione del 2,2%, mentre la popolazione complessiva italiana è cresciuta solo dello 0,1%. Tale differenza è legata ovviamente ai diversi andamenti dei fenomeni della natalità, della mortalità e della fecondità delle donne tra i 15 ed i 49 anni.
Queste sono espressioni sintetiche del dinamismo demografico di una popolazione. L'analisi di tale fenomeno risulta, pertanto, di maggiore interesse e utilità se interpretata alla luce del suo andamento temporale negli ultimi anni.
In particolare, nel 1991 in Sicilia sono nati 64.502 individui. Nello stesso anno i morti sono stati 45.460, con un saldo attivo di 19.042 individui. I rispettivi tassi indicano che nel 1991 sono nati 13 bambini ogni 1.000 persone (13?), contro 9,1 persone morte ogni 1.000 (9,1?). I rispettivi valori per l'Italia sono stati invece un tasso di natalità del 9,6% e un tasso di mortalità del 9,4%.
Alla fine del 2000, si osserva in Sicilia un calo di nascite del 17,6% rispetto al 1991 ed un incremento delle morti del 3%. Come conseguenza, il tasso di natalità al 2000 scende al 10,4%, mentre il tasso di mortalità sale al 9,2%. In Italia nel 2000 si assiste alle stesse variazioni, anche se meno sensibili, con un tasso di natalità che scende al 9,4% ed un tasso di mortalità che sale al 9,7% (calo del 2,4% nelle nascite, aumento del 2,3% nelle morti). La componente migratoria, rispetto al saldo naturale, risulta quindi determinante nella spiegazione dell'incremento generale dei residenti siciliani ed italiani.
Le donne siciliane in età feconda, ossia con un'età compresa tra i 15 ed i 49 anni, all'inizio del 2001 sono 1.257.703 e rappresentano il 48,1% della popolazione femminile in Sicilia. In Italia invece sono 13.968.244 e costituiscono il 46,9% della componente femminile della popolazione italiana. Attraverso questi dati si ottiene un altro utile indice di dinamismo demografico, cioè il tasso di fecondità femminile, che esprime i nati ogni mille donne in età feconda. In particolare la Sicilia passa da un tasso di fecondità, relativo al 1991 del 51,8%, ad un tasso, al 2001, del 42,2%, mentre in Italia si passa dal 38% del 1991 al 38,9% del 2000. In pratica, per quanto all'inizio del 2001 la Sicilia mostri una popolazione mediamente più giovane rispetto all'Italia, gli ultimi anni hanno evidenziato una maggiore tendenza all'invecchiamento della popolazione siciliana, a causa della forte riduzione delle nascite e della fecondità.
1.4.6. Lavoro e disoccupazione
Nel 2001 l'occupazione in Sicilia ha registrato un ulteriore incremento, confermando la tendenza emersa nel corso dei due anni precedenti. Il numero degli occupati è risultato pari a 1.394mila unità con un incremento di 44mila posti di lavoro rispetto al 2000. L'entità delle crescita, pari al 3,2%, ha qualificato l'Isola come una delle regioni più dinamiche a livello nazionale, preceduta soltanto da Abruzzo (4,9%), Sardegna (4,1%) e Calabria (3,3 per cento).
A livello provinciale si segnalano aumenti apprezzabili dei livelli occupazionali a Enna, Messina, Palermo e Agrigento, incrementi meno marcati a Siracusa e Trapani, mentre a Catania e Ragusa l'occupazione è risultata nel complesso stazionaria sui livelli del 2000. La provincia di Caltanissetta è l'unica a denunciare una flessione (circa 3.000 unità). La disaggregazione per sesso mostra ancora una volta la situazione di sostanziale precarietà e difficoltà della componente femminile a trovare spazi nel mondo del lavoro. Nel corso del 2001 il tasso di occupazione femminile regionale (18,8%) nel suo insieme ha conservato livelli modesti, inferiore di oltre trenta punti percentuali alla media dell'analogo indicatore relativo agli uomini (50%).
La provincia che presenta le difficoltà maggiori nell'accesso al mercato del lavoro da parte delle donne è quella di Caltanissetta, dove solo 14 donne su 100 in età lavorativa riescono a trovare un impiego, mentre quella che sembra presentare situazioni meno preoccupanti è Messina (23,9%).
Anche il tasso di disoccupazione femminile, sebbene sia sceso di quasi quattro punti rispetto al 2000, raggiunge livelli quasi doppi di quello maschile (31,2% contro 16,8%). Le province che registrano i valori più alti sono Caltanissetta (38,6%), Agrigento (38,2%) e Enna (36,9%) a fronte della provincia di Trapani che si qualifica come l'area siciliana con il tasso di disoccupazione più basso (20,4%), seguita da Ragusa con il 24,8%.
Il tasso di disoccupazione giovanile - ottenuto dal rapporto fra le persone in cerca di lavoro di età compresa tra i 15 e i 24 anni e le forze di lavoro della stessa fascia di età - ha evidenziato il persistente disagio dei giovani siciliani nei confronti del mercato del lavoro. Nella Regione 55 giovani su 100 appartenenti alle forze lavoro non riescono a trovare un'occupazione e su scala provinciale addirittura 67 su 100 ad Agrigento. Palermo, Messina e Enna mantengono un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 60% mentre Ragusa, che pur vanta minori problemi occupazionali, conserva livelli di poco inferiori al 30%.
Nel periodo 1993-2001, per il quale sono disponibili dati omogenei e confrontabili, l'andamento del mercato del lavoro in Sicilia è stato caratterizzato dapprima da una marcata flessione dell'occupazione cui è subentrato, a partire dal 1996, un moderato trend al recupero divenuto via via più apprezzabile nel corso degli ultimi due anni. L'inversione di tendenza ha condotto a una crescita di circa 115mila posti di lavoro in sei anni, con un saldo netto dei livelli occupazionali rispetto al 1993 di 49mila unità. Nello stesso periodo la dinamica nell'Isola si è confermata non discosta da quella nazionale. Tra il 1993 e il 2001 si è osservata una crescita complessiva di oltre 1.000.000 di posti di lavoro.
Il livello della disoccupazione si è configurato nell'ultimo anno in controtendenza rispetto all'andamento negativo degli anni precedenti, ritornando in prossimità dei livelli toccati nel 1994. Il tasso di disoccupazione nell'Isola è passato dal 19,3% del 1993 al 21,5% del 2001, con un'intensità di variazione omogenea tra uomini e donne.
Riferito alla componente maschile, l'indicatore è variato dal 14,6% al 16,8% e quello femminile dal 30,5% al 31,2%. Su base provinciale sono stati osservati, nel corso del periodo, movimenti disomogenei. Alla stazionarietà di Ragusa si sono contrapposti forti miglioramenti a Trapani e, in misura meno marcata, a Siracusa, mentre crescite non marginali si sono evidenziate a Catania, Agrigento, Messina, Palermo e Enna.
Nel 2001 le persone che hanno cercato un lavoro sono 382 mila, con un apprezzabile calo rispetto all'anno precedente (-10,2%). Il tasso di disoccupazione si è attestato al 21,5%, il più basso da 8 anni, ma ancora distante dal dato medio nazionale (9,5%). La Sicilia rappresenta il 17% delle persone in Italia in cerca di occupazione, aliquota molto superiore alla quota della popolazione residente (8,4% gli abitanti con 15 anni e più). Ampie divergenze si riscontrano nei tassi per sesso: l'indicatore per gli uomini si attesta a poco meno del 17% mentre per le donne supera il 31%.
L'offerta di lavoro non soddisfatta può essere distinta in tre gruppi. I disoccupati in senso stretto, ovvero le persone che hanno perso o lasciato un lavoro, i quali sono ammontati nel 2001 a quasi 136 mila unità, rilevando un calo rispetto l'anno precedente di 24 mila unità (- 9,3%). Le persone in cerca di prima occupazione - 176 mila in media - che rappresentano la quota più consistente (46%) fra tutti coloro che cercano lavoro, è indicativa delle forti difficoltà riscontrabili al primo accesso al mercato del lavoro. La terza categoria raccoglie tutte le persone che, pur presentandosi sul mercato del lavoro e dichiarandosi disposte a lavorare, non hanno svolto una particolare attività di ricerca. Delle oltre 70 mila unità rilevate, 61 mila, pari all'87,2%, sono donne.
Tra i segmenti di popolazione che incontrano maggiori difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro si segnalano anche le componenti giovanili, che nel 2001 hanno accusato un tasso di disoccupazione del 54,7%, sintesi di indici del 47,2% per gli uomini e del 66% per le donne.
Nel 2001 si è verificata una incoraggiante riduzione del tasso di disoccupazione giovanile (4,2 punti in meno rispetto l'anno prima) confermando l'inversione di tendenza segnalata nel 2000. Il livello regionale risulta ancora molto elevato confrontato con il tasso medio nazionale (28,2%) e lo scarto appare abnorme con riferimento alla componente femminile (66% a fronte del 32,2%).
Una peculiarità del mercato del lavoro sull'intero territorio nazionale è data dall'alta incidenza della disoccupazione di lunga durata, ovvero delle persone che sono alla ricerca di un'occupazione da almeno 12 mesi. In Sicilia essi rappresentano quasi il 71% dei disoccupati in totale, a fronte di una quota nazionale del 62,5%. Nel 2001 vi è stata tuttavia una flessione di tale componente che ha contato 270 mila e 500 persone contro le oltre 300 mila dell'anno precedente, con un calo del 10%.
La dimensione del fenomeno costituisce uno dei problemi principali del mercato del lavoro siciliano; la probabilità di entrare o di rientrare nel circuito produttivo risulta particolarmente bassa e, senza un contemporaneo aggiornamento professionale, può produrre una progressiva degenerazione delle competenze scolastiche e professionali acquisite e un ancor più difficile reinserimento.
Ulteriori indicazioni sulla disoccupazione regionale possono essere fornite frammentando il fenomeno per titolo di studio. La classe modale risulta composta da coloro che hanno ottenuto solamente il titolo della scuola dell'obbligo (43,3% nel 2001), seguiti dal diploma medio superiore (33%). I possessori di titoli universitari che cercano lavoro sono in media annua 18 mila e rappresentano il 4,8%. Per tale ultima componente il tasso di disoccupazione specifico è il più basso (8,5%) mentre particolarmente elevati appaiono gli indici relativi alle persone meno istruite (25% il tasso specifico di coloro che hanno la licenza media, per esempio). Il passaggio verso un'economia di servizi e una domanda di professionalità che richiedono competenze medio-alte, comporta un inserimento ancor più rilevante di personale con titolo di studio elevato. Lo stesso fenomeno contribuisce, di contro, ad accrescere la difficoltà a uscire dalla disoccupazione da parte di chi non possiede un'adeguata preparazione.
1.4.7. La disabilità in Sicilia
Il fenomeno della disabilità, che rientra negli ambiti applicativi della legge n. 328, risulta di difficile analisi e descrizione a causa sia della sua complessità medica e sociale, sia per la natura sensibile dei dati che concorrono a definirlo. A livello ufficiale la fonte dei dati è l'indagine sulle "condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 1999-2000" condotta dall'ISTAT in cui, fra gli altri, si raccolgono dati concernenti i disabili presenti sul territorio, le strutture per l'assistenza, nonché la percentuale di spesa sanitaria dedicata ad attività per disabili, calcolata sul totale della spesa sanitaria.
In complesso, in Italia i disabili che vivono in famiglia sono 2.615.000 (non sono compresi i bambini fino a 5 anni poiché i quesiti utilizzati per la rilevazione non sono adatti a queste età) di cui 894.000 maschi e 1.721.000 femmine. I disabili e anziani non autosufficienti nei presidi socio assistenziali ammontano a 177.709. Per ogni regione sono stati calcolati i tassi grezzi e standardizzati per mille persone relativi ai disabili dai 6 anni in su.
In dettaglio, in Sicilia il tasso grezzo di disabilità (persone disabili rapportate al totale della popolazione) ammonta a 62,8 per mille, contro il 48,5 per mille in Italia. Il tasso standardizzato di disabilità, che elimina le differenze tra regioni legate al fattore età, in Sicilia ammonta al 68,9%, il più alto d'Italia, contro il 48,5% relativo alla popolazione italiana.
Il numero di strutture pubbliche per l'assistenza ai disabili in Italia, nell'anno 1999, è di 3.825 unità. In Sicilia ammonta a 199 unità e costituisce solo il 5% del totale. Sul versante privato invece notiamo che le strutture private accreditate per l'assistenza ai disabili, per 100.000 abitanti, sono su tutto il territorio italiano 2377, di cui appena lo 0,5% in Sicilia.
Sono stati calcolati degli indicatori per tipologia di assistenza ai disabili, dati dal rapporto tra il numero dei posti letto per assistenza ai disabili sul totale dei posti. Da questi si evince che sia in Sicilia che in Italia le strutture pubbliche forniscono maggiormente assistenza psichiatrica (rispettivamente 3,6% e 4,1%).
L'assorbimento di risorse per le attività dedicate all'assistenza dei disabili fornisce una misura dell'attenzione riservata a questa fascia della popolazione, senza però poterne valutare l'efficienza nell'utilizzo. Emerge che in Italia la percentuale di spesa sanitaria dedicata ad attività per disabili, sul totale della spesa sanitaria, è del 4,4%, mentre in Sicilia si attesta al 6,5%.
Il livello d'istruzione dei disabili siciliani è lievemente inferiore a quello osservato in Italia nel 2000. Infatti, risulta che i disabili siciliani in possesso di laurea o diploma superiore sono solo il 9%, contro il 10,9% del dato nazionale, che nel 55,5% dei casi i disabili siciliani sono diplomati inferiori o con licenza elementare (56,4% in Italia) e nel restante 35,5% dei casi non hanno titolo di studio (32,7% in Italia). Tale valore va anche confrontato con la distribuzione per titolo di studio dei non disabili, da cui emerge in modo evidente come i disabili presentino un livello di istruzione notevolmente inferiore. Infatti, in Sicilia la percentuale di laureati o diplomati superiori tra i non disabili è del 35,8% (39,3% in Italia), la percentuale di possessori di diploma inferiore e con licenza elementare è del 57,1% (55,5% in Italia) e la percentuale dei senza titolo è del 7,1% (5,2% in Italia).
Un ruolo molto importante è svolto dalle cooperative sociali, le quali svolgono diverse attività secondo il loro statuto. Tra il 1996 ed il 1999 si assiste in Sicilia ad un incremento di cooperative sociali del 206,6%, contro un incremento medio italiano del 60,1%. In Sicilia, in particolare, risulta che 457 cooperative sociali svolgono attività socio sanitaria ed educativa, 415 attività di inserimento lavorativo, e 24 entrambe le attività. In percentuale in Sicilia esistono, al 1999, 17,6 cooperative sociali ogni centomila abitanti, mentre tale dato in Italia si assesta al 10,7 per centomila.
Dal registro prefettizio emerge, inoltre, che in Sicilia la sezione di maggiore affluenza è quella"produzione e lavoro" (79,6%, contro il 59,4% in Italia), seguita dalla sezione "mista" (19,2%, 38,7% in Italia) e quindi dalle residuali.
Infine, dalla tabella successiva possiamo notare la differenza percentuale tra i disabili in termini di occupazione, per categoria di invalidità, esistente tra i siciliani ed il resto degli italiani:
Collocamento obbligatorio: percentuali di occupati fra le persone fruenti della disciplina sulle assunzioni obbligatorie legge n. 482/68 (anno 1999)
Cause di invalidità |
Sicilia |
Italia |
Invalidi di guerra |
78,8% |
96,9% |
Invalidi per servizio |
62,0% |
83,3% |
Invalidi del lavoro |
39,5% |
73,1% |
Invalidi civili |
12,1% |
32,5% |
Sordomuti |
49,8% |
56,9% |
Orfani e vedovi/e |
23,1% |
62,6% |
Profughi |
41,9% |
69,6% |
Ex TBC |
90,5% |
63,1% |
Vittime del dovere |
15,4% |
39,6% |
1.4.8. Devianza e disagio minorile
A conclusione del sintetico quadro relativo al settore socio-sanitario siciliano riportiamo alcuni dati che possono dare qualche indicazione sul problema della devianza minorile e del disagio che affligge i minorenni dell'isola. I dati sono relativi all'anno 1999 e derivano da un'indagine svolta dall'ISTAT nel 2001. In Sicilia i minorenni denunciati nel 1999 sono stati 2.776, di cui solo 269 femmine, mentre relativamente all'età solo 320 hanno meno di 14 anni. I restanti 2.456 hanno tra i 14 ed i 17 anni. Gli indici di delittuosità permettono il confronto con il livello nazionale, facendo notare che mentre la Sicilia presenta 83,4 minorenni denunciati ogni 100.000, in Italia tale valore è del 160,6 per centomila. Resta da comprendere se tale dato, riferito esclusivamente al numero di denunce, sia più un indice di delittuosità o un indice di omertà.
Gli stranieri minorenni concorrono alle 2.776 denunce solo nella misura del 6,3%, mentre in Italia tale valore è del 27%. In Italia esistono 25 centri di prima accoglienza per minori, di cui 4 in Sicilia (Palermo, Caltanissetta, Catania e Messina). In generale i minorenni siciliani rappresentano la maggiore quota di presenza nei C.P.A., tranne a Caltanissetta dove la presenza di stranieri è quasi tripla. Catania con i suoi 290 minorenni ha la maggiore quota complessiva dell'isola, contro Palermo con 140, Messina con 45 e Caltanissetta con 40. Ben l'8,6% delle 511 denunce complessive in Italia all'Autorità giudiziaria per violenze sessuali contro minori di 14 anni provengono dalla Sicilia, coinvolgendo 36 persone. Questo dato mostra una tendenza alla diminuzione, sia in Sicilia che su tutto il territorio nazionale.
Infine la dispersione scolastica mostra in Sicilia valori nettamente superiori al resto d'Italia, sebbene con andamento decrescente nell'ultimo decennio. Infatti, si passa dallo 0,45% di alunni della scuola elementare non valutati (poiché hanno interrotto o abbandonato gli studi per cause ignote) alla fine dell'anno 1991 (0,17 il valore in Italia), allo 0,09 del 2000 (0,07 in Italia) e similmente per le scuole medie inferiori si assiste in Sicilia al passaggio da un 2,75% di alunni non valutati nel 1991 allo 0,81% del 2000, valori che in Italia passano dall'1,4% allo 0,39%. Nel 2000 la Sicilia presenta il secondo maggior numero di minori da rintracciare (8 minori, 17% sul totale) di tutta l'Italia dopo la Lombardia, mentre gli stranieri in Sicilia per cui si sono attivate operazioni di ricerca sono solo lo 0,1%.
Nel fascicolo "Allegati" è possibile visionare una serie di indicatori, aggiornati per aggregati di dimensione territoriale distrettuale. Tutti i dati relativi a questo capitolo, così come gli indicatori dell'allegato, sono stati elaborati e forniti dall'ISTAT - Ufficio regionale per la Sicilia.
Cap. 2
LA DOMANDA E L'OFFERTA
La premessa a questo capitolo si può sintetizzare attraverso l'evidente distanza che esiste tra il lavoro prodotto e promosso nella Regione in termini di studi, ricerche, normativa, programmazione e progettazione e gli scarsi dati raccolti attraverso l'implementazione di reti informatiche e di attività di monitoraggio. Mancano soprattutto valutazioni in grado di uniformare i dati riconducibili all'intero territorio regionale, condividendo standard, strumenti e indicatori. Questo è il motivo per cui domanda e offerta vengono identificate in uno spazio unico di analisi, all'interno del quale prevalgono le linee di indirizzo e le strategie applicative, rimandando un più attento confronto con gli ambiti territoriali e con i settori di competenza ad una fase successiva, compresa nel programma triennale di "Verso il piano socio-sanitario regionale", allorquando saranno stati attivati gli opportuni strumenti di analisi e verifica e saranno disponibili i dati di ritorno dei piani di zona.
2.1. La tutela sociale dei disabili
L'avviato programma nazionale di governo a sostegno delle politiche dell'handicap individua nell'integrazione dei servizi sociali e sanitari la risposta efficace ai bisogni delle persone affette da gravi minorazioni di natura fisica, psichica o sensoriale, che ne riducono l'autonomia nella sfera personale e relazionale. Ciò risponde all'esigenza di ricercare ed erogare attività di sostegno per il pieno recupero alla vita sociale, anche in aiuto o supplenza dei nuclei familiari, naturali od affidatari, non più in grado di assicurare adeguata assistenza.
A supporto di tale azione permane l'impiego delle risorse finanziarie stanziate dalla legge n. 162 del 1998 (art. 3) ripartite a decorrere dal 1998 e confluite nell'istituito fondo nazionale per le politiche sociali (art. 59, comma 44, legge n. 449/97) che per l'anno 2001 e per ciascuno degli anni seguenti ha fissato in Euro 30.470.957,05 lo stanziamento annuale per l'attuazione dei programmi e dei progetti d'intervento, anche di tipo personalizzato, con assegnazione alla Regione Siciliana di Euro 3.342.255,97 per ciascun anno.
Nell'ambito di tali assegnazioni è possibile intervenire ad una corretta programmazione su base triennale delle risorse disponibili, anche capitalizzando l'esperienza maturata nel triennio 1998-2000 in vari contesti dell'Isola, grazie alla partecipazione e all'impegno delle associazioni dei familiari e del privato sociale, con la valorizzazione delle politiche locali nei servizi alla persona ad elevata integrazione socio-sanitaria e con la rimozione delle cause che compromettono la presenza delle persone handicappate nel contesto familiare e sociale, ovvero ne riducono la piena partecipazione alla vita civile nel rispetto del diritto alla dignità, libertà ed autonomia.
La riduzione dell'autonomia personale richiede un accesso globale alla sfera degli individui handicappati con prestazioni personalizzate, sociali ed a valenza sanitaria, di assoluta innovazione, ad integrazione dei servizi già erogati dagli enti locali in attuazione della legislazione regionale di settore (leggi regionali n. 68/81 e n. 16/86). Risulta essenziale al raggiungimento degli obiettivi la partecipazione delle famiglie, associazioni, ONLUS, comprese le IPAB e le organizzazioni di volontariato, sia nella fase della ricerca dell'utenza e progettazione delle iniziative che in quella della realizzazione dei progetti con supporto di natura professionale, relazionale e motivazionale di assoluta valenza etica a beneficio dell'integrazione istituzionale, gestionale e comunitaria degli interventi.
Occorre superare logiche di mera assistenza, seppure necessaria, con approdo ad obiettivi di assoluta promozione e recupero dell'handicappato a "risorsa della società", mediante l'inserimento o il reinserimento nella vita sociale e nel lavoro, con risultati di forte recupero civile ed occupazionale anche per le nuove figure professionali richieste dal settore dei servizi sociali.
Collegato a questo obiettivo è il miglioramento della qualità della vita dell'intera famiglia, con l'offerta di adeguati supporti a sollievo di un impegno costante e interminabile.
Tali obiettivi si collocano agevolmente nell'avviato progetto del Governo a sostegno del ruolo sociale della famiglia, del recupero di valori e scelte di solidarietà collettiva, istituzionale e privata, in un quadro complessivo di sicurezza sociale.
2.2. La tutela delle persone anziane
Il crescente fenomeno demografico dell'invecchiamento della popolazione e del rallentato ricambio generazionale degli ultimi decenni ha posto, con sempre maggiore evidenza, il problema dei soggetti anziani in un ambito non più confinabile all'interno del sistema pensionistico e sanitario.
La tradizionale "istituzionalizzazione" degli anziani più bisognosi, non autosufficienti e/o soli, non si ritiene più una risposta adeguata e sufficiente, investendo pienamente del problema il sistema dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari.
La Regione Siciliana, in linea con l'attività legislativa in favore degli anziani delle altre Regioni, nel 1981 emana la legge di settore n. 87, "Interventi e servizi a favore degli anziani", nel 1986 la legge n. 14, "Integrazioni e modifiche alla legge regionale n. 87/81 e nuove norme in materie di interventi e servizi a favore degli anziani" e nel 1990 la n. 27, "Modifiche, integrazioni ed ulteriori disposizioni per l'attuazione delle leggi regionali n. 87/81 e n. 14/86 recanti interventi e servizi per gli anziani, e della legge regionale n. 22/86, di riordino dei servizi socio-assistenziali".
La legge di riordino n. 22 del 1986 ha disegnato la cornice dentro la quale trovano posto e giustificazione tutti gli interventi socio-assistenziali che la Regione Siciliana intende assicurare ai cittadini, compresi quelli rivolti alla popolazione anziana.
A seguito degli interventi normativi citati, si assiste oggi ad una distribuzione abbastanza capillare su tutto il territorio regionale dei servizi in favore degli anziani. Significativo risulta essere il dato relativo al servizio di assistenza domiciliare in favore di anziani parzialmente o non autosufficienti, bisognevoli di aiuto alla persona e nel governo dell'alloggio, sostegno sociale e psicologico e quant'altro necessario per una vita autonoma all'interno della propria abitazione. Sono circa 30.000 gli anziani che usufruiscono di detto servizio, con un impiego di circa 4.000 operatori qualificati.
Data la natura delle prestazioni e la tipologia dell'utenza, tale servizio rappresenta un ambito in cui l'integrazione con le competenze sanitarie deve assumere particolare significato, incidendo sulle condizioni di vita e di salute dell'anziano, con evidenti riflessi in termini di riduzione della spesa sanitaria.
In via sperimentale, infatti, è stato avviato in alcuni distretti sanitari il servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI), a favore di anziani non autosufficienti per patologie cronico-degenerative e carenti di supporto familiare, al fine di scongiurarne l'istituzionalizzazione ed il ricovero ospedaliero.
In merito ai servizi residenziali, si registra una presenza di circa 2.000 anziani ricoverati in strutture quali la casa di riposo, la casa protetta, la comunità-alloggio e la casa albergo.
A giudicare dai dati quantitativi riportati in rapporto alla popolazione anziana siciliana si può affermare che si è ancora lontani da una completa politica dei servizi che consideri la globalità dei bisogni delle persone anziane in merito ai problemi di salute, talvolta di sopravvivenza e che comprenda la vita di relazione e culturale, il sentirsi ancora attivi e protagonisti nella vita sociale ed economica, il radicamento nel territorio originario.
In tal senso, occorre pensare a piani di zona che abbiano il carattere della risposta alla globalità dei bisogni e alla totalità dei cittadini anziani. Il che porterebbe a una diversificazione degli interventi in grado di fornire risposte efficaci a esigenze diverse.
2.3. Il sostegno alla famiglia, la tutela dei minori e degli adolescenti, l'affido e l'adozione
In Sicilia, ai fini di una corretta attuazione della normativa recata dalla legge regionale 9 maggio 1986, n. 22, concernente il riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali, la Regione, ed in particolare l'Assessorato degli enti locali, ha avuto modo in questi anni di diramare direttive e istruzioni per richiamare l'attenzione degli enti locali sull'esigenza di attivare, in via prioritaria, interventi e servizi interagenti a tutela dell'infanzia, dell'età evolutiva e della famiglia, secondo il chiaro indirizzo emergente dal titolo II della normativa sopra richiamata. Quest'ultima ha proposto specifici interventi affermando il concetto che il minore deve crescere nell'ambito del proprio nucleo familiare e quindi ogni cura e attenzione va posta nei confronti di quest'ultimo.
La legge di riordino ha sottolineato, inoltre, che la visione separata delle esigenze dei minori rispetto a quelle della famiglia non consente di attuare una efficace prevenzione permanente, per cui si è richiesta un'azione più incisiva e programmata tendente ad attivare servizi permanenti, non limitata ad interventi temporanei, di tamponamento e di emergenza.
Il regolamento-tipo sull'organizzazione dei servizi socio-assistenziali, approvato con il D.P.R.S. 28 maggio 1987, che ciascun comune avrebbe dovuto recepire adeguandolo alle esigenze della comunità amministrata, ha indicato gli interventi e i servizi attivabili in favore dei minori, focalizzandoli nel punto 11 (assistenza ai minori nei confronti dell'autorità giudiziaria) e nel punto 16 (iniziative volte alla prevenzione del disadattamento e della criminalità minorile mediante la realizzazione di servizi ed interventi finalizzati al trattamento ed al sostegno di adolescenti e giovani in difficoltà). Nei successivi punti sono state indicate anche le strutture attraverso le quali possono essere realizzati i relativi servizi (centri diurni di assistenza e di incontro, comunità-alloggio, case protette, centri di accoglienza per ospitalità diurna e residenziale temporanea, ecc.).
Da non dimenticare il D.P.R.S. 29 giugno 1988 che ha approvato gli standars strutturali ed organizzativi dei servizi e degli interventi socio-assistenziali (legge regionale n. 22/86), integrati recentemente dal D.P.R.S. n. 158 del 4 giugno 1996, con il quale sono stati approvati gli schemi di convenzione per i servizi socio assistenziali.
Dall'insieme delle disposizioni legislative e regolamentari fin qui richiamate, si è evidenziato che i comuni, singoli o associati, titolari delle funzioni socio-assistenziali, avrebbero dovuto, con la necessaria gradualità, compatibilmente con le risorse disponibili e coinvolgendo tutti i soggetti istituzionali (autorità giudiziaria minorile, provveditorati agli studi, amministrazioni provinciali, unità sanitarie locali, uffici e ispettorati del lavoro ecc.) nonché il privato sociale e il volontariato, garantire la realizzazione di una politica di prevenzione che affrontasse adeguatamente i problemi dell'abbandono scolastico, dell'inserimento lavorativo, dell'organizzazione del tempo libero, del sostegno alla famiglia, della creazione di strutture ricreative e sportive.
Si è considerata la prevenzione, generale e specifica, completata da interventi volti al recupero e al reinserimento sociale dei singoli, a fronte di modalità di lavoro riparative e di tamponamento, quale punto focale della operatività dei servizi sociali degli enti locali.
I servizi sociali degli enti locali sono stati coinvolti in una serie di attività e di impegni, da svolgere in piena collaborazione con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, diretti a perseguire il primario obiettivo del recupero e reinserimento del minore nel proprio ambiente.
L'Assessorato degli enti locali, per poter adempiere le richiamate funzioni, ha ritenuto indispensabile promuovere la piena funzionalità dell'ufficio di servizio sociale, che i comuni avrebbero dovuto istituire a norma dell'art. 5 della legge regionale n. 22/86. In proposito, relativamente alla organizzazione di detto ufficio, in rapporto alla popolazione residente ed ai bisogni da soddisfare, si è ulteriormente ribadita l'istituzione dell'ufficio di servizio sociale quale primo punto utile per soddisfare le esigenze strumentali di ciascun comune.
La mancata istituzione di detto ufficio, che a distanza di circa 16 anni interessa ancora un altissimo numero di amministrazioni comunali, non ha consentito una programmazione di iniziative orientata al soddisfacimento di bisogni prioritari, complice anche la relativa congruità delle risorse finanziarie disponibili.
L'Assessorato degli enti locali ha potuto accertare che circa il 40% dei comuni siciliani non aveva istituito l'ufficio di servizio sociale.
Non bisogna dimenticare che programmare interventi socio-assistenziali è di per sé un atto complesso: aiuti alla famiglia di origine, servizi di sostegno economico e aiuto domiciliare, interventi relativi all'affidamento, all'adozione e agli altri provvedimenti assunti dalle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza civile e amministrativa. Per lo svolgimento corretto e tempestivo delle suddette attività è indispensabile la presenza continua di operatori in possesso delle necessarie professionalità: assistenti sociali, operatori, psicologi, ecc.
Tale presenza deve essere continua in quanto è indispensabile poter seguire le situazioni individuali, familiari e sociali fino alla loro risoluzione. La realtà siciliana, che rispecchia la realtà nazionale, è connotata dalla presenza, nella stragrande maggioranza dei comuni, di una popolazione così scarsa (e di conseguenti bilanci finanziari così limitati) da non essere assolutamente in grado di svolgere l'insieme delle funzioni sopra indicate.
Si è concordi nel ritenere che i comuni con una popolazione inferiore ai 20.000 abitanti non abbiano concrete possibilità di assicurare un'adeguata gestione dei sevizi socio assistenziali.
In Sicilia si tratta di ben 340 comuni su 390, e cioè l'87%.
Va però precisato che in Sicilia i comuni di grandi e medie dimensioni, nei quali si concentrano la maggioranza della popolazione minorile e delle famiglie in difficoltà, seppur da decenni abbiano avuto la possibilità di attivare i necessari interventi alternativi al ricovero, sia per disponibilità di risorse che di personale, in molteplici casi non sono stati in grado di garantire interventi adeguati e sufficienti.
Il primo e determinante condizionamento al decollo delle politiche di tutela dell'infanzia e della famiglia è stato l'assenza pressoché totale di un'azione coordinata di rete dei diversi soggetti, pubblici e privati, che operano nel settore, finalizzata alla prevenzione. La mancanza di una rete dei servizi si è riversata sugli anelli più deboli del sistema sociale, coinvolgendo gradualmente tutti i soggetti coinvolti nel settore.
Altro nodo problematico è l'integrazione tra sistema sociale e sanitario.
La divisione sempre più netta e a volte esasperata, tra competenze sociali e sanitarie, ha determinato scompensi e disfunzioni sempre meno sostenibili dalla popolazione in generale e dalle fasce deboli in particolare.
Ciò che si è voluto sottolineare, a parte le particolari problematiche che sono state richiamate, è che le politiche regionali per l'infanzia non hanno inizio con la legge n. 285/97.
In Italia le politiche regionali per l'infanzia e l'adolescenza hanno avuto origine, già nel 1958, proprio attraverso un intervento della Regione Sicilia: il ricovero dei minori negli istituti.
Con la legge n. 285/97 si è iniziato, invece, un percorso nuovo, fortemente voluto e da lungo tempo auspicato, basato sulla concertazione tra istituzioni diverse, che ha già dimostrato le sue fortissime potenzialità. La legge n. 285/97 ha, fra i tanti meriti, quello di aver avviato in tutta la Regione un percorso di progettazione partecipata sui temi dell'infanzia e dell'adolescenza che ha sostenuto e promosso una reale possibilità di affermazione dei diritti dei bambini e delle bambine.
Da quasi quattro anni l'Assessorato regionale degli enti locali e gli enti locali, con non poche difficoltà, si muovono per:
- la definizione di indirizzi e strategie operative per il coordinamento e la qualificazione dei servizi e degli interventi socio-educativi territoriali per i minori in difficoltà e le loro famiglie e per la realizzazione di esperienze di aggregazione sociale, rivolti a preadolescenti e adolescenti;
- il coordinamento istituzionale e tecnico previsto da norme nazionali ed internazionali per la promozione dei diritti e delle opportunità dei bambini e degli adolescenti attraverso la loro partecipazione alla vita della comunità locale, alle esperienze aggregative, per una valorizzazione della loro autonomia e della loro responsabilizzazione;
- la promozione di azioni mirate ad una migliore qualità della vita dei bambini e degli adolescenti, favorendo la vocazione del territorio urbano come spazio educativo, avviando la fruizione dei beni e servizi culturali, ambientali, sociali, ricreativi, sportivi.
Prima della legge n. 285, un piccola parte dei comuni siciliani si occupava, organizzando servizi, dell'infanzia e dell'adolescenza. Con la legge n. 285 il numero dei comuni implicati, arriva al 100%.
Particolare rilievo ha assunto, nel primo triennio di applicazione della legge n. 285, il ruolo delle province, in qualità di istituzioni intermedie. Esse hanno contribuito, in non pochi ambiti territoriali di intervento, alla razionalizzazione dell'offerta di servizi e di opportunità in comuni piccoli o piccolissimi, favorendo l'integrazione delle risorse ed il coordinamento degli interventi.
Anche per questo è necessario sottolineare, ancora una volta, la grande innovazione metodologica avviata dalla legge n. 285, nella direzione di un uso integrato delle risorse e di una gestione concertata degli interventi da parte delle istituzioni pubbliche tra di loro e dal necessario apporto delle organizzazioni non lucrative e del privato sociale. Si è dato luogo ad un approccio corale che ha coinvolto, per la prima volta in modo continuo e sistematico, le istituzioni e le organizzazioni del terzo settore.
In particolare si possono sintetizzare i seguenti risultati:
- la stipula di accordi di programma tra tutti gli enti locali coinvolti e le altre istituzioni, previste dalla legge;
- la sperimentazione di nuove forme di collaborazione tra gli attori coinvolti;
- l'individuazione di un nuovo ruolo per il privato sociale;
- un diffuso e più attento interesse per i temi dell'infanzia;
- l'avvio di iniziative di tipo innovativo, in molte realtà dove le opportunità per i bambini si limitavano all'offerta di servizi tradizionali, a carattere assistenziale.
Risultati importanti che hanno inciso, insieme ad un reale percorso di concertazione, nell'elaborazione delle nuove direttive regionali emanate con decreto n. 653/01, tendenti a regolare il secondo triennio di applicazione della "285", per gli anni 2000-2002.
La disponibilità finanziaria per il nuovo triennio, comprensiva dei fondi destinati alle città riservatarie, è di circa 50 milioni di euro, ai quali va aggiunta la quota di cofinanziamento che tutti gli enti locali hanno previsto in una misura non inferiore al 10% del budget a loro assegnato.
L'Assessorato regionale degli enti locali ha completato la fase di "recupero", definizione e approvazione dei piani territoriali di intervento, caratterizzata da un intenso e costruttivo confronto e dialogo tra i referenti "285" degli ambiti territoriali e delle città riservatarie di Palermo e Catania e i funzionari regionali incaricati delle procedure di valutazione.
Con l'applicazione regionale della legge n. 285 si è posto un punto fermo da cui sembra molto improbabile tornare indietro: i bambini e i ragazzi, le bambine e le ragazze non sono più un problema solo delle famiglie o degli istituti, ma una priorità nell'azione integrativa delle istituzioni.
Un accenno meritano gli interventi per i minori attuati in Sicilia prima dell'entrata in vigore della legge n. 285. Si può sottolineare il dato relativo ad alcune iniziative allargate a tutta la fascia minorile, quale l'attivazione di centri diurni, di progetti di prevenzione del disagio e di equipes psico-sociali.
Il dato più rilevante, invece, tra gli interventi rivolti alla famiglia risultava essere ancora, nel 1996, l'assistenza economica, con prevalenza della forma straordinaria. Nella nostra Regione la famiglia ha costituito e costituisce ancora una realtà viva, sebbene stia subendo un forte processo di cambiamento: il tasso di nuzialità resta alto anche se sono in aumento le unioni di fatto; le separazioni e i divorzi, pur essendo in aumento, restano ancora minoritari nei confronti delle molte unioni stabili; va drasticamente diminuendo il numero dei figli per nucleo familiare; la famiglia diviene più anziana; va dilatandosi sempre più la permanenza in famiglia dei giovani non coniugati anche dopo il raggiungimento della maggiore età.
Rimanendo nell'ambito degli interventi rivolti alla famiglia (con riferimento ai dati parziali disponibili), il punto di maggiore evidenza, in termini di risposte alle vecchie e nuove esigenze di chi vive situazioni di disagio, risulta essere l'assistenza economica, con prevalenza di quella straordinaria che, seppur concepita dalla normativa regionale per fronteggiare esigenze contingenti, non assolvibili con le normali disponibilità della famiglia, di fatto viene erogata quale risposta a situazioni di bisogno economico "ordinario".
Anche le altre forme di assistenza economica (vittime del delitto, post-penitenziaria e famiglie dei detenuti) rappresentano interventi per categorie che prescindono da un'analisi specifica sulla condizione del bisogno e sulle risorse socio-familiari. Se l'assistenza economica tradizionale rappresenta, dunque, la forma di intervento privilegiata in quanto più facilmente percorribile, anche per l'assenza di professionalità e strumenti tecnici di valutazione adeguati, dall'altra la mancanza, fino ad oggi, di una politica mirata al superamento della condizione di bisogno, ha condizionato l'efficacia dell'intervento.
Laddove si tratta, invece, di assicurare forme di sostegno economico finalizzato, ci si è limitati ad una esigua capacità di fornire risposte adeguate, come ad esempio nel caso dell'assistenza abitativa.
Un commento a sé meritano questi interventi ed in particolare quelli relativi al sostegno della relazione genitore-figli e delle misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali.
Punto di partenza sono i dati riguardanti i minori nelle strutture residenziali socio-assistenziali, problematica meglio conosciuta sotto la convenzionale dizione di "minori negli istituti".
Una indagine svolta su tutto il territorio nazionale dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza ha censito, nel primo semestre 1998, 1.801 strutture residenziali socio-assistenziali che ospitavano 15.431 minori. Per anni si era parlato di una cifra di poco inferiore ai 40mila minori ospiti di queste strutture; l'indagine del Centro nazionale di documentazione ha dunque ridimensionato alquanto il fenomeno, che è sempre stato portato ad esempio di una cattiva politica verso i minori e le famiglie.
Si sono ricercate e attuate misure alternative all'inserimento del minore in istituto, tema più che mai attuale alla luce della legge n. 149/01, di modifica della legge n. 184/83.
Per la Regione Siciliana la ricerca di dette misure alternative si è tradotta in un diretto impegno, anche finanziario, nel promuovere l'incremento in tutta la Regione di strutture residenziali aperte per minori sottoposti a provvedimento dell'autorità giudiziaria minorile, cioè le comunità-alloggio.
La titolarità di dette funzioni è stata attribuita ai comuni con la legge di riordino 9 maggio 1986, n. 22 (art. 11, comma II, lett. C), ma solo a seguito dell'entrata in vigore della legge regionale 8 novembre 1988, n. 33, recante le norme finanziarie per l'attuazione della citata legge di riordino, è stato possibile attivare concretamente i citati servizi, assumendone i relativi oneri, rimasti a carico del Ministero di grazia e giustizia, fino al marzo 1989.
Questo passaggio di competenze ha spinto l'Amministrazione regionale, ed in particolare l'Assessorato degli enti locali, a prevedere per i comuni, nel cui territorio operano comunità-alloggio che hanno avuto, in precedenza, rapporti di convenzione con il Ministero di grazia e giustizia, l'assegnazione delle somme occorrenti a coprirne gli oneri relativi.
L'Assessorato si è posto anche l'obiettivo di potenziare "le comunità per i minori quali servizi a dimensione familiare nei quali i minori stessi potessero essere osservati e seguiti con metodologie aderenti alla prevenzione primaria", riservandosi "di ampliare la rete dei servizi in parola attraverso l'individuazione di altre comunità idonee ubicate nel territorio delle province scoperte".
Dal 1989 l'Assessorato per gli enti locali, con l'importante contributo della Commissione regionale devianza minorile e adulta, ha svolto un ruolo determinante nell'attuare iniziative volte alla prevenzione del disadattamento e della criminalità minorile. All'uopo si riportano di seguito una serie di passaggi particolarmente significativi:
Anno 1989
- 18 sono le comunità-alloggio, convenzionate con i comuni di Acireale, Monreale, Palermo, San Giovanni La Punta e Sant'Agata Li Battiati;
- viene elaborato dalla Commissione regionale per la devianza minorile e adulta uno schema-tipo di convenzione e trasmesso ai comuni interessati con l'obbligo di uniformarvisi;
- vengono determinate le somme da assegnare ai comuni interessati commisurandole ai costi oggettivi, derivanti da previsioni che tenessero conto del compenso fisso mensile e retta giornaliera di mantenimento, con complementarità di quest'ultima rispetto ai costi di base;
- viene imputata la spesa sul capitolo 19039 nella misura del 70% e sul capitolo 58904 nella misura del 30% per un importo complessivo di L. 9 miliardi.
Anno 1990
- 25 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1991
- 25 comunità-alloggio finanziate;
- sul fondo per la gestione dei servizi socio assistenziali, di cui all'art. 45 della legge regionale n. 22/86, viene introdotta la riserva di una quota non superiore al 10% "per soddisfare particolari esigenze al di fuori dei criteri di ripartizione prescritti dall'art. 45, comma I, lett. a) della stessa legge regionale n. 22/86". Tale quota viene utilizzata da questo Assessorato per la copertura delle spese sostenute dai comuni per la gestione, in convenzione, di comunità-alloggio per minori sottoposti a provvedimento dell'A.G.M.
Anno 1992
- 25 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1993
- 29 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1994
- 33 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1995
- 33 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1996
- 35 comunità-alloggio finanziate,
- con decreto presidenziale 4 giugno 1996 vengono approvati gli schemi di convenzione-tipo per le gestioni da parte dei comuni della Regione dei servizi socio-assistenziali previsti dalla legge regionale 9 maggio 1986, n. 22. Essi costituiscono, ai sensi dell'art. 54 della medesima legge, atti d'indirizzo generale per l'erogazione delle prestazioni integrate sociali e sanitarie e per l'adeguamento degli standars organizzativi di cui al decreto presidenziale 29 giugno 1988;
- a seguito dell'approvazione della legge regionale 25 marzo 1996, n. 7, che all'art. 12 ha previsto la confluenza degli stanziamenti relativi ad alcune leggi di settore nel capitolo 19039, riguardante il fondo per la gestione dei servizi socio-assistenziali, sorge la necessità dell'istituzione di apposito capitolo di spesa.
Anno 1997
- 35 comunità-alloggio finanziate;
- in applicazione dell'art. 45, comma 5 della legge regionale n. 6/97 viene istituito, nel bilancio di previsione per l'anno finanziario 1997, il capitolo 18956 con lo stanziamento di L. 15.000 milioni, destinato alle spese per le comunità alloggio per minori sottoposti a provvedimento dell'autorità giudiziaria minorile, nell'ambito delle competenze civile e amministrativa.
Anno 1998
- 42 comunità-alloggio finanziate.
Anno 1999
- 50 comunità-alloggio finanziate;
- l'art. 57, comma 12 della legge regionale n. 10 del 27 aprile 1999 assegna alla disponibilità dell'Assessore regionale degli enti locali per l'anno 1999 lo stanziamento in L. 30.000 milioni da destinare alla copertura delle spese di gestione, anche in convenzione, di comunità-alloggio per minori e per disabili mentali.
Anno 2000
- 56 comunità-alloggio finanziate.
- nota assessoriale, prot. XII n. 379 di richiesta al direttore del centro per la giustizia minorile di Palermo, di disponibilità di posti.
* Nota n. prot. 4366 della direttore del centro per la giustizia minorile di Palermo, di rinnovo delle convenzioni con le comunità di Monreale, Caltanissetta, Acicatena, Caltagirone e Acireale.
Anno 2001
- 56 comunità-alloggio finanziate.
Sia pure in estrema sintesi, si è ritenuto opportuno puntualizzare lo sforzo effettuato in questi ultimi anni da questo Assessorato nella realizzazione di un percorso teso alla promozione di misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativi assistenziali.
Le comunità alloggio per minori hanno avuto in questi anni un aumento costante nella nostra Regione e hanno coperto tutte le province.
Nel marzo del 1985, prima della legge di riordino dei servizi socio-assistenziali, l'Assessorato degli enti locali assegnava al comune un campo d'azione esteso alla tutela della famiglia e non solamente del minore. Ne derivava per il comune, quale ente di gestione politica dei servizi socio-sanitari sul territorio, l'obbligo di creare tutte le condizioni di sostegno alla famiglia naturale affinché il bambino potesse rimuovere ogni causa di bisogno, individuale e collettivo, che ne potesse determinare l'allontanamento.
La legge n. 184/83, che ha regolamentato l'affidamento familiare, è sembrata sin dalla sua entrata in vigore una risposta adeguata. Ha affermato il diritto di ogni minore a crescere nella propria famiglia e, quando questo non fosse assolutamente possibile, in una famiglia affidataria (in caso di inidoneità temporanea di genitori e parenti) o in una famiglia adottiva (se viene accertato il suo stato di abbandono morale e materiale); in base a questa legge il ricovero in istituto è consentito solo se non è possibile attuare queste iniziative.
D'altra parte l'affidamento familiare è un intervento molto qualificato per evitare l'istituto, anche nelle forme più evolute e "mascherate". L'affidamento familiare, rispetto all'istituto, non ha solo conseguito buoni risultati sul piano psicologico, educativo, affettivo, anche nei casi più problematici, ma ha determinato significativi effetti collaterali: umanizzazione e responsabilizzazione delle istituzioni e dei servizi, crescita personale dei soggetti coinvolti, sviluppo di sentimenti di solidarietà e coinvolgimento del territorio. Non è l'affidamento familiare l'alternativa all'istituto, bensì il contrario perché è l'istituzionalizzazione che deve essere l'eccezione.
La legge n. 184/83 è una buona legge che non è stata attuata in maniera diffusa ed adeguata; sono ancora moltissimi i comuni della Sicilia che non hanno predisposto le procedure ed i servizi necessari per rispettare le priorità di intervento stabilite (nel 1996 i minori affidati in Sicilia risultavano essere circa 350). Spesso diffidenze e pregiudizi ne hanno impedito, fino ad oggi, la piena applicazione.
A questa legge sono mancate le "gambe" per camminare speditamente: una è l'organizzazione di servizi efficaci ed adeguati e l'altra la mancata diffusione di una cultura di politiche sociali "positive e propositive".
In questo senso la legge n. 285/97 è da ritenere estremamente utile, poiché ha proposto una inversione di tendenza dell'intervento pubblico verso i minori e delle priorità specifiche sul tema del l'affidamento familiare. In Sicilia, infatti, i piani territoriali di intervento approvati dall'Assessorato degli enti locali hanno previsto, in ben 18 sub-ambiti e in una città riservataria, altrettanti progetti di promozione, sensibilizzazione e sostegno sul tema dell'affido familiare. E' senz'altro un primo incoraggiante risultato.
Province Progetti affido Agrigento .................. 3 Caltanissetta .............. 1 Catania .................... 2 Enna ....................... 1 Messina .................... 1 Palermo .................... 3 Ragusa ..................... 1 Siracusa ................... 3 Trapani .................... 3 Palermo-Catania............. 1
Dall'ufficio area minorile dell'Assessorato enti locali è stata condotta, inoltre, una prima indagine (relativa al periodo 1 gennaio 1999-30 giugno 1999) con l'intento di pervenire ad una quantificazione attendibile degli affidamenti familiari in Sicilia, analizzando ed unificando i dati resi disponibili dai servizi sociali dei comuni che offrono un servizio affido (vedi tabella).
L'indagine è stata strettamente collegata alle finalità espresse dalla legge n. 285/97, con particolare riferimento alla promozione di "misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali." E' stato senz'altro il primo passo di un cammino che, negli intenti, ha l'obiettivo di promuovere occasioni di confronto, tra soggetti pubblici e privati coinvolti, sui molti aspetti connessi all'affidamento familiare e alle nuove problematiche che proporrà l'applicazione, in particolar modo nella nostra Regione, della legge n. 149/01, di modifica della legge n. 184/83.
Una analisi approfondita dei dati relativi all'affido e di tutti gli interventi di sostegno alla famiglia non è possibile in questa sede.
Si può, comunque, sottolineare come negli ultimissimi anni sia cresciuta, da parte di tutti i soggetti istituzionali e non, la sensibilità sui temi dell'infanzia e della famiglia ed in particolare una maggiore attenzione nei confronti dell'affido. I dati sopra riportati dimostrano l'aumento dei minori in affidamento a famiglie e parenti rispetto al 1996.
Venti anni fa la richiesta di adozione non era particolarmente frequente e rilevante, prevalentemente orientata dal desiderio di un bambino di nazionalità italiana e molto piccolo per età.
Un'attenzione particolare merita l'applicazione della legge n. 476/98 in Sicilia.
Oggi l'adozione internazionale, con i suoi 2.000 decreti di adozione che annualmente vengono fatti dai tribunali per i minorenni, anche nel nostro paese è ormai da ritenere un fenomeno molto diffuso.
I minori per i quali è stata concessa l'autorizzazione all'ingresso in Italia, al 31 dicembre 2001, sono circa 2.150.
Era pertanto necessaria ed attesa la legge 31 dicembre 1998, n. 476, "Ratifica ed esecuzione della convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta all'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri", che ha rappresentato un primo significativo passo verso la cooperazione tra i paesi di origine e di accoglienza dei bambini, nel rispetto di un'etica procedurale diretta a rendere trasparente e corretta l'adozione e a stroncare il mercato dei minorenni in difficoltà.
Alla base della legge c'è il convincimento che l'adozione internazionale deve essere realizzata nell'interesse preminente del minore in reale stato di adottabilità, non rimediabile nel suo paese, attraverso l'inserimento in un'altra famiglia.
La "476" ha introdotto percorsi di adozione più trasparenti e innovazioni procedurali, ha attribuito notevoli funzioni ai comuni e previsto la costituzione di nuovi organismi.
Rispetto alla precedente normativa (legge n. 184/83) sono state apportate significative variazioni nelle procedure per l'adozione.
Tutto ciò ha reso necessaria una revisione organizzativa delle attività e imposto un profondo cambiamento culturale negli operatori giudiziari, sociali e sanitari che sono impegnati nel preparare, facilitare, seguire e decidere l'inserimento di un bambino straniero, di cultura e spesso anche di razza diversa, in una famiglia italiana e nel rendere meno difficile il suo inserimento nel nostro tessuto sociale.
In Sicilia questo processo di cambiamento è in atto e la nostra Regione risulta essere, insieme alla Lombardia, all'Emilia Romagna e al Veneto, all'avanguardia nell'applicazione della "476".
Già nel 1998 erano state presentate, in Sicilia, 588 domande di adozione internazionale e a seguito dell'entrata in vigore della legge, con dato relativo all'anno 2001, sono stati autorizzati ad operare, nell'isola, 15 enti, 7 dei quali con sede legale in Sicilia.
Ai fini, infatti, di una compiuta attuazione della legge sull'adozione internazionale la Regione, ed in particolare l'Assessorato regionale per gli enti locali, ha avviato tutte le procedure previste dalla legge. L'emanazione, innanzitutto, nell'anno 2000 di una direttiva in raccordo con l'Assessorato della sanità, che ha segnato l'inizio di un percorso nuovo, fondato su precise istanze di cooperazione interistituzionale.
Attraverso tale direttiva e la sottoscrizione di un protocollo d'intesa per l'applicazione della "476" da parte dell'Assessorato degli enti locali, dell'Assessorato della sanità, dei tribunali dei minorenni e degli enti autorizzati, in Sicilia si è:
- avviata l'integrazione socio-sanitaria, richiesta espressamente dalla legge sull'adozione, prevedendo la collaborazione tra gli uffici di servizio sociale dei comuni (assistenti sociali) e i consultori (psicologi);
- imposta la costituzione delle "equipes adozioni" (assistenti sociali e psicologi);
- suddiviso il territorio regionale in aree distrettuali, coincidenti con i distretti sanitari;
- individuato meccanismi utili al superamento delle carenze degli uffici di servizio sociale dei comuni, attraverso forme di collaborazione tra enti locali ricompresi nelle stesse aree distrettuali;
- istituito il Coordinamento regionale per l'adozione internazionale con il compito, soprattutto, di fissare tempi e modi dell'integrazione tra servizi ed enti autorizzati. Tale organismo, unico in Italia, ha destato notevole interesse sia da parte della Commissione nazionale per le adozioni internazionali che delle altre Regioni.
E' stato, infine, richiesto un forte impegno ai servizi sociali degli enti locali che, avvalendosi della collaborazione delle aziende sanitarie locali e degli enti autorizzati, nell'accompagnare il percorso adozionale devono:
- fornire informazioni sull'adozione internazionale e sulle relative procedure, sugli enti autorizzati e sulla loro funzione;
- curare la preparazione degli aspiranti all'adozione, aiutandoli a conoscere le loro risorse e le motivazioni profonde della richiesta adottiva, nonché a verificare insieme a loro la reale disponibilità ad affrontare i compiti che intendono assumere;
- acquisire elementi sulla situazione personale familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sulla loro attitudine a farsi carico di un'adozione internazionale, sulle eventuali caratteristiche particolari del o dei minori che sarebbero in grado di accogliere;
- acquisire ogni altro elemento utile affinché il tribunale per i minorenni possa valutare la loro idoneità all'adozione internazionale.
Il compito dei servizi è quindi essenzialmente di aiuto e di chiarimento, mentre la valutazione dell'idoneità spetta al giudice.
Anche dopo l'adozione può essere importante il ruolo dei servizi. Anzi, specialmente nei primi tempi, esso è indispensabile per aiutare i nuovi genitori adottivi e il bambino nell'affrontare e risolvere i diversi problemi che possono presentarsi nella fase di inserimento. Inoltre, la maggior parte dei paesi di origine chiede, almeno per un anno, periodiche relazioni sulle condizioni del bambino e sul suo inserimento nella nuova famiglia.
E' quindi indispensabile che i servizi seguano l'andamento della nuova adozione almeno per tale periodo. I servizi sociali e gli enti autorizzati non sono in concorrenza tra loro: la loro collaborazione è indispensabile, ed è prevista dalla legge.
La Regione Siciliana, attraverso il competente lavoro dei referenti regionali per l'adozione internazionale, ha avviato un processo di reale innovazione. Tutto ciò, però, necessita di un supporto costante anche attraverso percorsi di formazione degli operatori e la costituzione di una banca dati in grado di monitorare, verificare e valutare il fenomeno delle adozioni internazionali nella Regione. Sono stati compiuti, in questa direzione, passi importanti e avviate collaborazioni a livello interistituzionale che hanno fatto della Sicilia un esempio da seguire.
PARTE SECONDA
Cap. 3
L'ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO E LE FINALITA' DEL PIANO, ALLA LUCE DELLA LEGGE N. 328/2000
3.1. Il welfare delle responsabilità
Gli artt. 4, 5 e 6 della legge 8 novembre 2000, n. 328 disegnano il quadro di gestione integrata dei servizi socio-sanitari nel quale, accanto ai soggetti istituzionali, enti locali, regioni e Stato, partecipano, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato, ma anche i nuclei familiari, l'iniziativa delle persone, le forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata, nonché i soggetti che rappresentano i "bisogni dei cittadini", quali le organizzazioni sindacali.
La prima scelta del piano socio-sanitario è dunque quella di porre al centro del nuovo sistema degli interventi e dei servizi sociali regionali le responsabilità diffuse delle comunità locali. Conferire ai cittadini, singoli e associati, l'opportunità di esercitare concretamente i doveri di solidarietà sociale indicati nell'art. 2 della Costituzione.
Questo significa che la Regione intende dare spazio alle donne e agli uomini che vogliono impegnarsi a tutela dei beni comuni, promovendo in ogni ambito territoriale lo spirito di comunità, attivando un processo che sostiene:
- le modalità di coinvolgimento stabile dei soggetti sociali nella organizzazione dei servizi e delle prestazioni, in un rapporto non solo più di affidatario o fornitore del pubblico, ma di partenariato attivo;
- lo sviluppo, in tutto il sistema di organizzazione ed erogazione dei servizi, di modalità di coinvolgimento dei cittadini come utenti e fruitori dei servizi, ma anche di controllo della qualità e della funzionalità;
- le modalità con cui si passa da uno Stato né solo erogatore, né solo esattore ad uno Stato che ha tra i suoi specifici compiti quello di promuovere risorse, capacità imprenditoriali e organizzazioni, diretta espressione della società civile, come soggetti di un welfare comunitario;
- l'assetto complessivo di regole che, in maniera appropriata alle peculiarità del settore, sappiano coniugare l'obiettivo del raggiungimento della qualità con principi di trasparenza, pluralismo di offerta, corretto confronto competitivo;
- l'offerta al mondo della produzione di opportunità per esercitare la propria "cittadinanza di impresa";
- la valorizzazione di tutte le forme di partecipazione previste dal sistema regionale, sviluppando a tutti i livelli una cultura del partenariato con i movimenti e le associazioni dei cittadini e con gli operatori dei servizi.
3.2. La cultura socio-sanitaria
3.2.1. I punti cardine per l'affermazione di una cultura socio-sanitaria
La Regione Siciliana si avvia verso una riforma profonda e duratura del sistema dei servizi socio-sanitari. Per farlo, non dovrà solo mettere in campo grandi capacità operative e gestionali, né basterà disporre di risorse adeguate: serve anche una nuova mentalità. La riforma non sarà incisiva se non si adotta una vision che consideri i cittadini e le famiglie "soggetti" protagonisti della rete degli interventi e dei servizi sociali, non "casi" "oggetto" di prestazioni. Questa nuova cultura permetterà di aprire spazi per l'esercizio della cittadinanza attiva nel campo sociale, attuando un principio di libertà di scelta e di reciprocità.
3.3. Il ruolo delle politiche sociali
La riforma dei servizi sociali e socio-sanitari costituisce una preziosa occasione per rilanciare la centralità delle politiche sociali in tutto il territorio regionale. Per troppo tempo il "sociale" è stato percepito come realtà marginale rispetto ad altri settori dell'amministrazione, più come "spesa" e meno come "investimento". Il piano socio-sanitario sarà quindi lo strumento tramite il quale le politiche sociali si pongono come percorso privilegiato per assicurare condizioni di benessere alle persone, alle famiglie e alla società, e non solo come risposta emergenziale e assistenziale per i casi di maggior disagio. Le istituzioni e la società siciliana, oltre a programmare e realizzare un sistema integrato di servizi e interventi sociali qualitativamente e quantitativamente adeguati, avranno così la possibilità di "leggere" le politiche dello sviluppo locale dal punto di vista del bisogno e della domanda sociale.
In una visione sinergica dell'azione politico-amministrativa, il "sociale" orienta e integra quindi anche le politiche sanitarie, urbanistiche e abitative, della scuola e dei servizi per l'infanzia, della formazione e del lavoro, dell'ambiente, dei trasporti, delle periferie, delle pari opportunità tra uomini e donne. Non basta infatti migliorare i servizi sociali, perché siano più efficaci e funzionino meglio. Bisogna favorire una crescita complessiva del territorio regionale perché sia più accogliente per tutti, più vivibile, più "socialmente compatibile", specialmente per chi fa più fatica ed è in difficoltà.
Mediante il piano socio-sanitario, in uno sforzo corale senza precedenti in questo settore, la Regione e gli enti locali, insieme alle forze vive del territorio, programmeranno e realizzeranno un sistema articolato e flessibile di protezione attiva, fondato su un modello di welfare territoriale comunitario.
Il settore sociosanitario deve integrarsi con il sanitario, valorizzando e completando le proprie caratteristiche specifiche, senza rinunciare ad esse. La sanità interessa particolarmente la salute dell'universo dei cittadini, mentre il sociosanitario comprende i bisogni di gruppi di cittadini svantaggiati, emarginati, esclusi, a rischio, una parte dei quali con particolari problemi anche sanitari (disabili fisici e psichici, tossicodipendenti, anziani, etc.).
L'oggetto del presente piano della Regione non è quindi la sanità in senso stretto, ma la qualità della vita dei cittadini.
In questa ottica, la qualità della vita di tutti i cittadini svantaggiati è una fondamentale dimensione della qualità della vita dell'intera società.
Trasformare tutti i gruppi svantaggiati da soggetti di assistenza in soggetti d'iniziativa che attivamente partecipino alla soluzione o alla gestione dei loro problemi costituirà uno straordinario valore aggiunto alla qualità dello sviluppo in Sicilia.
Tale valore aggiunto diverrà ancora più grande se i gruppi svantaggiati potranno attivamente partecipare, insieme con gli altri cittadini, a tutte le azioni di sviluppo del loro territorio.
3.4. La welfare community
In coerenza con la legge n. 328/2000 e con il piano sociale nazionale, il piano sociale regionale promuove lo sviluppo di un Welfare che può essere definito plurale, perché costruito e sorretto da responsabilità condivise, in una logica di sistema allargato di governo, che valorizzi il federalismo solidale in cui:
- tutti i livelli di Governo, comuni, province, Regione, sulla base degli indirizzi dello Stato e della Unione europea e tenendo conto delle specificità territoriali, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, concorrono a formulare, realizzare e valutare le politiche sociali;
- le organizzazioni sindacali e le associazioni sociali e di tutela degli utenti partecipano a formulare gli obiettivi di benessere sociale e a valutarne il raggiungimento;
- le comunità locali, le famiglie, le persone sono soggetti attivi delle politiche sociali e, in quanto tali, svolgono un ruolo da protagonista nella progettazione e nella realizzazione del sistema;
- l'aggregazione e l'auto-organizzazione degli utenti, delle famiglie, delle persone è fattore di arricchimento della rete dei servizi;
- le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza che operano in campo socio-assistenziale partecipano alla programmazione regionale del sistema;
- le Onlus, la cooperazione, il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e gli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato accordi, concorrono alla programmazione, all'organizzazione e alla gestione del sistema integrato;
- le Onlus, la cooperazione, il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e gli altri soggetti privati provvedono, insieme ai soggetti pubblici, all'offerta e alla gestione dei servizi.
Un ruolo molto importante nella programmazione e nell'attuazione del sistema degli interventi e dei servizi sociali lo esercitano gli enti e gli organismi dipendenti o collegati con la chiesa cattolica e le altre chiese e confessioni religiose, le quali rappresentano importanti bisogni e domande sociali, oltre a contribuire generosamente, spesso in modo determinante, nell'offerta di servizi in beneficio della popolazione più bisognosa.
Anche il mondo della ricerca e della formazione, di cui la Regione è ricca, partecipa in pieno alla programmazione e alla realizzazione della rete di interventi e servizi sociali con il suo patrimonio scientifico e di sapere. Non va dimenticato, infine, la funzione del mondo della finanza e del credito, soggetto fondamentale per realizzare un sistema di interventi e servizi efficiente e sostenibile.
Occorre promuovere un'organizzazione sociale che "si prenda cura" dei suoi membri e pensare a servizi che promuovano la piena cittadinanza di ciascuno, attivando uno scambio intenso e continuo fra reti informali e reti formali, fra le risorse familiari-parentali, quelle della comunità e quelle dei soggetti pubblici. Solo con una forte attenzione agli aspetti relazionali, è possibile contrastare efficacemente i molteplici percorsi che conducono all'esclusione sociale e ridurre le aree del disagio; solo all'interno di una comunità solidale è ipotizzabile nella società attuale la piena cittadinanza per tutti.
L'obiettivo del sistema di welfare locale è la realizzazione di questa comunità solidale. La prima scelta del piano socio-sanitario sarà dunque quella di mettere al centro del nuovo sistema degli interventi e dei servizi sociali siciliani i diritti di cittadinanza e le responsabilità diffuse della comunità locale. La rete dei servizi essenziali, da costruire in ogni ambito territoriale, dovrà affrontare i bisogni del territorio, prevedendo innanzitutto un insieme di interventi volti a comprendere le ragioni del disagio e a promuovere l'ascolto delle persone, per poter consigliare percorsi o anche semplicemente per favorire l'orientamento nel sistema dei servizi.
L'invecchiamento della popolazione, la bassa natalità, unitamente ai segni di un crescente disagio giovanile, impongono un profondo ripensamento delle politiche per la famiglia. Appare prioritario far ruotare una parte considerevole del sistema pubblico-privato dei servizi su uno specifico progetto sociale: sostenere e rendere possibile il lavoro di cura della famiglia, senza che questo abbia a penalizzarla, specialmente nelle sue componenti femminili. Bisogna ridurre solo a casi estremi le pratiche di istituzionalizzazione dei componenti deboli e non autosufficienti del nucleo di convivenza.
I comuni sono chiamati a realizzare tutto questo non da soli, ma attraverso un'azione di "regia" tesa a promuovere le risorse delle collettività locali, coordinare i programmi e le attività degli enti che operano nel territorio, sviluppare collegamenti operativi tra i servizi ed intese con le Aziende sanitarie, adottare strumenti per il controllo di gestione e la valutazione.
3.5. La "Governance": poteri e funzioni dei soggetti sociali
La partecipazione attiva ed ordinata di tutti questi soggetti non è possibile senza nuove forme di esercizio di governo locale da parte degli enti locali. A loro spetta la responsabilità istituzionale di promuovere e coordinare le politiche sociali, assicurando i livelli essenziali delle prestazioni e la qualità dei servizi. Da livelli di governo gerarchicamente ordinati, che muovono da un principio di autorità nella formazione delle decisioni (Governement), si dovrà passare gradualmente ad un sistema di governo in cui le decisioni non sono più prese al centro, ma co-decise da una rete di attori interdipendenti secondo una logica di Governance.
La Governance nei sistemi di welfare significa metodologia negoziale finalizzata ad un processo condiviso di costruzione collettiva delle politiche sociali. In quest'ottica il piano socio-sanitario si configura come uno strumento atto a garantire processi di programmazione condivisa, di individuazione delle priorità di intervento, attraverso la formulazione di obiettivi, risorse, tempi e strumenti in grado di garantire una rete di protezione sociale, condizioni di equità per l'accesso ai servizi e processi di inclusione sociale delle fasce deboli.
La legge di riforma delinea un sistema di "Governance" - indicato come asse di innovazione dell'Unione europea - ovvero la costruzione di un sistema allargato di governo, nel quale accanto alla promozione e alla regolazione pubblica, convive la coprogettazione, un esercizio di responsabilità condivisa, dei soggetti pubblici, privati e sociali, dei soggetti istituzionali e non.
Tale impostazione supera le diverse interpretazioni ideologiche del principio di sussidiarietà, perché assume un modo di pensare che rifiuta livelli gerarchici di competenza separati e propone un sistema reticolare, in cui tutti i livelli di governo concorrono a formulare, a proporre, a realizzare le politiche sociali.
In questa direzione occorre comprendere il sostegno che la riforma prevede per la qualificazione dei soggetti del terzo settore e per la valorizzazione del volontariato.
Ma la legge indica anche un'ulteriore innovazione basata sull'idea che la qualità dei servizi non può compiutamente realizzarsi se i "saperi sociali" non si coniugano con i saperi professionali.
Per realizzare servizi di qualità è infatti previsto il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze professionali in campo sociale.
3.6. I servizi alla persona e il "sistema-territorio"
La prima sfida che il nuovo sistema dei servizi dovrà raccogliere è quella della "territorialità". La preparazione del piano sociale regionale e dei piani di zona offrirà l'occasione per identificare e costruire progressivamente un nuovo equilibrio nella programmazione e nella gestione degli interventi e dei servizi sociali tra il livello centrale e quello decentrato. In questa prospettiva la riorganizzazione dei servizi mette al centro del sistema il territorio-comunità come il luogo che assume il soggetto nella sua dimensione storico-sociale concreta. In tal senso la territorializzazione va intesa come collegamento dei servizi alla comunità locale e come radicamento di azioni volte a sviluppare legami sociali e di reciprocità.
A partire da un'attenta mappatura del territorio per quanto riguarda la domanda sociale e la presenza di servizi e risorse comunitarie, occorrerà prevedere un progressivo riequilibrio nell'organizzazione dei sistemi locali di welfare, allo scopo di garantire pari opportunità a tutti. Ciò naturalmente non va nella logica dell'annullamento delle specificità locali, quanto piuttosto del giusto riconoscimento delle caratteristiche sociali e culturali storicamente sedimentate e della promozione, allo stesso tempo, di un quadro omogeneo di servizi: un disegno volto innanzitutto a valorizzare e mobilitare le specifiche risorse delle comunità locali, e quindi a favorire azioni di tipo associativo e collaborativo fra i diversi soggetti pubblici e privati.
La ricognizione sulle caratteristiche locali potrà mettere in risalto, tramite una migliore conoscenza delle realtà territoriali, anche alcuni squilibri tra i diversi territori. E' necessario perciò sostenere politiche redistributive quando si disegneranno sul territorio le reti di servizi essenziali: è importante infatti garantire omogeneità di trattamento e pari opportunità ai cittadini, indipendentemente dal luogo di residenza.
3.7. Il decentramento socio-sanitario
Nel nuovo contesto istituzionale che discende dall'approvazione della legge quadro, è necessario che la "rete" si costituisca chiaramente intorno agli enti locali. Le comunità locali, intese come sedimentazione storica di relazioni significative all'interno di uno stesso territorio, rappresentano il riferimento primario per la costruzione del sistema territoriale dei servizi socio sanitari. In questa prospettiva la programmazione deve tradursi in un'azione di messa a sistema delle diverse risorse per progettare lo sviluppo sociale locale. Il ruolo del comune (o meglio dei comuni associati, almeno nella maggior parte dei casi) va valorizzato come soggetto fondamentale di progettazione e di regia dei servizi, anche se le diverse dimensioni dei comuni consigliano di differenziare il ventaglio delle modalità organizzative e gestionali.
Il distretto socio-sanitario è indicato dalla legge di riforma quadro come l'ambito territoriale ottimale su cui dimensionare il sistema integrato dei servizi e degli interventi sociali. Si dovrà coniugare perciò la scala di grandezza più coerente con il decentramento dei servizi, per favorire la rispondenza alle esigenze dei cittadini: un sistema di prestazioni vicino alla gente e di buona qualità. Sembra per certi aspetti la "quadratura del cerchio". Questo problema può essere superato solo attivando vecchie e nuove forme di aggregazione, Ciò presuppone il graduale superamento dei tradizionali "campanilismi" fra zone diverse, tra comuni piccoli e città medie e grandi. Si impone l'avvio di un processo che abitui i comuni a lavorare insieme, nella consapevolezza che le risposte ai bisogni dei propri cittadini non possono essere sempre rintracciate all'interno dei confini, talvolta veramente angusti, del proprio paese.
Un importante riferimento per comprendere i cambiamenti in atto è il decreto legislativo n. 229/99, la riforma sanitaria ter. L'aziendalizzazione dell'assistenza sanitaria introdotta dal decreto legislativo n. 502/92 ha in certi casi prodotto risanamento economico delle aziende sanitarie, ma spesso ha comportato ricadute negative per le persone in stato di bisogno, nei casi in cui non sono stati garantiti i livelli essenziali e uniformi di assistenza e nei casi in cui è stata penalizzata l'integrazione socio-sanitaria. Tutto questo è potuto accadere per ragioni molteplici quali l'incapacità programmatoria, l'eccessiva burocratizzazione dei processi, i deficit di managerialità. Spesso il fattore determinante è stato il rimpallo delle responsabilità a fronte di bisogni complessi e gravi che per avere risposte dovevano riferirsi a diversi centri di responsabilità.
Normalmente chi ha più bisogno non ha solo bisogno di risposte sanitarie, ha anche bisogno di assistenza sociale, ha bisogno di orientamento e di accompagnamento, ha bisogno di interventi di diversa natura, non necessariamente riconducibili all'ambito esclusivamente sanitario o esclusivamente sociale.
Ma se chi deve dare le risposte non si confronta, non concorda sulle responsabilità reciproche, non concorda su come esercitarle in modo collaborativo, di fatto concorre a generare una realtà di soggetti istituzionali incapaci di esercitare efficacemente le loro funzioni autonome e complementari, quelle cioè che l'Azienda sanitaria, il comune, la Regione, la provincia, le Ipab devono esercitare in modo integrato e collaborativo per dare risposta a chi ha più bisogno e al cittadino in genere.
A tal proposito una indagine sullo stato di attuazione del servizio sociale delle Aziende sanitarie condotta dall'ordine professionale degli assistenti sociali della Regione Siciliana nell'aprile 2002, ha evidenziato la seguente situazione:
- mancata istituzione del servizio sociale aziendale (Azienda unità sanitaria locale ed in tutte le A.O.) nel 59% dei casi. Solo nel 18% dei casi è stata affidata la responsabilità del servizio;
- esclusione del servizio sociale dalla programmazione e dallo sviluppo delle linee di politica aziendale;
- scarsa attenzione della direzione aziendale alle tematiche socio-sanitarie e mancato riconoscimento del mandato istituzionale.
La riforma ter rispetto a questi problemi dice che:
- quando c'è un bisogno molto intenso che richiede elevata integrazione socio-sanitaria, gli oneri degli interventi gravano totalmente sul fondo sanitario nazionale, evidenziando come in questi casi le aziende sanitarie devono garantire risposte certe, in tempi definiti;
- quando invece l'integrazione richiede un apporto più bilanciato da parte delle aziende sanitarie e dei comuni, i criteri per farlo saranno ricavabili da un atto di indirizzo emanato dal Ministero della sanità d'intesa con il Ministero per gli affari sociali, che insieme indicheranno le tipologie di prestazioni socio-sanitarie e i relativi costi;
- gli enti locali devono tornare ad occuparsi di programmazione sanitaria e socio-sanitaria, a livello regionale, aziendale e soprattutto distrettuale, partecipando all'analisi dei bisogni e alla definizione delle priorità, collaborando alla elaborazione dei programmi delle attività territoriali, verificando il conseguimento dei risultati, investendo per la riduzione delle disuguaglianze nell'accesso ai servizi.
Occorre produrre uno sforzo culturale oltre che organizzativo per rendere uniforme e unitario il governo delle politiche sociali e rendere più semplice la definizione di punti di riferimento certi per tutte le attività di integrazione e concertazione, sia orizzontali che verticali. Questa scelta, fortemente collegata all'indirizzo socio-sanitario, propone alla Regione e agli enti locali la ricerca di deleghe assessorili che accorpino i diversi ambiti dell'intervento socio-sanitario e che possano comprendere, quanto meno, le competenze delle pari opportunità, dell'immigrazione e delle dipendenze.
L'integrazione socio-sanitaria
Il modello che viene proposto dalle più recenti norme statali e regionali prevede che lo Stato, le regioni, le province e i comuni adottino il metodo della programmazione con la partecipazione dei vari possibili soggetti gestori ed esplicitino le proprie scelte sotto forma di documenti da rendere di pubblica conoscenza, con periodiche verifiche sull'efficacia ed efficienza dei servizi attivati. Strumento fondamentale viene considerato l'utilizzo di informazioni sui bisogni da soddisfare e sull'evoluzione della domanda, la ricognizione delle risorse disponibili e l'individuazione delle risorse aggiunte sia della pubblica amministrazione sia del privato sociale e delle imprese.
L'intersettorialità degli interventi può essere ottenuta attraverso una rete che permetta una cooperazione tra un numero maggiore di soggetti, istituzionali e non, coinvolti in un determinato problema, creando delle zone di intervento per la salute intese come ambiti territoriali definiti non in base ai confini amministrativi ma alla distribuzione di un problema di salute rilevante e alla rete di relazioni instaurate tra soggetti pubblici e privati no profit o privati accreditati.
L'integrazione socio-sanitaria assume un ruolo strategico nella programmazione ed organizzazione dei servizi per larghe fasce di popolazione. Implica scelte in ordine ad aspetti istituzionali, all'individuazione di strumenti di programma e gestione dei servizi, alla predisposizione di meccanismi di coordinamento e di percorsi formativi per l'integrazione professionale, all'individuazione di procedure qualificate di accesso ai servizi.
A livello di programmazione regionale, il piano sociale e il piano sanitario dovranno individuare previsioni comuni in ordine alla rete dei servizi e degli interventi socio-sanitari da predisporre sul territorio e ai livelli di assistenza sanitaria e sociale. La Regione intende incentivare la programmazione integrata, favorendo con incentivi, anche finanziari, soprattutto attraverso l'utilizzo dei "Progetti obiettivo" e "Progetti pilota", i distretti che opereranno meglio in questa direzione.
La coincidenza sul territorio del distretto sanitario è indispensabile per integrare le risorse provenienti dal comparto sociale, per garantire una maggiore efficienza del sistema.
Il distretto rappresenta l'ambito territoriale di riferimento per l'accesso ai servizi sanitari, di conseguenza appare indispensabile che anche per i servizi socio-sanitari venga individuato lo stesso ambito di riferimento.
Per facilitare il cittadino nell'accesso ai servizi e garantire un utilizzo coordinato e qualificato della rete dei servizi, occorre istituire sportelli unificati per l'accesso, sintetizzare le procedure, collegare e mettere in rete tutti i punti di accesso del distretto.
In questo ambito rientra la competenza del segretariato sociale, le cui funzioni, in rapporto alle esigenze dei cittadini, sono quelle di:
- avere informazioni complete sulla gamma dei diritti, delle prestazioni e delle modalità di accesso al sistema locale dei servizi socio-sanitari;
- conoscere le risorse sociali disponibili nel territorio in cui i cittadini vivono.
In particolare l'attività di segretariato sociale è finalizzata a garantire: unitarietà di accesso, capacità di ascolto, funzione di orientamento, funzione di filtro, funzione di osservatorio e monitoraggio dei bisogni e delle risorse, funzione di trasparenza e fiducia nei rapporti tra cittadino e servizi, soprattutto nella gestione dei tempi di attesa nell'accesso ai servizi.
La domanda per ottenere le prestazioni sociali agevolate deve essere presentata direttamente all'ente erogatore, anche per il tramite degli istituti di patronato.
La Regione riconosce il ruolo degli istituti di patronato e di assistenza sociale nel sistema integrato di interventi e servizi sociali quali persone giuridiche private che svolgono un servizio di pubblica utilità e ne sostiene l'attività nei campi dell'informazione, dell'assistenza e della tutela; in particolare promuove l'espletamento di funzioni di segretariato sociale previste dall'art. 22, comma 4 lett. A, della legge 8 novembre 2000, n. 328.
Il D.P.C.M. del 14 febbraio 2001 rappresenta il riferimento fondamentale sul piano normativo in merito all'atto di indirizzo e coordinamento dell'integrazione socio-sanitaria.
Per quanto attiene l'ambito sanitario la Regione Siciliana ha legiferato in merito all'istituzione del servizio sociale nelle realtà delle Aziende sanitarie (Azienda unità sanitaria locale e A.O.) con il decreto assessoriale n. 26086 del 14 luglio 1998, Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 57 del 7 novembre 1998, confermando l'istituzione di tali servizi nel P.S.R. 2000/2002, punto 1.2.6. Lo spirito di tale provvedimento normativo è quello di attribuire competenza specifiche al servizio sociale che opera in ambito sanitario al fine di favorire livelli di integrazione socio-sanitari omogenei attraverso l'articolazione di una struttura organizzativa capace di garantire la programmazione, l'organizzazione ed il coordinamento di tutte le attività socio-sanitarie previste dalla normativa vigente. Con tale provvedimento il servizio sociale che opera in ambito sanitario acquisisce un ruolo complementare e non più sussidiario. Ciò trova riscontro nell'attuale normativa nazionale di riferimento: "Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazione socio-sanitarie", D.P.C.M. 14 febbraio 2001, che nel precisare la tipologia delle prestazioni socio-sanitarie individua le aree, le funzioni ed i criteri di finanziamento (vedi allegato p. 74).
L'erogazione delle prestazioni va modulata in riferimento ai criteri dell'appropriatezza, del diverso grado di fragilità sociale e dell'accessibilità.
Risultano determinanti:
- l'organizzazione della rete delle strutture di offerta;
- le modalità di presa in carico anche attraverso una valutazione multidimensionale;
- una omogenea modalità di rilevazione del bisogno e classificazione del grado di non autosufficienza o dipendenza.
L'integrazione degli interventi e dei servizi sociali deve prevedere:
- la rete dei servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria di competenza delle Aziende unità sanitarie locali;
- la rete dei servizi di competenza dei comuni.
Affinché venga realizzata la rete delle unità d'offerta ad elevata integrazione socio-sanitaria di competenza delle Aziende unità sanitarie locali occorre:
- la ridefinizione dell'indice di fabbisogno;
- la liberalizzazione degli incrementi;
- l'introduzione del contratto (per rendere finanziariamente sostenibile la spesa socio-sanitaria sono indispensabili forme contrattuali a livello centrale o decentrato in grado di governare le tariffe in rapporto ai volumi);
- ridefinizione puntuale delle utenze proprie di ciascuna unità (riclassificazione delle "condizioni di fragilità"; ridefinizione dei contenuti delle prestazioni assistenziali; introduzione delle nuove modalità di remunerazione riferite ai tre parametri: fragilità, qualità delle prestazioni, risultato).
La rete dei servizi sociali di competenza dei comuni deve invece prevedere:
- standard gestionali;
- standard strutturali.
3.8. La prevenzione
Troppo spesso gli interventi sociali restano confinati nella sfera assistenziale, senza una reale integrazione con i percorsi di formazione e di politica attiva per il lavoro. Oppure giungono troppo tardi, nella fase della emergenza, perché non si è riusciti a prevenire i rischi di esclusione. E' necessario invece che gli interventi sociali siano innestati nell'ambito di interventi di prevenzione dal rischio di esclusione e di percorsi di inclusione integrati.
La prevenzione, quindi, in tutte le sue forme (primaria, secondaria e terziaria), resta l'asse prioritario su cui innestare l'azione riformatrice del sistema sociale e socio-sanitario. Affinché ciò non si traduca in una generica affermazione di principio, il piano socio-sanitario dovrà indicare ambiti concreti di intervento, progetti sperimentali, criteri e indicatori condivisi, piani di intervento pluriennali delimitati e con risultati realistici e verificabili.
Tutti gli interventi, da qualsiasi punto del sistema essi abbiano a prendere le mosse, dovranno attivare un processo volto a garantire alla persona la massima autonomia possibile: ogni servizio, quindi, ed ogni pratica sociale devono mirare a ridurre il disagio senza attivare circuiti di dipendenza assistenzialistica.
Il recepimento della legge n. 285/97, sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, con la successiva organizzazione del II piano triennale di intervento, ha di fatto anticipato e fatto proprio il principio di prevenzione come metodologia sulla quale costruire la logica degli interventi sul territorio.
Ovviamente non basta l'enunciazione di un principio (neanche quando lo si traduce all'interno di una normativa) per garantire la rinuncia al consolidato ricorso del contrasto all'emergenza, di fronte all'esplosione del disagio sociale e socio-sanitario. La Regione, di concerto con gli enti locali e le forze sociali, istituzionali e non, intende affermare e promuovere la cultura della prevenzione come rimedio metodologico e strutturale al disagio e all'emarginazione e per questo intende rafforzare:
- le politiche di concertazione e di cooperazione democratica;
- gli organismi di coordinamento e di dialogo sociale;
- l'incontro tra domanda e offerta di servizi socio-sanitari;
- un coordinamento operativo permanente tra il sistema socio-assistenziale e quello socio-sanitario a tutti i livelli di governo e di pratica;
- gli strumenti di controllo, monitoraggio e valutazione.
La Regione Siciliana intende sottoscrivere un accordo operativo, in forma di convenzione o di protocollo d'intesa con l'ISTAT e con le università degli studi della Regione per dotare il sistema integrato dei servizi e degli interventi sociali di rapporti e valutazioni sui flussi e sulle dinamiche sociali territoriali in grado di valorizzare e supportare, in termini qualitativi, la capacità di risposta per la prevenzione dei fenomeni degenerativi.
3.9. La concertazione
Nel novembre del 2001 Marco Biagi, illustrando il Libro Bianco davanti alla Commissione delle politiche del lavoro del Cnel, aveva così descritto il ruolo del dialogo sociale e della concertazione: "il dialogo sociale è stato introdotto per iniziativa delle parti sociali a livello comunitario; furono loro, nell'autunno del 1992, a concordare a Bruxelles quello che poi diventò il protocollo sociale di Maastricht, inserito nel Trattato di Amsterdam del 1997. Non è dunque un'invenzione dei governi. . . E' il primato della bilateralità, dell'interlocuzione diretta tra gli attori sociali che devono essere avvertiti dal governo di eventuali iniziative che il governo voglia coltivare in un certo argomento... La concertazione invece è la procedura che prevede, fin dall'inizio, la simultanea negoziazione fra il governo e le parti sociali su alcuni temi, il procedere assieme. . .". La concertazione attiva presuppone l'assunzione di un reciproco impegno a condividere le fasi di un programma attraverso la chiarezza dei termini e la correttezza dei metodi, in un processo che tende alla sintesi delle differenze e delle distanze tra le parti, per esaltare gli obiettivi comuni.
Le priorità di intervento saranno selezionate attraverso un processo di pianificazione negoziata su diversi livelli territoriali. E' utile, in questa prospettiva, incentivare la formazione di tavoli di concertazione che possano concorrere alla programmazione della rete locale e sfociare nei piani di zona. Questi "tavoli" dovrebbero vedere la partecipazione di tutti i soggetti (istituzionali e non) presenti in un determinato territorio, favorire un'attenta lettura della domanda sociale, così come l'allocazione più efficace delle risorse. Una volta stabiliti i termini e i soggetti della collaborazione, occorrerà inoltre identificare efficaci sistemi di valutazione della qualità dei servizi erogati (sempre insieme fra soggetti pubblici e privati, con la partecipazione delle organizzazioni di tutela dei cittadini).
Obiettivo dell'azione pubblica è quello di costruire un nuovo quadro collaborativo in cui enti locali, Azienda sanitaria, organizzazioni sindacali, IPAB, associazioni, volontariato e impresa sociale - operanti su un medesimo territorio e in favore di una stessa popolazione - possano esaltare insieme le proprie specificità e sviluppare un lavoro in rete su obiettivi condivisi e con processi partecipati, anche attraverso il modello dei protocolli di intesa.
3.10. La sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà, inteso in termini non riconducibile ad alcuna interpretazione ideologica, estende la metodologia delle concertazione e della cooperazione, valorizzando i processi di integrazione attraverso la prassi delle responsabilità condivise.
La legge 8 novembre 2000, n. 328 richiama il principio di sussidiarietà all'art. 1, comma 5, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 3, lettere a), d) ed e).
Secondo il principio della "sussidiarietà verticale" o fra le istituzioni, "l'esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini" (art. 4 della Carta europea). Secondo il principio della "sussidiarietà orizzontale", o fra istituzioni pubbliche e società civile (intesa, quest'ultima, come l'insieme di soggetti individuali e collettivi che la compongono e rispetto ai quali l'ordinamento giuridico esprime una valutazione positiva di valore) le istituzioni pubbliche devono soddisfare i bisogni di interventi e di servizi sociali solo allorquando gli interessati stessi, ovvero altre componenti della comunità locali, non sono in grado di provvedere adeguatamente.
La sussidiarietà "orizzontale" non deve però essere intesa quale semplice supplenza delle istituzioni pubbliche alle carenze della società civile, ma quale strumento di promozione, coordinamento e sostegno che permette alle formazioni sociali (famiglie, associazioni, volontariato, organizzazioni no-profit in genere, aziende, ecc.) di esprimere al meglio, e con la piena garanzia di libertà di iniziativa, le diverse e specifiche potenzialità.
In un quadro solidaristico che preservi le fondamentali funzioni dello Stato e della Regione, le istituzioni continueranno a svolgere il ruolo fondamentale di garanzia della risposta sociale in termini di qualità e accessibilità dei servizi e di tutela dei diritti di cittadinanza. La corretta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale rafforza il ruolo delle istituzioni pubbliche mediante il sostegno costante alle risorse della società civile e la sorveglianza sul sistema complessivo dell'offerta, garantendo imparzialità e completezza della rete degli interventi e dei servizi presenti nel territorio.
3.11. L'integrazione
Prima della legge n. 328/2000 e del decreto legislativo n. 229/99, la definizione delle condizioni per l'integrazione era stata affrontata dalle legislazioni regionali, attraverso:
- l'inserimento nelle proprie norme di soluzioni per la programmazione integrata dei servizi (ad esempio i piani di zona dei servizi socio-sanitari);
- la previsione di formule incentivanti, soprattutto di natura economica, per gli enti locali e le aziende sanitarie che avessero optato per la gestione integrata dei servizi, tramite delega gestionale o accordo di programma;
- la sollecitazione dei servizi, con progetti obiettivo e azioni finalizzate, a passare dalle prestazioni settoriali alla realizzazione di sistemi integrati di risposta per le persone e le famiglie, sviluppando capacità di gestire percorsi assistenziali complessi.
Pertanto, analogamente a quanto sviluppato nel contesto del decreto legisaltivo n. 229/99 "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale", che riprende i principi ispiratori della legge n. 833/78, il percorso di integrazione socio-sanitaria sostenuto dall'impianto della legge n. 328/2000 deve fare propri alcuni valori inalienabili:
- l'universalità di accesso ai servizi;
- l'abbattimento delle disuguaglianze nei confronti del bisogno;
- la trasformazione regionalistica e federale dello Stato.
Cap. 4.
LE LINEE DI SVILUPPO DELL'AZIONE DI GOVERNO: GLI OBIETTIVI REGIONALI
4.1. La persona al centro del sistema degli interventi e dei servizi
Il presente documento trova nel programma dell'attuale Governo regionale un significativo punto di riferimento per ciò che si può fare nella nostra Regione, rafforzato anche dalla maggiore stabilità assicurata dalla pratica dell'elezione diretta del Presidente, che favorisce una maggiore attenzione e propensione agli investimenti programmatici più ampi e complessi, quali sono gli interventi di sistema.
In esso è possibile cogliere molte delle linee strategiche presenti in questo documento ed esso è, pertanto, un riferimento ben preciso da tenere in conto, soprattutto nella definizione della fase legislativa che seguirà la sua approvazione, da parte della Giunta di governo.
Nel programma di governo si afferma che "la nostra Regione può vantare un significativo intervento nel campo dell'assistenza alla persona e alla famiglia".
L'ingente investimento non sempre ha prodotto i risultati sperati, non solo per le complessità e le lungaggini burocratiche, ma anche e soprattutto per un vizio di impostazione che non ha visto nella persona, nell'anziano, nel soggetto a rischio, nella famiglia il soggetto dell'intervento ma l'oggetto di misure, decise spesso a tavolino e quasi mai con il confronto e il riscontro del privato sociale.
Riportare la persona al centro degli interventi e dei servizi sociali significa ribaltare la logica dell'intervento stesso, partire da essa piuttosto che ad essa giungere, promuovere le associazioni che le organizzano e le rappresentano, rendendole compartecipi delle decisioni e non solo soggetti richiedenti interventi economici.
I servizi alla persona costituiscono un'autentica prova del fuoco per il rapporto tra l'amministrazione pubblica ed i cittadini: in questo campo la Regione ha un'enorme responsabilità.
Si tratta, in primo luogo, di ricostruire un approccio politico e programmatico che ponga al centro la persona, riconosciuta sia come singola che nella sua dimensione sociale.
Con l'entrata in vigore della legge n. 328/2000 il ruolo delle regioni tende a mutare: da protagonisti nella definizione di un proprio sistema socio-assistenziale, a compartecipi con Stato e comuni nella realizzazione di un unico modello nazionale.
La piena attuazione della legge n. 328/2000, nel quadro di una più ampia ridefinizione del sistema dei servizi socio-sanitari della Regione, nel corso del triennio di avviamento, introduce la necessità, già evidenziata nel programma di Governo, di giungere in tempi rapidi ad un intervento legislativo per alcuni aspetti qualificanti del progetto di riforma sociale.
Tali provvedimenti, nella forma di leggi regionali, riguarderanno:
1) legge sulla famiglia;
2) legge sull'immigrazione;
3) legge sul non profit;
4) legge di riordino delle IPAB;
5) legge di riordino dell'assistenza socio-sanitaria.
Tutti gli interventi legislativi settoriali, necessari alla definizione di un processo sistematico di valorizzazione e di tutela dei diritti dei cittadini, verranno ricondotti, alla fine del programma triennale e nel pieno coordinamento delle attività e delle azioni di governo, ad un'unica legge quadro di riordino dei servizi socio-sanitari.
4.2. La famiglia al centro della comunità sociale
La famiglia non è soltanto destinataria di servizi, ma è anche "risorsa" , non in quanto surrogato delle istituzioni, piuttosto come soggetto attivo di politiche sociali. Occorre, pertanto, migliorare e promuovere la capacità delle famiglie di agire su scala locale, insieme agli altri soggetti presenti nella comunità.
Il programma di Governo dedica ampio spazio alle politiche familiari e agli impegno che il Governo dovrà assumere in materia. In esso si afferma, fra l'altro, che quando parliamo di politiche di sostegno della famiglia non intendiamo riferirci ad un fatto privato che riguarda il legame fra alcune persone, ma essa va intesa come "bene pubblico", in quanto società primaria e naturale fondata sul matrimonio su cui si regge l'intera società. Non è possibile, cioè, parlare di società se non si parte dalla famiglia. La società è una società di famiglie, o di persone in famiglia. La socialità umana non si esaurisce nello Stato, ma emanando dalla natura comunitaria della persona, si esprime prima di tutto nella famiglia, la quale, quindi deve vedere riconosciuta la sua autonomia. La famiglia svolge innanzi tutto un compito di educazione, di socializzazione e di formazione.
Si tratta di funzioni spesso invocate, quando incresciosi fatti di cronaca nera ne evidenziano la carenza, ma mai quando si tratta di riconoscerle dando rilievo civile al quotidiano lavoro che si svolge nel chiuso delle mura domestiche.
Anche a causa dei gravi problemi occupazionali, la famiglia è la prima "agenzia" che assiste i nostri giovani nella ricerca del lavoro e contribuisce a fare esperienze integrative utili alla formazione.
La famiglia è, inoltre, la prima protagonista di quell'economia informale su cui si regge gran parte del nostro sistema economico.
Essa orienta ai consumi e ai risparmi, sta alla base di molte forme di lavoro autonomo (artigianato, commercio, ecc.), è dispensatrice di molte delle figure contrattuali della new economy. Ancora, è sempre la famiglia in prima linea nei settori dell'assistenza agli anziani, ai disabili e alle persone svantaggiate, ai minori in difficoltà.
Qualunque tipo di politica familiare deve, dunque, partire da alcuni presupposti fermi e chiari:
- esistono diritti della famiglia e non solo delle singole persone che la compongono. La famiglia, infatti, è qualcosa di più della somma dei suoi componenti, è un organismo con propri diritti e propri doveri e un proprio spazio di sovranità intangibile dallo Stato;
- le politiche familiari non devono essere commisurate alle categorie di singoli componenti (casalinghe, giovani, anziani, ecc.) ma bisogna assumere la famiglia in quanto tale, come oggetto di una politica globale;
- la famiglia ha diritto ad un suo "spazio vitale", deve essere attiva e propositiva nelle sue richieste.
Va, quindi, pensata una politica per la famiglia, ma soprattutto con la famiglia, favorendo e sviluppando l'Associazionismo familiare, come soggetto politico interlocutorio per le politiche familiari.
Inoltre è importante considerare la famiglia come agente naturale di relazioni e di bisogni integrati. Tutti i nuclei familiari, infatti, dal più piccolo al più numeroso, si sviluppano attorno ad un sistema di relazioni, spesso di tipo solidale, interne ma anche esterne al "gruppo". Esiste poi un'altra componente integrativa che interessa le famiglie: quella rappresentata dall'universo di bisogni e di corrispondenze, fondamentalmente di carattere sociale ma che investono diversi ambiti d'intervento. Pertanto promuovere e valorizzare la famiglia vuol dire anche pensare una politica della casa, della scuola, della sanità, del territorio e pensarla a "misura di famiglia".
4.3. Piano sociale nazionale
Con D.P.R. 3 maggio 2001 è stato approvato il piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 agosto 2001, n.181, supplemento ordinario, a norma dell'art. 18, comma 2 della legge 8 novembre 2000, n. 328.
Il piano nazionale ha la funzione principale di orientare e mobilitare i diversi soggetti affinché ciascuno "faccia la propria parte" e affinché nel loro insieme si integrino, attivando una rete progettuale (prima) e gestionale (poi).
Il primo piano nazionale sociale individua i seguenti obiettivi prioritari:
1) valorizzare e sostenere le responsabilità familiari;
2) rafforzare i diritti dei minori;
3) potenziare gli interventi a contrasto della povertà;
4) sostenere con servizi domiciliari le persone non autosufficienti (in particolare le persone anziane e le disabilità gravi).
Vengono sottolineati, inoltre, una serie di interventi che meritano specifico rilievo:
1) l'inserimento degli immigrati;
2) la prevenzione delle droghe;
3) l'attenzione agli adolescenti.
E' ovvio che questi obiettivi non possono esaurire i bisogni di benessere sociale della popolazione. Altri bisogni, pertanto, potranno esprimere le esigenze di intervento in ambito territoriale ed essere inseriti dagli enti locali e dalle regioni ad integrazione dei piani regionali e di zona.
Le regioni adottano i piani regionali ai sensi dell'art. 18, comma 6 della legge n. 328/2000 e secondo le modalità previste nell'art. 3 della legge n. 328/2000.
4.4. Il piano sociale regionale
1. La Regione approva il piano sociale regionale degli interventi e dei servizi alla persona e alla famiglia.
2. Il piano sociale regionale degli interventi e dei servizi alla persona e alla famiglia ha durata triennale e viene definito, nell'ambito delle risorse disponibili, attraverso programmi di concertazione tra l'Assessorato regionale degli enti locali e le associazioni regionali di rappresentanza dei comuni, delle province, l'Assessorato regionale della sanità, i soggetti del terzo settore, le organizzazioni sindacali nonché attraverso la collaborazione dei soggetti di cui all'art. 1, comma 6 della legge n. 328/2000.
3. Il piano sociale regionale definisce le linee di indirizzo per le politiche socio-sanitarie.
4. Il piano sociale regionale indica le aree e le azioni prioritarie d'intervento, i criteri di verifica, di monitoraggio e di valutazione e di definizione dei bisogni al fine di assicurare la qualità e la realizzabilità degli obiettivi indicati, nonché la costruzione di una rete integrata di interventi socio-sanitari.
5. Il piano sociale della Regione Siciliana, al termine del primo triennio di applicazione, di una fase, cioè, definita "sperimentale" per la necessità di condividere, secondo le regole della cooperazione e della concertazione, le esperienze e le analisi e di predisporre gli strumenti di verifica e di valutazione dei risultati e degli obiettivi raggiunti, nel completare il quadro delle politiche e dei servizi socio-sanitari regionali, prenderà il nome di piano socio-sanitario della Regione Siciliana.
Memorandum
Piano sociale regionale: il documento programmatico triennale che definisce le politiche sociali della Regione Siciliana. Contiene le linee di indirizzo per le politiche sociali e tiene conto delle valutazioni emerse dall'analisi dei piani di zona.
Piano socio-sanitario: è il piano sociale regionale al termine della sua fase di completamento e definizione, dopo il primo triennio di "sperimentazione operativa".
Linee di indirizzo per le politiche sociali: sono parte integrante del piano socio-sanitario. Si tratta di un dispositivo-quadro che regola l'impatto sociale delle diverse politiche di sviluppo locale, in un'ottica unitaria.
Piano di zona distrettuale: è lo strumento di programmazione triennale del sistema integrato degli interventi e dei servizi socio-sanitari a livello di singolo distretto, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 328/2000.
Accordo di programma: costituisce l'atto formale, ai sensi della legge n. 142/90 e successive modificazioni, mediante il quale i comuni, d'intesa con le Aziende unità sanitarie locali, adottano il piano di zona distrettuale. All'accordo di programma partecipano le organizzazioni del privato sociale e le IPAB che, attraverso l'accreditamento o altre forme di concertazione concorrono, anche con proprie risorse, alla realizzazione degli interventi e dei servizi sociali previsti nei piani.
4.5. La Regione
La Regione, attraverso la definizione del piano sociale regionale, provvede al compito di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali, nonché di verifica dell'attuazione del sistema integrato nell'ambito territoriale di riferimento. Le funzioni sono specificate all'art. 8, comma 3, della legge n. 328/2000, che definisce le competenze nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo n.112 del 1998.
In particolare definisce gli ambiti territoriali di cui alla lettera a) dello stesso art. 8 e disciplina le politiche per la salute e quindi le modalità di integrazione tra i due sistemi individuando in entrambe le pianificazioni il duplice ruolo (sociale e socio-sanitario) degli organismi rappresentativi dei comuni.
La Regione è chiamata a:
- finire gli ambiti territoriali di riferimento;
- programmare, coordinare e individuare le linee di indirizzo degli interventi socio-sanitari e dei piani di zona;
- predisporre strumenti per la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza e per la verifica dei risultati raggiunti in ambito di enti locali e di aziende sanitarie;
- promuovere la sperimentazione di modelli innovativi di servizi per coordinare le risorse umane e finanziarie;
- fissare gli standard per l'autorizzazione e l'accreditamento;
- individuare i criteri per la definizione delle tariffe e per il concorso degli utenti al costo dei servizi;
- provvedere al riparto dei trasferimenti statali per ambiti distrettuali;
- ripartire il Fondo regionale per le politiche sociali;
- indicare le scelte prioritarie sulla base dei bisogni che la comunità esprime;
- predisporre i piani per la formazione e l'aggiornamento del personale che opera nei servizi sociali;
- promuovere e coordinare l'assistenza tecnica necessaria agli enti locali per l'avviamento del sistema integrato dei servizi socio-sanitari;
- stabilire, in relazione alla propria competenza, i livelli essenziali dei servizi;
- promuovere lo sviluppo dei servizi e la realizzazione di interventi innovativi di interesse regionale, attraverso progetti pilota e obiettivo;
- definire i requisiti di qualità dei servizi offerti e delle prestazioni erogate;
- istituire e coordinare il sistema informativo dei servizi sociali;
- realizzare e coordinare iniziative a livello europeo ed internazionale per la valorizzazione dei servizi sociali;
- surrogare il ruolo dei comuni in caso di inadempienza manifesta.
4.6. I Comuni
Il ruolo delle amministrazioni locali, in particolare di quelle comunali, nel campo dei servizi socio-sanitari, è soggetto a processi di profonda trasformazione, alcuni dei quali risultano già compiuti, altri invece sono ancora in via di definizione.
Tra le recenti riforme, va in primo luogo annoverato il processo di ulteriore conferimento di funzioni amministrative dallo stato alle regioni e agli enti locali, previsto dalla legge di delega n. 57 del 1997 e in buona misura realizzato dal decreto legislativo n.112 del 1998, nonché dalle relative leggi regionali di attuazione. Sull'onda del decentramento amministrativo, per quanto ancora non completo, soprattutto nella fase di verifica applicativa, gli enti locali, a partire dal comune, divengono così, in forza del principio di sussidiarietà, i naturali destinatari di tutte le funzioni non attribuibili a superiori livelli di governo.
Nelle materie non ricomprese tra le regionali in base all'elenco dell'art. 117 della Costituzione e non riservate allo stato dell'art. 1, comma 3 della legge n. 59/97, i conferimenti di funzione hanno un carattere assai più innovativo e il portato delle recenti devoluzioni assume un peso maggiore nel definire nuovi ruoli e nuovi equilibri istituzionali in campi finora in larga misura mantenuti alla competenza statale.
Le norme del decreto legislativo n. 112/98 relative ai servizi sociali (artt. 128-134), pur presentando elementi innovativi sia per quanto concerne la stessa definizione della materia nonché il riparto delle competenze, non possono pertanto che confermare la scelta di fondo operata dal d.p.r. n. 616 del 1977, che aveva affermato la competenza generale del comune nella materia allora definita della "beneficenza pubblica" (v. artt. 22, 23 e 25). Anzi, le norme del decreto legislativo n. 112/98, diversamente da quanto avviene nelle altre materie considerate regionali in base all'art. 117 cost., per le quali la legge n. 59 e il decreto legislativo n. 112 riconoscono un ruolo attuativo delle regioni nella ripartizione delle funzioni conferite, si spingono a individuare espressamente la competenza comunale, a conferma e ulteriore sviluppo di quanto già consolidato con il trasferimento del 1977.
Si evolve, con prospettive sempre più ampie e complesse, il rapporto tra ente locale e privato, confermando un ulteriore livello di pratica sussidiaria che favorisce il passaggio da una cultura dell'assistenza verso un sistema integrato di servizi. Non scompaiono ovviamente i servizi da garantire comunque e per livelli essenziali, ma si afferma una prevalente modulabilità degli interventi in relazione al sostrato comunitario che contraddistingue ciascuna realtà territoriale.
Così il comune si trova al centro del processo di identificazione delle necessità e dei bisogni, nonché delle risposte possibili ma, allo stesso tempo, cede una porzione dell'esercizio diretto delle proprie funzioni a favore dei soggetti privati che operano nella comunità locale. L'operatore privato è chiamato ad instaurare con l'ente locale un nuovo rapporto, non limitato ai profili meramente gestionali e remunerativi delle attività rese, ma esteso a momenti di partecipazione alla programmazione e alla valutazione del complesso degli interventi sociali. Questo indirizzo trova ulteriore conferma nella legge n. 265 del 1999 di riforma della legge 142 del 1990, laddove si afferma che "i comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dall'autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali".
L'unità Amministrativa e territoriale primaria è, pertanto, il comune il quale è, da solo, insufficiente quando trattasi di piccoli centri, o troppo grande, quando trattasi di città metropolitane come Palermo, Catania e Messina.
Pertanto l'attuale distretto sanitario che associa più comuni di piccole e medie dimensioni e articola le grandi città, può costituire la dimensione ottimale nella quale possono realizzarsi le migliori economie di scala in termini di infrastrutture, tecnologie, competenze specialistiche, saperi e saper fare di cui dispongono le istituzioni, i soggetti della società civile e i singoli cittadini di buona volontà.
Attraverso il distretto si supera l'approccio localistico dei piccoli comuni e si rendono più agevoli le soluzioni ai problemi dei vari gruppi svantaggiati.
I comuni sono titolari della generalità delle funzioni e dei compiti relativi alla programmazione, organizzazione ed erogazione dei servizi socio-sanitari e, in particolare, di quelli relativi alle materie indicate alle lettere a), b), c), d), e), f), g), comma primo dell'art. 132 del decreto legislativo n. 112/98, nonché di quelle previste dall'art. 6 della legge n. 328/2000 e delle attività socio-sanitarie di cui all'art. 3 septies, comma 2, lettera b) del decreto legislativo n. 502/92.
I comuni svolgono queste funzioni in forma associata, in ambiti territoriali coincidenti, di norma, con i distretti sanitari.
I comuni associati negli ambiti territoriali definiscono il piano di zona secondo quanto previsto dall'art. 19 della legge n. 328/2000. La conferenza dei sindaci individua, con riferimento al piano di zona, le modalità di attuazione della rete dei servizi socio-sanitari, tenendo conto delle priorità territoriali in merito alla domanda dei bisogni e all'offerta dei servizi.
4.7. Le province
La provincia ha un ruolo centrale e dinamico nella organizzazione di un moderno sistema dei servizi socio-sanitari:
- è il terminale territoriale della Regione nella esplicazione dei compiti di controllo, di monitoraggio e di promozione del territorio;
- rappresenta, nella dimensione locale, l'ente sovra-comunale in grado di trasferire il processo di integrazione oltre i confini del distretto socio-sanitario.
Pertanto, sono compiti peculiari della provincia:
1) partecipare alla rilevazione e all'analisi dei bisogni, delle risorse e dell'offerta dei servizi nel territorio;
2) contribuire all'individuazione e alla realizzazione di percorsi di formazione e di aggiornamento professionale;
3) sostenere i programmi di reintegrazione sociale e lavorativa dei soggetti fragili.
4.8. La cittadinanza attiva
La Regione promuove, quale punto qualificante del percorso "verso il piano socio-sanitario", ogni azione volta a garantire i diritti del cittadino, soprattutto delle categorie di soggetti che presentano evidenti difficoltà ad accedere a livelli di dignità e di qualità della vita. Allargare gli spazi di inclusione sociale significa aumentare il numero dei titolari di diritti corrisposti e, quindi, la diffusione del benessere nella Regione. Più è rappresentata la cittadinanza attiva, maggiori sono le possibilità di sviluppo sociale ed economico della comunità, perché si rafforza la "Regione attiva".
Il piano socio-sanitario vuole contribuire a consentire a ciascun abitante della Regione Siciliana di veder rispettati i propri diritti, trasferendo gli interventi sociali nell'area dei diritti esigibili.
Questo significa promuovere il rispetto dei diritti umani, assumendo l'impegno di garantire i diritti inviolabili di ciascun essere umano, con particolare riguardo ai più deboli e indifesi.
Occorre, inoltre, rimuovere gli ostacoli che impediscono l'eguaglianza di opportunità per tutti coloro che vivono nella Regione.
Il P.R.S. dovrà semplificare le procedure di accesso e di fruizione dei servizi, superando le trafile burocratiche ed evitando la sovrapposizione di un numero infinito di norme e regolamenti.
Nei casi in cui l'intervento sociale provenga dalla comunità, esso è integrabile ai servizi sociali forniti dall'ente pubblico, soddisfacendo direttamente il bisogno. In un quadro solidaristico che preservi le fondamentali funzioni dello stato, la corretta applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale deve conservare e rafforzare il ruolo delle istituzioni pubbliche in due direzioni:
1) sostegno costante alle risorse della società civile e ai legami solidaristici;
2) sorveglianza sul sistema di offerta complessivo; garanzia di imparzialità e completezza della rete degli interventi e dei servizi presenti nel territorio; trasparenza nelle procedure di erogazione (vedere carta dei servizi).
4.9. Gli enti terzi (A.S.L. e Aziende ospedaliere, università, scuole, tribunali dei minori)
Allo scopo di garantire l'integrazione socio-sanitaria e la gestione unitaria dei servizi, le Azienda unità sanitaria locale assicurano le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria di cui all'art. 3 septies, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 502/92, secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 4, nonché le prestazioni socio-sanitarie di cui al comma 2 lettera a) e commi 4 e 5 dell'art. 3 septies del medesimo decreto legislativo.
Più in generale lo scopo del piano socio-sanitario è quello di definire gli ambiti e le modalità di un sistema di partecipazione attiva e competente aperto a tutti i soggetti sociali, assicurandone la cooperazione anche a livello di comuni e distretti territoriali.
La Regione promuove la sottoscrizione di convenzioni, protocolli d'intesa e altre tipologie di accordo, previste dalla normativa vigente, al fine di favorire la libera estensione dei diritti di cittadinanza.
4.10. Le IPAB.
Il riordino delle II.PP.A.B. viene disciplinato dal decreto legislativo n. 207/2001, in considerazione dell'art. 10 della legge n. 328/2000.
In virtù di questo le II.PP.A.B.:
1) si inseriscono nell'ambito delle attività e servizi sociali riportati dall'art. 22 della legge n. 328/2000, nel rispetto delle finalità istituzionali;
2) partecipano alla programmazione regionale dei servizi sociali e socio-sanitari e si pongono in posizione centrale nella pianificazione dei servizi;
3) gli enti equiparati che non abbiano scopi di assistenza e di aiuto sociale (ospizi, eremi, confraternite e consimili) si trasformano in enti con personalità giuridica privata.
Le II.PP.A.B. che svolgono attività di erogazione di servizi assistenziali si trasformano in: "Aziende di servizi alla persona", con personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia statutaria, gestionale e patrimoniale oltre che contabile secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità.
E' possibile la fusione con altre istituzioni, mediante la costituzione di una nuova azienda o mediante incorporazione, o la creazione di consorzi per i fini e secondo le norme di cui alle sezioni I e II, capo II, titolo X, libro V del codice civile, ovvero lo scioglimento con destinazione del patrimonio ad altre istituzioni o ai comuni territorialmente competenti.
Le II.PP.A.B. che non possiedono i requisiti per la trasformazione in aziende di servizi alla persona provvedono alla loro modifica, nel rispetto dei principi statutari, in persone giuridiche di diritto privato nella tipologia di fondazioni o associazioni soggette alla disciplina del codice civile nel termine di due anni.
La Regione intende costituire, entro 60 giorni dall'approvazione di questo piano di indirizzo generale, un coordinamento tecnico di cui faranno parte:
1) rappresentanti dell'Assessorato degli enti locali;
2) rappresentanti delle II.PP.A.B. o di loro enti qualificati di rappresentanza territoriale;
3) rappresentanti dell'ANCI e ANCI Federsanità;
4) rappresentanti dell'URPS;
5) rappresentanti delle organizzazioni sindacali.
Compito di questo coordinamento sarà quello di definire, entro 120 giorni dalla sua costituzione:
1) le modalità e i criteri uniformi per il censimento, la rilevazione e la riqualificazione delle II.PP.A.B. regionali e dei loro patrimoni;
2) un progetto di disciplina delle procedure di trasformazione, fusione, realizzazione di consorzi ed estinzione delle istituzioni e delle aziende;
4.11. Le scelte strategiche dei D.P.E.F. regionali
Gli indirizzi programmatori espressi nel programma di governo, hanno trovato nel documento programmatico di politica economica approvato alla fine del 2001 dalla Giunta di governo una prima fase attuativa, soprattutto in termini di scelte strategiche da perseguire e alle quali far seguire la conseguente fase legislativa.
In particolare e in concreto si è individuato nel bonus lo strumento con cui avviare una prima fase di inversione della politica socio-assistenziale del Governo.
Esso va inteso come uno strumento economico di anticipazione e di spesa offerto al cittadino che può utilizzarlo nelle strutture pubbliche o private, ove ritiene di trovare migliori servizi.
Più in generale il Governo ritiene in tal modo di poter conseguire una maggiore efficienza dei servizi e un risparmio dei costi, anche attraverso un coinvolgimento del privato sociale e l'attuazione di standard più efficaci.
In particolare il D.P.E.F. del novembre 2001 ha individuato:
- il buono socio-sanitario, come intervento sperimentale che affida ai cittadini la libertà di scelta fra servizio pubblico e servizio privato, cogliendo così l'obiettivo di razionalizzare la spesa senza abbassare la qualità dei servizi;
- i soggetti strategici di intervento attraverso cui intervenire in settori nuovi dell'assistenza, quali sono quelli delle nuove povertà o degli immigrati.
L'iniziativa del Governo è continuata con il D.P.E.F. approvato dalla giunta il 26 luglio 2002. In questo modo si inizia a rendere operativo il principio della integrazione socio-sanitaria e si fanno proprie le indicazioni in materia di politica della spesa, che sono anticipate nel presente documento, facendo in modo che l'azione di Governo tenda a coinvolgere con sempre più maggiore regolarità e articolazione gli assessorati competenti (enti locali e sanità).
4.12. Le scelte anticipatrici della legge finanziaria del 2002
Il Governo ha proseguito nella graduale attuazione del suo programma compiendo alcune altre scelte anticipatrici di quanto previsto nel presente documento, volte a indicare alcuni settori strategici di intervento su cui svolgere scelte decisive e concrete.
In particolare la legge regionale n. 2 del 2002 ha stabilito, attraverso alcune norme, i binari prioritari entro cui deve muoversi l'iniziativa legislativa e amministrativa nel prossimo futuro.
Tali norme sono quelle riferibile ai seguenti articoli:
Art. 97 - Contributo fondazione Banco alimentare per la lotta alle carenze alimentari.
Art. 115 - Comodato d'uso di immobili regionali per gli enti non profit che perseguano finalità di natura educativa assistenziale.
Art. 121 - Contributo associazione Centro studi don Calabria per interventi sperimentali rivolti agli adolescenti devianti.
Art. 124 - Contributo all'associazione italiana sclerosi multipla.
Art. 126 - Donazione beni aziende sanitarie alle Caritas diocesane e all'associazione Emergency.
Si tratta in alcuni casi di interventi volti a sostenere attività di rete per il sostegno di problemi di emergenze sociali, affrontate nella logica dell'integrazione e della prevenzione (es. Il supporto al Banco alimentare per il contrasto della povertà), oppure a iniziative paradigmatiche per affrontare problemi più consolidati (es. Il sostegno all'Opera don Calabria per le devianze adolescenziali o all'associazione italiana per la sclerosi multipla), oppure ancora per offrire strutture ad attività in altri settori (es. la donazione alle Caritas e ad Emergency di strutture dismesse). Tali finanziamenti vogliono indicare le priorità che il Governo intende affrontare fra le tante emergenze sociali presenti in Sicilia: povertà, sostegno alle associazioni, devianza giovanile, malattie endemiche.
4.13. La fase sperimentale di avviamento: linee strategiche
La Regione Siciliana intende procedere verso la definizione del sistema integrato dei servizi e delle politiche sociali attraverso una fase di avviamento ad obiettivi intermedi, legata alla gestione triennale del piano sociale regionale dei servizi socio-sanitari. Attraverso questa fase propedeutica, di analisi, di verifica, comunque fortemente operativa, una sorta di "work in progress", partecipato da tutti gli organismi sociali, pubblici e privati, così come dai soggetti di cittadinanza attiva, sostenuta attraverso l'immediata disponibilità dei finanziamenti relativi al riparto dei fondi 2001 e 2002 della legge n. 328/2000, la Regione potrà verificare gli stati di avanzamento del processo di gestione organizzata del sistema ed effettuare le dovute correzioni in itinere.
In particolare la Regione dovrà:
- definire gli obiettivi strategici:
1) linee guida di indirizzo;
2) riparto fondi 2001 e 2002;
3) piano sociale regionale 2001-2003;
4) piano socio-sanitario della Regione Siciliana;
- promuovere gli indirizzi innovativi:
1) l'affermazione della cultura socio-sanitaria;
2) la pratica dell'integrazione come metodo operativo;
3) la centralità della persona e della famiglia;
4) la prevenzione come premessa e non come conseguenza;
5) la partecipazione alla spesa per i servizi socio-sanitari, secondo le possibilità economiche dei soggetti fruitori;
6) la definizione delle politiche sociali come occasione di sviluppo;
7) la qualità sociale come buona prassi da consolidare e trasferire;
8) la concertazione come valore aggiunto delle dinamiche di partecipazione;
9) l'occasione per ridisegnare le strategie della comunicazione sociale;
10) il sostegno alla centralità del territorio (comune, distretto) anche in merito alla validazione delle scelte di indirizzo, oltre che per la programmazione e la progettazione dei piani e degli interventi.
4.14. La descrizione temporale del processo di avviamento
4.15. Gli strumenti di governo e di gestione
4.15.1. Conferenza di servizi, Conferenza dei sindaci, Comitato distrettuale
I soggetti istituzionali richiamati dall'art. 2 della legge regionale n. 23/98 (Conferenza di servizi), così come i soggetti previsti dalla disciplina degli accordi di programma, secondo l'art. 27 della legge n. 142/90, come introdotto con l'art. 1 della legge regionale n. 48/91 e successive modifiche per il rinvio formale contenuto nell'art. 47, comma 2 della legge regionale n. 26/93, e quelli riguardanti la Conferenza dei sindaci, mantengono la loro attualità anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 328/2000. In particolare, per favorire l'attuazione dell'integrazione socio-sanitaria, la programmazione regionale, anche a livello di ambito distrettuale, richiama le corrispondenti disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 229/99 e dal piano sanitario regionale.
La Conferenza dei sindaci assume, con la pianificazione socio-sanitaria la funzione di soggetto politico territoriale per le scelte di politica sociale e della salute e si articola nelle Conferenze di zona che, data la loro coincidenza geografica con i distretti sanitari, finiscono con l'esercitare le funzioni di comitato dei sindaci del distretto socio-sanitario. Il comitato dei sindaci del distretto diventa l'organismo di governo in grado di sintetizzare le funzioni programmatorie per l'intervento sociale e socio-sanitario, attraverso la redazione dei piani di zona, facilitando l'integrazione fra intenti e indirizzi, sia per le azioni di piano che per gli aspetti finanziari.
Per una maggiore comprensione degli ambiti di intervento e delle competenze del servizio sociale delle Aziende sanitarie e del distretto sanitario, si rimanda al decreto 14 luglio 1998 dell'Assessorato della sanità della Regione Siciliana di "Approvazione delle linee guida per l'istituzione del servizio sociale delle Aziende sanitarie", in conformità con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, "Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" e successive modificazioni ed integrazioni.
4.15.2. Conferenza regionale socio-sanitaria
Riferimenti legislativi:
- decreto legislativo n. 112/98;
- art. 2, comma 2 bis del decreto legislativo n. 502/92 e successive modificazioni e integrazioni.
Ambiti intervento:
- piano socio-sanitario regionale;
- atti regionali per l'integrazione degli interventi socio-sanitari;
- indirizzi regionali per la redazione di piani attuativi locali;
- relazione annuale sullo stato socio-sanitario della Regione.
Composizione:
- nominata dal Presidente della Giunta regionale è presieduta dall'Assessore regionale della sanità.
Ne fanno parte:
- presidenti province;
- presidenti delle Conferenze dei sindaci;
- direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali;
- rappresentanza dell'ANCI e di ANCI di Federsanità.
Le modalità di funzionamento della Conferenza sono disciplinate dalla stessa sulla base di un regolamento approvato dalla Giunta regionale.
Per favorire l'attuazione dei processi di integrazione tra sanità e servizi sociali, la Conferenza regionale socio-sanitaria potrebbe rappresentare, con le adeguate integrazioni, lo strumento tecnico-operativo previsto dal coordinamento socio-sanitario, definito dal protocollo d'intesa tra gli Assessorati regionali enti locali e sanità.
4.15.3. Conferenza dei sindaci
Riferimenti legislativi:
- art. 3, comma 14 del decreto legislativo n. 502/92.
Ambiti intervento:
- piani attuativi locali;
- atti di indirizzo, verifica e valutazione sulle attività e le competenze socio-sanitarie locali.
Composizione:
- i sindaci dei comuni compresi nell'ambito territoriale di ciascuna Azienda unità sanitaria locale.
Anche in questo caso, per favorire l'integrazione socio-sanitaria, si potrebbe collegare l'attività delle Conferenze dei sindaci con quelle dei comitati di garanzia, previsti dal piano socio-sanitario a livello provinciale.
4.15.4. Comitato dei sindaci di distretto
Riferimenti legislativi:
- comma 4, art. 3 quater del decreto legislativo n. 502/92 e successive modificazioni e integrazioni.
Il comitato dei sindaci di distretto rappresenta, nella conferma della coincidenza tra distretto sanitario e "distretto sociale", il "focal point" di un sistema di "governance locale" con un forte indirizzo socio-sanitario; il luogo in cui si predispongono i piani triennali di intervento integrato, sanitario e sociale sul territorio, si analizzano i dati di ritorno delle esperienze promosse, si confrontano indirizzi e risultati all'interno e all'esterno del contesto territoriale.
Nelle città metropolitane (Palermo, Catania e Messina) è prevista la configurazione del distretto unico socio-sanitario, per cui in sede di comitato, lo stesso sarà composto dal sindaco, dagli assessori comunali alla sanità e ai servizi sociali e dal direttore generale dell'Azienda unità sanitaria locale.
Sarà compito della Regione attivare una commissione, nell'ambito delle attività del coordinamento regionale tra gli Assessorati degli enti locali e della sanità, che con il contributo dell'ANCI, ANCI Federsanità e dell'URPS predisponga, entro 180 giorni dalla sua costituzione, un piano organizzativo che ottimizzi le competenze e i ruoli dei soggetti locali e regionali compresi nelle attività disciplinate dalla legge n. 142/90, dal decreto legislativo n. 502/92 e dal decreto legislativo n. 112/98 e promuova un sistema organizzativo funzionale, con l'obiettivo di:
1) semplificare le procedure di governo, di indirizzo oltre che amministrative;
2) garantire l'equilibrio tra le competenze sanitarie e quelle sociali;
3) promuovere l'integrazione socio-sanitaria a tutti i livelli di competenza;
4) agevolare una corretta informazione e la diffusione delle buone prassi.
Gli organi e le strutture di governo locale delle attività e delle politiche socio-sanitarie, nell'esercizio delle loro funzioni e nell'ambito di un sistema integrato, interagiscono con le strutture di supporto, nella fase di avviamento della riforma, quali le segreterie tecniche e i gruppi di piano e, una volta definita, con l'Agenzia sociale regionale.
4.15.5. Funzioni del distretto socio-sanitario
L'organizzazione distrettuale garantisce l'erogazione delle attività e delle prestazioni di cui all'art. 3 quinquies del decreto legislativo n. 502/92, nel rispetto dei seguenti principi:
1) unicità di accesso per i cittadini e semplificazione delle procedure;
2) erogazione di prestazioni e servizi assicurando la continuità e l'integrazione dei processi e dei percorsi assistenziali;
3) sviluppo di programmi assistenziali in continuità di cura e remunerazione forfetaria;
4) coordinamento e integrazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta con le strutture e i servizi che erogano prestazioni sanitarie;
5) supporto organizzativo, informatico e di segreteria ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta promuovendone forme di collaborazione e di associazionismo.
Le Aziende sanitarie locali e gli enti locali garantiscono l'integrazione su base distrettuale delle prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e sociali, attraverso la condivisione dei diversi processi assistenziali.
4.16. Il ruolo strategico delle organizzazioni del terzo settore
L'indirizzo dei sistemi di erogazione dei servizi sociali è fortemente incentrato sulla relazione tra ente locale e terzo settore.
Per questo la legge di riforma introduce rispetto al tema della esternalizzazione dei servizi sociali rilevanti novità, definendo le diverse funzioni svolte dagli enti pubblici e dal privato sociale, riconoscendo espressamente al privato sociale un ruolo in termini di co-progettazione dei servizi e di realizzazione concertata degli stessi.
In particolare, la Regione Siciliana promuove una politica orientata a:
1) definire adeguati processi di consultazione e concertazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi, riconosciuti come parte sociale;
2) sviluppare l'offerta e l'innovazione dei servizi, valorizzando le diverse forme di terzo settore e di cittadinanza attiva;
3) promuovere il miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità e il ruolo riconosciuto degli utenti e delle loro associazioni ed enti di tutela, sostenendo programmi e progetti di miglioramento della qualità;
4) favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e semplificazione amministrativa;
5) disciplinare le forme di aggiudicazione e negoziali in modo da consentire l'accurata valutazione dell'affidabilità e della piena espressione della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti del terzo settore, valorizzando i fattori di qualità specifica che questi soggetti esprimono.
4.17. Il tavolo permanente del terzo settore
La Regione Siciliana intende valorizzare l'apporto del privato sociale nella realizzazione del sistema integrato dei servizi e delle politiche sociali, definendo i seguenti indirizzi operativi:
1) il terzo settore partecipa alla progettazione e alla realizzazione degli interventi e dei servizi;
2) in attuazione del principio di sussidiarietà viene istituito il Tavolo permanente del terzo settore, quale organismo consultivo per la realizzazione concertata degli interventi in campo socio-sanitario. Un'apposita commissione verrà istituita su proposta dell'Assessore regionale per gli enti locali con il compito di definirne i modi e i tempi di realizzazione.
I comuni, all'interno dell'organizzazione dei distretti socio-sanitari, oltre ad avvalersi dell'apporto del terzo settore attraverso gli strumenti di concertazione per le attività di co-progettazione, ai fini della selezione dei soggetti del privato sociale presso cui acquistare o ai quali affidare l'erogazione dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328/2000, fermo restando quanto stabilito dall'art. 11 della stessa legge, valutano l'offerta qualitativamente ed economicamente più vantaggiosa tenendo conto dei seguenti elementi:
a) la formazione, la qualificazione e l'esperienza professionale degli operatori coinvolti;
b) gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;
c) la conoscenza degli specifici problemi socio-sanitari del territorio e delle risorse sociali della comunità;
d) gli elementi di valutazione sulla continuità operativa e gestionale;
e) il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di previdenza ed assistenza.
4.17.1. Economia sociale (legge n. 381/91 e legge n. 266/91; Associazioni di promozione sociale, ex legge n. 383/2000)
La Regione intende valorizzare l'apporto della solidarietà organizzata con il duplice scopo di garantire una migliore qualità di servizi alle persone e alle famiglie e di incentivare e sostenere l'economia sociale come occasione di sviluppo occupazionale e di benessere.
Sono soggetti di solidarietà sociale territoriale:
- le cooperative sociali;
- le associazioni di volontariato;
- le associazioni di promozione sociale;
- le organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
4.17.2. Cooperative sociali
La Regione Siciliana, attraverso l'art. 74 della legge regionale n. 32/2000, ha dato attuazione all'art. 9 della legge 8 novembre 1991, n. 381, recante "Disciplina delle cooperative sociali" e si impegna, anche attraverso l'istituzione di una specifica commissione bilaterale, a completare il programma di integrazione e di piena valorizzazione del settore, non solo attraverso il riconoscimento formale del ruolo, quanto ricercando strategie operative che contribuiscano a migliorare la qualità dei servizi e degli interventi sociali e i livelli occupazionali dei soggetti più fragili.
In particolare, possono essere previste, all'interno di interventi di politica del lavoro, iniziative volte a favorire l'affidamento alle cooperative sociali ed ai loro consorzi della fornitura di beni e servizi da parte di amministrazioni pubbliche, nonché a promuovere lo sviluppo imprenditoriale della cooperazione sociale. Occorre, inoltre, uno sforzo comune per definire misure volte a facilitare l'accesso al mercato del lavoro alle fasce deboli, attraverso un sistema coordinato di interventi finalizzati a valorizzarne le capacità e a prevenire i rischi di discriminazione.
4.17.3. Volontariato
Rispetto al tema della valorizzazione dell'apporto delle organizzazioni di volontariato, nell'erogazione dei servizi, la legge di riforma non innova rispetto a quanto previsto dalla legge n. 266/91.
Resta inteso, pertanto, che i comuni e le loro associazioni stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato, avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n. 266/91.
La Regione Siciliana segue con interesse e attenzione il processo di modificazione avviato al testo della legge n. 266/91.
Ai fini di una informazione più approfondita si forniscono, in allegato (tabella A), una sintesi della bozza del testo modificato dall'Osservatorio e alcune considerazioni fornite dal forum del terzo settore. In questo modo si intende sollecitare la partecipazione del mondo del volontariato regionale, anche in sede di concertazione con la Regione e gli enti locali, affinché emergano indirizzi e valutazioni che possano arricchire il dibattito e suggerire nuovi stimoli per lo sviluppo e la crescita della qualità dei servizi sociali.
4.17.4. Associazioni di promozione sociale
La Regione riconosce il valore delle associazioni di promozione sociale, cioè le associazioni riconosciute e non riconosciute e i loro coordinamenti o federazioni, che siano stati costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati, ai sensi della legge 7 dicembre 2000, n. 383.
4.17.5. O.N.L.U.S.
La Regione promuove azioni per una maggiore e più completa integrazione, anche a livello normativo, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, previste ai sensi del decreto legislativo n. 460 del 1997.
Cap. 5
GLI OBIETTIVI PRIORITARI
Sancito il principio di universalità del diritto sociale, rivolto a tutti i cittadini, al di là di ogni differenza di sesso, di età, di razza e di religione, un sistema razionale e moderno di organizzazione dei servizi e di amministrazione delle risorse deve proporre indirizzi e regolamenti atti a determinare i criteri di scelta, riducendone i rischi di errore e di omissione.
Operare delle scelte significa prendere delle decisioni circa le priorità nelle quali investire una quota maggiore di risorse e di energie, in corrispondenza di bisogni primari che, spesso, costituiscono la base irrinunciabile sulla quale costruire e sorreggere l'intera "architettura" dei programmi e dei progetti operativi, garantendo agli interventi continuità, permanenza, stabilità ed efficacia.
In questo capitolo la Regione individua le "politiche essenziali e primarie" sulle quali dovrà essere realizzato il "Sistema regionale dei servizi socio-sanitari", trovando una giusta sintesi tra le priorità identificate all'interno del Piano sociale nazionale e quelle emerse attraverso le analisi delle esperienze censite e monitorate sul territorio.
Resta uno degli obiettivi del progetto "Verso il Piano socio-sanitario regionale" determinare nel più breve tempo possibile, attraverso la certificazione del metodo e l'implementazione degli strumenti opportuni, un accertamento progressivo dei dati e degli studi che consenta interventi sempre più mirati e funzionali.
5.1. La famiglia e i cicli della vita
La Regione, nel riconoscere e sostenere le funzioni svolte dalla famiglia quale unità primaria, luogo di sintesi dei bisogni e riferimento essenziale per i servizi pubblici e privati:
a) predispone una politica organica e integrata volta a promuovere e a sostenere la famiglia nello svolgimento delle sue funzioni sociali, anche attraverso la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
b) programma i servizi, valorizzando le risorse di solidarietà della famiglia, della rete parentale e delle solidarietà sociali;
c) sostiene le libere e consapevoli scelte di procreazione e valorizza il principio di corresponsabilità dei genitori nei confronti della prole;
d) promuove la formazione di nuovi nuclei familiari con adeguate politiche occupazionali e abitative, utilizzando anche il fondo sociale affitti;
e) promuove e sostiene l'armonioso sviluppo delle relazioni familiari, delle funzioni educative, dei rapporti di solidarietà e generazionali;
f) promuove, sia a livello regionale che locale, il ruolo di interlocutore riconosciuto alle associazioni delle famiglie.
5.2. Sostegni alla maternità e alla paternità
La Regione promuove azioni ed interventi finalizzati a tutelare la vita dal momento del concepimento.
A tal fine sostiene la maternità attraverso la programmazione e realizzazione di azioni tese a rimuovere gli ostacoli economici.
I comuni e le Aziende unità sanitarie locali organizzano i servizi di assistenza domiciliare e di puericultura, finalizzati al sostegno e alla formazione della coppia o del genitore unico.
5.3. Interventi in materia di abitazione
La Regione, al fine di promuovere la costituzione di nuove famiglie e di agevolare le famiglie numerose, anche per quanto concerne l'esigenza di disporre di un alloggio adeguato, prevede la concessione di finanziamenti a tasso e condizioni agevolati e prestiti sull'onore.
5.4. La conferenza regionale sulla famiglia (Co.R.F.)
La Regione, con proprio provvedimento, istituisce la conferenza regionale sulle famiglie presieduta dall'Assessore regionale degli enti locali ed individua i soggetti, pubblici e privati chiamati a parteciparvi.
La conferenza di cui al comma 1 elabora proposte sulle politiche regionali per le famiglie e sui servizi, tenuto conto delle trasformazioni e delle problematiche emergenti che interessano i contesti familiari.
5.5. I diritti dei minori: infanzia e adolescenza
Per quanto riguarda la competenza e l'indirizzo regionale nel settore dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, si rinvia al piano triennale predisposto in ottemperanza alle disposizioni della legge n. 285/97 e ai relativi piani di zona.
Costituirà impegno primario della Regione avviare un processo di integrazione tra le pratiche attuative della legge n. 285/97 sul territorio e la fase sperimentale di avviamento del sistema integrato delle attività e dei servizi sociali della legge n. 328/2000, rendendo compatibili gli strumenti di Governo, di analisi, valutazione e monitoraggio. In particolare si avrà cura di:
1) accompagnare gli enti locali e gli organismi attuatori nella fase di trasferimento degli ambiti territoriali relativi ai piani ex legge n. 285/97, in deroga, verso l'omologazione con i distretti socio-sanitari;
2) estendere ai piani di zona della legge n. 285/97, i benefici della rete di assistenza tecnica promossa dalla Regione, con il concorso di tutti i soggetti sociali, istituzionali e non;
3) comprendere tutti gli attori occupati nella realizzazione dei piani d'intervento per i settori dell'infanzia e dell'adolescenza nei benefici prodotti dall'utilizzo degli strumenti di governo integrato del territorio, in attuazione della fase di avviamento del percorso "Verso il piano socio-sanitario".
Ritenendo la predisposizione del piano socio-sanitario un laboratorio di idee e di azioni da offrire all'analisi e alla valutazione della vasta platea dei soggetti sociali regionali, intendiamo fornire alcune sollecitazione su argomenti di estrema attualità e sui quali vale la pena di riflettere:
appunti programmatici per la redazione di un piano di zona:
- misure di sostegno alle responsabilità genitoriali (consulenza e sostegno alle famiglie attraverso mediazione familiare in collaborazione con le attività consultoriali e promozione di gruppi di auto e mutuo aiuto);
- forme di sostegno per la conciliazione tra responsabilità familiari e lavoro, particolarmente per le madri (promozione di servizi scolastici integrati, incentivi e cooperazione con le imprese per l'adozione di "orari funzionali"), anche in collegamento con la legge n. 53/2000;
- agevolazioni e misure di sostegno economico a favore delle famiglie con figli e disagio economico (politiche tariffarie e abitative);
- forme di agevolazione e sostegno delle famiglie con figli minori che presentano particolari carichi di cura (famiglie con un solo genitore e con minori con handicap grave);
- realizzazione di servizi per la prima infanzia, attraverso lo sviluppo e la qualificazione di nidi d'infanzia e di servizi ad essi integrativi che consentano una risposta qualificata e flessibile a bisogni sociali ed educativi diversificati;
- offerta di spazi di gioco di libero accesso per i bambini da 0 a 3 anni, con genitori, nonni, ecc., anche con la presenza di operatori di supporto alle funzioni genitoriali;
- luoghi di gioco "guidato", accessibili anche ai bambini residenti in zone ad alta dispersione, mirato a favorire la socializzazione, la tolleranza, il rispetto e un rapporto positivo con se stessi e con il mondo circostante;
- misure di incentivazione dell'affido familiare nei confronti di minori in situazione di forte disagio familiare e per i quali è impossibile, anche solo temporaneamente, rimanere presso la propria famiglia;
- servizi di tipo prescolastico, a completamento della rete di scuole per l'infanzia, gestiti con la partecipazione dei genitori;
- servizi di sostegno, cura e recupero psico-sociale di minori adolescenti e donne vittime di abusi, maltrattamenti e violenze, anche sessuali, attraverso interventi integrati tra i settori sociale, sanitario, giudiziario e scolastico;
- servizi di sostegno psicologico e sociale per nuclei famigliari a rischio di comportamenti violenti e maltrattamenti, attraverso interventi di prevenzione primaria a forte integrazione socio-sanitaria;
- realizzazione di strutture di accoglienza a carattere familiare per minori e donne.
Per gli interventi a favore degli adolescenti è da considerarsi prioritario:
- consolidare e dare più organicità agli interventi preesistenti rivolti a bambini e ragazzi, valutando costantemente la loro appropriatezza e adeguatezza;
- promuovere idee ed iniziative sperimentali per conoscere nuovi bisogni della fascia giovanile attivando anche interventi innovativi che rispondano alle esigenze delle nuove generazioni;
- predisporre servizi di supporto per gli studenti con difficoltà di apprendimento, anche come aiuto alla famiglia nel seguire il percorso scolastico del figlio;
- l'offerta di spazi e stimoli ad attività di particolare interesse da parte degli adolescenti, con la presenza di operatori qualificati, per assicurare l'inclusione sociale;
- promuovere percorsi sperimentali di formazione ed inserimento lavorativo per assecondare capacità, creatività e positive aspirazioni dei giovani, soprattutto di quelli a rischio di devianza;
- realizzare luoghi di ascolto immediatamente accessibili, anche interni o attigui ai luoghi abitualmente frequentati dai giovani (discoteche, spazi collettivi giovanili) con operatori "esperti" sul piano psicologico-relazionale;
- programmare campagne informative e di consulenza sulle dipendenze e sulle possibilità di affrancamento dalle stesse, utilizzando anche gruppi di auto-mutuo aiuto ed "educatori di strada";
- incentivare soluzioni abitative comunitarie, di tipo familiare per adolescenti, privi di validi supporti familiari, con educatori che possano accompagnare i giovani nel percorso di autonomizzazione.
5.5.1. Legge n. 149 del 2001
In previsione della prossima chiusura degli istituti per i minori abbandonati, sancita dalla legge n. 149/01, è necessario avviare una complessiva strategia, che investa in primo luogo il livello legislativo, mirata allo stanziamento di apposite risorse finanziarie per la realizzazione, anche ad opera del privato sociale, di interventi di:
- promozione e sensibilizzazione della cultura dell'accoglienza familiare (nelle scuole, nella famiglia);
- formazione degli operatori sociali e delle famiglie sullo specifico tema dell'accoglienza del minore;
- sostegno economico alle famiglie affidatarie e alle comunità familiari;
- realizzazione di strutture di accoglienza familiare alternative agli istituti.
Occorre, inoltre, avviare al più presto una precisa verifica sulla situazione di tutti i minori attualmente ricoverati presso le strutture di accoglienza, utilizzando équipes psico-sociali altamente specializzate.
5.5.2. Proposta delle regioni in merito agli asili nido
Disegno di legge: "Piano nazionale degli asili nido"
Premessa
Il profilo istituzionale degli asili nido è formativo-educativo-sociale e pertanto anche la sua dizione deve essere superata e sostituita con "servizi socio educativi per la prima infanzia".
I servizi sul territorio nazionale sono molteplici e pur rivolgendosi tutti a bambini da 3 a 36 mesi si differenziano dagli asili nido e si innestano in una pluralità di risposte calzanti ai bisogni del bambino e della sua famiglia e soprattutto si innestano nella realtà dei servizi sociali ed educativi.
Sempre per testimoniare la volontà di qualificare "Verso il piano socio-sanitario" alla stregua di un laboratorio di idee e di considerazioni da condividere, nella ricerca operativa di stimoli continui all'integrazione fra le parti sociali, riteniamo opportuno arricchire il dibattito sui servizi per la prima infanzia e la famiglia, ponendo in allegato (tab. B) il testo di un disegno di legge specifico.
5.5.3. Servizi residenziali
La Regione si impegna a razionalizzare i servizi residenziali per i minori, in particolare le case famiglia per l'accoglienza residenziale temporanea, per i minori da 0 a 5 anni e le comunità alloggio, sia sotto il profilo della continuità del servizio che per quanto attiene il rapporto qualità/costo dello stesso.
5.5.4. Servizio civile
La legge 6 marzo 2001, n. 64 istituisce il servizio civile nazionale, rafforzandone gli indirizzi attuativi attraverso il D.P.C.M. 10 agosto 2001.
In particolare la Regione Siciliana ritiene importante valorizzare la scelta del servizio civile come occasione che "favorisce la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale" e "contribuisce alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani", vista anche in un'ottica di decentramento solidale.
5.6. La tutela delle persone anziane
La Regione promuove la qualificazione e l'articolazione della rete dei servizi sociali per l'età adulta e anziana, privilegiando i criteri di domiciliarità e di sostegno alla vita di relazione nella comunità locale, e valorizzando le risorse positive delle persone anziane e il loro apporto solidaristico alla vita familiare e sociale.
Il sistema locale dei servizi è destinato prioritariamente alle persone adulte e anziane che si trovano in condizioni di emarginazione e di isolamento sociale per povertà o per limitazioni al l'autonomia personale.
L'aumento della durata della vita, il fatto cioè che un numero crescente di anziani viva più a lungo, rappresenta indubbiamente una grande conquista di civiltà, la realizzazione di un traguardo a lungo coltivato dall'umanità. E tuttavia, di questa profonda rivoluzione delle possibilità di vita della popolazione si colgono e si enfatizzano di regola soltanto i lati negativi; in termini di maggiori costi e maggiori oneri a carico della collettività. L'altra faccia della medaglia, che l'allungamento della vita libera risorse umane preziose, crea nuove opportunità, apre nuove possibilità, un tempo precluse dagli elevati livelli di mortalità, passa spesso inosservata o non viene sottolineata con altrettanta evidenza.
Rimarcare i risvolti positivi dell'invecchiamento non significa affatto negare che esso ponga problemi del tutto nuovi alla società e alle politiche, sia dal punto di vista dell'organizzazione delle realtà locali che della quantità e qualità dei programmi necessari ad affrontarli. L'aumento della popolazione anziana comporta indubbiamente maggiori interventi di protezione e cura delle persone. In termini di trasferimenti monetari, consumo di farmaci, accertamenti diagnostici, ricoveri ospedalieri, e prestazioni relativamente più onerose e complesse rispetto alle altre categorie della popolazione; e ancora, una crescente domanda di medicina specialistica, servizi integrati socio-sanitari, strutture di lungodegenza, case di riposo, interventi per non-autosufficienti, assistenza domiciliare.
L'aumento della popolazione anziana impone, soprattutto, un ripensamento profondo delle politiche di protezione sociale ed un allargamento dell'orizzonte degli interventi. Una parte consistente di anziani non è più soltanto portatrice di una domanda di servizi sanitari ed assistenziali; chiede interventi di natura integrativa, di tempo libero, di informazione e di formazione, di sicurezza, che non sempre è agevole conciliare con l'attuale organizzazione della società e la vita convulsa delle città. Per giunta, stando alle proiezioni, è lecito ipotizzare un aumento della quantità e della qualità di quelle richieste nel corso dei prossimi decenni.
Le esigenze più pressanti e onerose provengono da quanti hanno oltrepassato la soglia degli ottant'anni. Per una quota rilevante di costoro, in effetti, è assai elevato il rischio di percorrere l'ultimo tratto dell'esistenza in non buone o precarie condizioni di salute e di perdere almeno in parte la propria autonomia; il che accresce il fabbisogno di assistenza e cure specifiche preferibilmente presso il domicilio dell'assistito e, talvolta, in istituti specializzati di tipo residenziale o semi-residenziale. Attualmente, ai soggetti non-autosufficienti provvedono nella stragrande maggioranza dei casi le famiglie autonomamente, da sole o con l'aiuto di personale retribuito (quasi sempre immigrati privi di regolare permesso di soggiorno); solo in misura più limitata le responsabilità delle cure ricadono interamente sui servizi.
Già solo computando i numeri, dunque, non v'è ombra di dubbio che gli oneri connessi all'invecchiamento siano enormi, crescenti e verosimilmente alla lunga incompatibili con le risorse disponibili. Le soluzioni possibili con questo scenario transitano necessariamente per il superamento della rigidità che contraddistingue attualmente il rapporto tra la domanda e l'offerta; l'una in costante crescita, l'altra in continua, affannosa, rincorsa. Un serio limite delle passate politiche di welfare è stato quello di ragionare entro un sistema di compatibilità bloccato; di ritenere, cioè, che all'accrescimento delle esigenze prodotto dall'invecchiamento demografico si dovesse rispondere con un ammontare di risorse dato e immodificabile nel breve-medio termine. In questa logica, non è stata evidentemente prestata sufficiente attenzione al fatto che l'invecchiamento non è un processo isolato; non ha luogo nel vuoto, né in condizioni immutabili, bensì nel quadro di un cambiamento generalizzato dei principali parametri dell'economia e della organizzazione sociale.
A parità di età, l'anziano di oggi è una figura incommensurabile con quella di ieri. Intanto, è cambiato il quadro demografico che lo circonda. Le fasi del ciclo di vita si sono proporzionalmente estese, a monte e a valle; sono cambiate le possibilità di cura, le terapie. Sono soprattutto mutate le possibilità di mantenimento e reinserimento degli anziani all'interno della vita economica e sociale. L'anziano che giunge oggi alla soglia della pensione dispone di capacità, risorse economiche, salute fisica e mentale, che ben poco hanno a che vedere con quelle con cui arrivava in passato al termine della propria attività lavorativa.
Il processo di invecchiamento non è quindi necessariamente un fenomeno a somma negativa. In condizioni favorevoli, può dar luogo alla produzione di un valore sociale aggiunto, di un profitto sociale utilizzabile in funzione dello sviluppo della socialità collettiva; a patto che si governi il cambiamento delle età, reinventando la terza età, progettando una strategia di sviluppo per una società che invecchia.
5.7. L'handicap
La Regione tutela la persona con disabilità come definita dall'art. 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ed appartenente a qualsiasi fascia d'età.
Favorisce la realizzazione dei programmi e dei servizi territoriali ai quali la persona in situazione di handicap grave accede in posizione di priorità ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104/92.
La Regione, con proprio provvedimento, disciplina l'unificazione delle modalità di accesso e la semplificazione delle procedure di accertamento relative alla invalidità civile e alla condizione di handicap e di disabilità.
Promuove la piena integrazione della persona disabile nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella società, nei trasporti e nelle attività turistiche e ricreative, richiamando una maggiore collaborazione tra gli Assessorati degli enti locali, della sanità, della pubblica istruzione e lavoro e formazione, attraverso:
- la valorizzazione della famiglia ed il sostegno delle responsabilità familiari lungo tutto il ciclo di vita della persona con disabilità;
- il massimo sviluppo dell'autonomia e delle abilità possibili;
- la rimozione degli ostacoli che aggravano la condizione di disabilità;
- la promozione di pari opportunità;
- il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza in termini di misure assistenziali, educative, riabilitative, lavorative e di integrazione;
- l'erogazione delle prestazioni ed interventi funzionali all'efficace attuazione dei progetti individuali;
- la concessione di contributi per l'acquisto di strumenti tecnologici innovativi atti ad agevolare l'autonomia e il reinserimento sociale e professionale;
- la valorizzazione della partecipazione dei singoli, delle famiglie e dei soggetti sociali alla progettazione e attuazione degli interventi;
- la definizione di percorsi formativi e di accompagnamento al lavoro.
La Regione promuove il pieno diritto delle persone con disabilità alla fruizione degli ambienti urbani, delle strutture edilizie, del trasporto pubblico e privato, anche mediante la realizzazione di appositi progetti obiettivo.
Il piano di zona dei servizi alla persona individua i servizi che devono essere attivati e i risultati di salute da conseguire per favorire la piena integrazione sociale della persona con disabilità, anche con riferimento alla pratica sportiva, al turismo, alla fruizione dei beni culturali.
Al fine di assicurare livelli uniformi delle prestazioni, il piano di zona dei servizi alla persona prevede che in ogni zona del territorio regionale siano attivati:
- servizi di aiuto personale;
- servizi di assistenza domiciliare;
- centri diurni;
- servizi di integrazione scolastica e lavorativa;
- servizi di sostegno e di sostituzione temporanea della famiglia;
- servizi di accoglienza residenziale;
- programmi di aiuto alla persona ai sensi dell'art. 39, lett. l ter) della legge n. 104/92.
La salute mentale
Le problematiche legate alla salute mentale risultano in costante aumento in Italia come nel resto del mondo. Hanno implicazioni rilevanti per ambiti diversi quali l'alcolismo o le tossicodipendenze e sono fonte di elevati costi sociali ed economici sia per la collettività, sia per i diretti interessati e i loro familiari. Nel mondo, circa il 20-25% della popolazione in età superiore ai 18 anni, soffre nel corso di un anno, di almeno un disturbo mentale clinicamente significativo. In Italia, è stato valutato nel corso di un anno che il 2-2,5% della popolazione adulta viene trattato dai servizi pubblici o privati, pari a circa il 10% dei potenziali fruitori.
Il disagio mentale procura profonde sofferenze personali, familiari e sociali. La sua salvaguardia richiede un intervento congiunto di forze per dare pieno diritto di cittadinanza alle persone con problemi psichiatrici. La richiesta dì aiuto/cura deve trovare risposte adeguate ai bisogni dei cittadini, garantendo ai progetti terapeutici continuità, omogeneità e coerenza. La normativa vigente riformula il concetto di cura e di tutela permettendo alle persone con sofferenza mentale di salvaguardare il loro diritto a essere curati e assistiti nel proprio territorio, continuando a far parte integrante della società e disponendo di una pluralità di strutture valide. Purtroppo, la riforma psichiatrica è ancora parzialmente disattesa: molte strutture non ci sono; quelle esistenti mostrano in alcuni casi i segni del degrado; gli operatori sono in numero insufficiente.
La Regione intende promuovere un complesso di iniziative destinate ai cittadini con sofferenza mentale, con l'obiettivo di:
- dare piena attuazione al superamento dell'assistenza manicomiale;
- costruire una rete di servizi articolata;
- integrare gli interventi terapeutico/riabilitativi delle Aziende unità sanitarie locali;
- sostenere la sperimentazione di nuovi modelli di intervento (formazione, lavoro, residenzialità e allargamento della rete sociale);
- ridurre i fattori di disagio e le situazioni di istituzionalizzazione ed emarginazione.
Il piano triennale
Per l'attuazione di questi impegni prioritari, la Regione dispone la creazione, presso la Presidenza e in coordinamento con gli Assessorati regionali degli enti locali, del bilancio, della sanità, della pubblica istruzione, del lavoro e della formazione, della cooperazione, dei trasporti e del turismo e dei lavori pubblici, di una conferenza di servizi e di un tavolo tecnico per rendere omogenei ed integrati i servizi e gli interventi territoriali, a favore dei portatori di handicap. La Regione, in conformità con il piano socio-sanitario regionale, si impegna ad approvare, entro 180 giorni dalla pubblicazione del decreto sulle linee guida, il secondo Piano triennale regionale dei servizi a favore dei portatori di handicap.
5.8. Le dipendenze
5.8.1. Politiche per le persone con problemi di dipendenze
La Regione promuove azioni di sostegno destinate alle persone che presentano rischio, uso o dipendenza da sostanze psicoattive, patologie correlate o altre situazioni comportamentali in grado di creare dipendenze patologiche.
Favorisce la realizzazione di un sistema integrato di servizi per le dipendenze nel quale operano soggetti pubblici e privati accreditati.
Il sistema degli interventi, finalizzato a prevenire e superare le situazioni di cui al comma 1, è attuato in armonia con le politiche giovanili orientate alla promozione della salute e della solidarietà.
I servizi per le dipendenze sono organizzati secondo principi di coordinamento e continuità assistenziale riferita alla complessità sociale, particolarmente per quanto attiene alle situazioni di rischio comportamentale e sociale.
5.8.2. Caratteristiche degli interventi
Gli interventi per le dipendenze sono finalizzati alla prevenzione, cura e riabilitazione e sono diversificati in relazione alla natura, gravità e complessità dei bisogni delle persone e delle famiglie con problemi di dipendenza.
In particolare, gli interventi di cui al comma 1 consistono in:
- interventi domiciliari e territoriali anche per situazioni cronicizzate, bisognose di assistenza continua e integrata;
- attività di sostegno alle forme di auto aiuto tra persone e famiglie;
- interventi diurni ambulatoriali e non;
- interventi in strutture residenziali e semiresidenziali a valenza terapeutica con percorsi riabilitativi mirati e di alta specializzazione in relazione alla patologia su cui intervenire;
- interventi di reinserimento lavorativo, formativo e sociale;
- attività di integrazione progettuale tra scuola, enti locali e Aziende unità sanitarie locali, finalizzate all'animazione del territorio e alla valorizzazione del protagonismo della cittadinanza.
5.8.3. Qualità dei servizi e valutazione dei risultati
La Regione individua adeguati sistemi di verifica e valutazione dell'adeguatezza dei risultati raggiunti, della qualità dei processi e dell'efficace utilizzo delle risorse impiegate.
Per le finalità di cui al comma 1, nell'ambito dei piani di zona dei servizi alla persona, si promuovono:
- iniziative di informazione e di educazione;
- il coinvolgimento della scuola e di altre amministrazioni pubbliche;
- il coinvolgimento delle famiglie, del volontariato, dell'associazionismo sociale;
- la presenza di operatori e volontari nelle sedi di aggregazione giovanile;
- la programmazione e valutazione partecipata dell'efficacia dei programmi per la prevenzione e il contrasto delle dipendenze;
- iniziative di inserimento occupazionale;
- iniziative di accoglienza e di accompagnamento di persone con problemi di dipendenza;
- la collaborazione con l'amministrazione penitenziaria per facilitare il reinserimento sociale di persone con problemi di dipendenza.
5.9. Le politiche sociali carcerarie e la sicurezza sociale
Prima di intraprendere una descrizione analitica dei problemi che riguardano le politiche sociali carcerarie e di entrare nel merito dei bisogni emersi, è opportuno riflettere attorno ad alcuni dati statistici.
Solo attraverso un'analisi preliminare di questo tipo si potrà avere un quadro d'insieme del sistema, in grado di sostenere il confronto con altre esperienze in Europa e in America.
Attualmente la popolazione carceraria si compone di circa 51.000 unità. La metà, circa, dei 51.000 detenuti è ancora in attesa di giudizio, ovvero non è ancora stato giudicato con sentenza definitiva.
Si contano, nell'ambito di questa popolazione, delle sotto-classi come i detenuti tossicodipendenti, che ormai rappresentano stabilmente circa il 30 % della popolazione carceraria e quella degli stranieri, che supera il 20-30%.
Confrontando l'Italia con la situazione internazionale si può dire che il nostro Paese, negli anni '90, si sia allineato con la media europea.
Il secondo gruppo di dati riguarda il numero degli operatori penitenziari: un dato del tutto insufficiente per assicurare la custodia di una popolazione detenuta così numerosa e per garantire le misure di trattamento finalizzate al reinserimento sociale.
Un educatore svolge 40 ore di lavoro al mese avendo a carico una media di 230 detenuti. Lo stesso discorso vale per psicologi e assistenti sociali.
Gli agenti di polizia penitenziaria sono 42.000, una parte dei quali è indirizzata a compiti extra-carcerari, come scorte, piantonamenti, impiego nei ministeri.
I magistrati di sorveglianza, ai quali la legge penitenziaria assegna un'ampia discrezionalità e, quindi, un carico di lavoro insopportabile per l'applicazione delle misure e dei benefici penitenziari, sono solo 125 in tutta Italia a seguire 30.000 detenuti definitivi.
Da questi dati emerge chiaramente come il primo problema sia quello del sovraffollamento e della conseguente esiguità degli operatori, in rapporto ad una popolazione carceraria in crescita.
Inoltre, anche se le riforme penitenziarie del 1975 e del 1986 hanno contribuito ad un miglioramento delle condizioni di detenzione, favorendo un più stretto rapporto del carcere con il territorio, le testimonianze provenienti dal carcere evidenziano un gran numero di problemi tuttora irrisolti: vaste aree di disagio, conflittualità crescente, condizioni sanitarie scadenti, violazioni dei diritti umani.
Alcuni dati, relativi all'anno 1999, possono essere utili per comprendere meglio la situazione:
- 10.686 detenuti in esubero rispetto alla capienza regolare;
- 6.536 episodi di autolesionismo;
- 920 tentati suicidi;
- 53 suicidi;
- 83 decessi;
- 5.522 scioperi della fame;
- 685 astensioni dal lavoro;
- 4.832 episodi di astensione dalle terapie.
Sul problema specifico delle condizioni di salute dei detenuti, da alcuni anni i medici penitenziari denunciano l'incompatibilità tra le detenzione e le malattie gravi. Nello specifico, i dati del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aggiornati al primo gennaio 2000 stimano la presenza di 3.024 detenuti sieropositivi all'interno degli istituti di pena, di cui 360 in gravi condizioni (secondo l'Amapi, l'associazione dei medici penitenziari, sarebbero oltre 5.000 le persone sieropositive in carcere).
Ricordiamo che in Italia il test Hiv, praticato preventivamente all'inizio della pena detentiva, è tuttora facoltativo, per cui vi è certamente un "numero oscuro" di soggetti sieropositivi non rilevato dalle statistiche ufficiali.
Oltre ai soggetti sieropositivi, è presente in carcere un gran numero di detenuti tossicodipendenti. Complessivamente, i detenuti tossicodipendenti costituiscono il 28% del totale. I dati aggiornati alla fine del 1999 mostrano l'aumento dei detenuti tossicodipendenti, che sono passati dalle 13.567 presenze del 1998 alle 14.840 del 1999.
Un altro aspetto che necessita di un approfondimento riguarda le conseguenze della detenzione nella dimensione familiare. La carcerazione determina una serie di gravi conseguenze anche sul piano delle relazioni familiari. Infatti, la detenzione di un familiare comporta squilibri all'interno della famiglia, che si deve attrezzare per sostituire, in qualche modo, l'assenza verificatasi.
Una situazione ulteriormente grave nel caso in cui il detenuto coincide con lo status di capofamiglia o con un percettore di reddito, spesso l'unico. A questo proposito, oltre alla difficoltà di entrate e alle spese legali, uno dei problemi più rilevanti per le famiglie è costituito dai viaggi che si rendono necessari per andare a visitare il parente nel luogo di detenzione.
Le problematiche relative alle politiche sociali carcerarie, tuttavia, non riguardano solamente le condizioni di detenzione, ma si riferiscono alla fase di reinserimento sociale degli ex-detenuti.
In questo senso, nel corso degli ultimi anni, il carcere si è aperto sempre di più al territorio. E' cresciuta l'esigenza di stabilire una rete di contatti tra il carcere e il contesto territoriale, anche in vista della liberazione del detenuto e del suo reinserimento nella società attiva.
Una nota positiva, a questo riguardo, è costituita dalla presenza di una serie di misure alternative alla detenzione per mezzo delle quali il detenuto può scontare la pena al di fuori della realtà carceraria, in presenza di reati minori e comunque non gravissimi, impegnandosi in opere di contenuto sociale che favoriscano il reinserimento nella vita civile, intervenendo sulle dinamiche del pentimento.
Dal 1987, hanno potuto usufruire delle misure alternative 106.187 soggetti, di cui 50.904 hanno potuto godere del beneficio senza passare per il carcere, con tutti i vantaggi facilmente immaginabili sul piano psicologico e del reinserimento nella società libera.
Infine, un microcosmo particolarmente dolente è rappresentato dalla realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari. In questi contesti, gli internati sono presenti anche per lunghi anni in strutture che sono carceri mascherate da ospedali, regolate da ordinamenti penitenziari che solo la sensibilità dei magistrati di sorveglianza, dei direttori e degli operatori può rendere compatibili con le condizioni di salute mentale e fisica.
Tuttavia è importante sottolineare che il sistema d'intervento proposto si pone un obiettivo finale che riassume e sintetizza i diversi bisogni, sociali e professionali, rappresentati:
- garantire l'affermazione di livelli crescenti di sicurezza per la comunità dei cittadini.
Pertanto si può ipotizzare un programma articolato che si espliciti attraverso le seguenti fasi:
- definizione del contesto operativo;
- definizione dei profili professionali degli operatori;
- completamento del processo di specializzazione attraverso percorsi formativi;
- individuazione dei bisogni sociali primari e secondari del l'utenza carceraria;
- individuazione dei percorsi di reinserimento occupazionale;
- ridefinizione del rapporto con la comunità.
Il passaggio, graduale, dalla pratica dell'intervento di emergenza nei confronti di fenomeni di tensione e conflitto sociale all'affermazione di programmi di prevenzione concertata, presuppone la piena conoscenza delle cause di malessere e l'adozione di metodologie consapevoli di trattamento, corrispondenti ai bisogni sociali espressi e alle risorse umane qualificabili.
Questo percorso presuppone alcuni passaggi obbligatori:
- la creazione di infrastrutture sociali a supporto delle azioni di reinserimento e di recupero;
- la messa in rete delle esperienze;
- l'avviamento di percorsi formativi permanenti;
- la specializzazione e la qualificazione delle figure professionali legate al sistema sociale;
- l'inserimento del progetto in un contesto di integrazione delle politiche sociali e dell'occupazione;
- il consolidamento di una cultura dell'inclusione.
5.9.1. Gli obiettivi di "public utilities"
Decreto legislativo n. 274/2000 - Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all'art. 54, comma 6.
Il lavoro di pubblica utilità, consistente nell'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato, ha per oggetto:
a) prestazioni di lavoro a favore di organizzazioni di assistenza sociale o volontariato operanti, in particolare, nei confronti di tossicodipendenti, persone affette da infezione da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari;
b) prestazioni di lavoro per finalità di protezione civile, di tutela del patrimonio ambientale e culturale;
c) prestazioni di lavoro in opere di tutela della flora e della fauna;
d) prestazioni di lavoro nella manutenzione e nel decoro di ospedali e case di cura o di beni del demanio e del patrimonio pubblico;
e) altre prestazioni di lavoro di pubblica utilità pertinenti la specifica professionalità del condannato.
La Regione promuove la creazione di un Osservatorio regionale delle politiche sociali carcerarie, da inserire nell'ambito delle competenze dell'Agenzia sociale regionale, con il compito di fungere da polo di coordinamento e di supporto per tutti i soggetti sociali che operano nel settore.
5.10. Le pari opportunità sociali
Le politiche di pari opportunità rappresentano al contempo occasioni di civiltà e di crescita sociale, ma anche concrete possibilità di confronto con le reti e le agenzie nazionali ed europee per lo sviluppo economico ed occupazionale, anche attraverso una mobilitazione degli attori socio-economici. Numerosi sono i programmi europei di supporto e finanziamento delle politiche di pari opportunità, come i P.O.R.S., Equal, la legge n. 125/91.
I temi qualificanti per le politiche di pari opportunità sono:
- le azioni di contrasto contro ogni forma di discriminazione;
- le politiche di accesso al mondo del lavoro;
- la tutela dei diritti alla formazione e al riconoscimento del ruolo e della dignità professionale;
- la promozione dell'integrazione nella politica e nella pubblica amministrazione.
In particolare si prevede la sottoscrizione di un protocollo operativo tra l'Assessorato regionale degli enti locali e il Ministero delle pari opportunità al fine di ottimizzare gli interventi e le politiche, soprattutto in materia di adozione internazionale, pedofilia e violenza ai minori e alle donne.
Cap. 6
I PROGETTI INNOVATIVI
La Regione, nel pieno svolgimento del proprio ruolo di indirizzo e di coordinamento, individua alcuni obiettivi operativi che, per il loro grado di innovazione e per il livello di compatibilità con i programmi di sviluppo comunitari e nazionali, nonché per la corrispondenza con le politiche per l'inclusione sociale e per la crescita occupazionale, necessitano di attenzioni particolari, anche attraverso la definizione di progetti obiettivo in grado di rafforzarne i processi integrativi, a partire dalla fase di attuazione del piano sociale regionale.
6.1. Le vecchie e le nuove povertà
Una società in evoluzione deve saper guardare dentro sé stessa per individuare le diverse chiavi di lettura del proprio percorso dinamico, con la consapevolezza di dover interpretare ciò che ancora non si vede, quantomeno a occhio nudo. E per realizzare questo obiettivo è necessario che pre-esistano determinate condizioni:
- un coordinamento di soggetti pubblici e privati in grado di "osservare" e "rappresentare" l'intero territorio e tutte le aree settoriali che interessano gli interventi socio-sanitari;
- una rete di monitoraggio e valutazione, funzionale e dotata di modalità e criteri omogenei di rilevamento.
Anche una società regionale che, come quella siciliana, pur con contraddizioni e anomalie, mostra evidenti segni di ripresa, a livello di export, di occupazione femminile e di prima occupazione, ad un'analisi attenta nasconde livelli di insoddisfazione ai quali occorre corrispondere immediati interventi di prevenzione affinché non degenerino in fenomeni di disagio e di emarginazione cronici.
Pertanto anche la Sicilia è investita dall'avanzare delle cosiddette nuove povertà:
- le donne in cerca di occupazione over 30 anni;
- gli adulti over 45 anni con gap nella specializzazione informatica o privi di aggiornamento organizzativo e gestionale, che rischiano l'espulsione dal mondo del lavoro;
- le famiglie mono-reddito o con anziani a carico o con altri soggetti che richiedono cure e assistenze continue e/o permanenti;
- gli anziani soli, soprattutto le donne sole over 65 anni.
Il contrasto alla povertà e all'esclusione sociale è uno degli obiettivi strategici ripetutamente indicati dal Consiglio europeo, in particolare da quello del 17 dicembre 1999 e quello del marzo 2000 a Lisbona, e ancora dall'accordo sull'agenda sociale europea approvata a Nizza nel novembre 2000. In occasione del Consiglio europeo di Lisbona si è concordato che ciascun Paese metta in campo un piano di azione nazionale di contrasto alla povertà, in cooperazione con la Commissione europea per restituire alle persone che versano in stato di povertà, le capacità di condurre una vita con dignità. E' fatta esplicita menzione, negli indirizzi europei, della necessità di coinvolgere come soggetti particolarmente attivi negli interventi di contrasto alla povertà, e particolarmente per le povertà estreme, le associazioni non lucrative.
La legge n. 328/2000, all'art. 23 stabilisce che, un ulteriore provvedimento legislativo, estenda a tutto il territorio nazionale il reddito minimo di inserimento, RMI, attualmente in corso di sperimentazione in alcune aree, come misura di sostegno al reddito e di integrazione sociale rivolta a chi si trova al di sotto della soglia di reddito della povertà assoluta.
In assenza dell'allargamento della misura nazionale di sostegno al reddito, i piani zonali dovrebbero prevedere, in alternativa al sussidio economico, modalità di intervento similari, anche a titolo sperimentale, per indurre nuove risposte alla povertà che non siano frammentarie e occasionali, commisurando i sistemi di assistenza economica ad uniformità e chiarezza dei criteri di accertamento del reddito, con riferimento al bisogno e non all'appartenenza a categorie "svantaggiate", valorizzando le capacità e potenzialità dei soggetti da assistere e sviluppando forme di accompagnamento sociale in collaborazione tra soggetti pubblici, e soggetti del terzo settore o privati presenti sul territorio, anche con l'inserimento di queste attività nei piani di sviluppo locale.
Affinchè le misure di contrasto alla povertà siano efficaci, devono accompagnarsi ad esse politiche di sostegno e incentivazione alla formazione (per i giovani) e alla riqualificazione (per gli adulti), di facilitazione nell'accesso all'abitazione per le famiglie a basso reddito (anche in collegamento con le misure nazionali di sostegno abitativo per i non abbienti), favorendo anche l'utilizzazione dei servizi sanitari per chi si trova in condizioni di particolare vulnerabilità.
Infine, tra coloro che si trovano in situazione di grave disagio economico e di rischio di esclusione sociale, un'attenzione specifica va prestata alle povertà estreme e alle persone senza fissa dimora (art. 28, legge n. 328/2000). A queste persone vanno dirette specifiche misure sia per favorirne l'inserimento e il reinserimento nei servizi (inclusi quelli sanitari), sia per accompagnarle in un percorso di recupero delle capacità personali e relazionali, sia infine per affrontarne i bisogni di sopravvivenza fisica.
Gli obiettivi delle politiche di contrasto alla povertà sono così sintetizzabili:
- promozione di interventi per l'accesso al lavoro da parte delle categorie più fragili attraverso piani di sviluppo locale e misure formative per le fasce dell'esclusione sociale (immigrati, ex detenuti, emarginati);
- prevenzione dei rischi di esclusione sociale, attivando percorsi di accompagnamento in collaborazione con terzo settore e volontariato;
- azioni mirate a favore dei più vulnerabili: povertà estreme, persone senza fissa dimora;
- coordinamento dei diversi attori sociali che operano nel settore.
6.2. Le politiche per l'integrazione degli stranieri
La Regione intende promuovere politiche per l'immigrazione legale attraverso:
- la realizzazione dei diritti di cittadinanza anche per le popolazioni ad immigrazione regolare, con l'adozione di misure a favore dello sviluppo e della scolarizzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, fermo restando che i centri di prima accoglienza sono a carico dello Stato ai sensi della stessa legge n. 40/98;
- la possibilità di interazione e scambio culturale con le popolazioni immigrate e il resto della popolazione.
Gli indirizzi per i piani di zona in materia di immigrazione sono pertanto:
- sostenere e consolidare le azioni intraprese;
- realizzare l'integrazione tra culture diverse per trasformare l'immigrazione da problema a risorsa;
- facilitare agli immigrati l'accesso ai servizi valutando la condizione di bisogno, piuttosto che la extraterritorialità, particolarmente in ordine ai problemi dei minori, della famiglia e dell'abitazione;
- favorire l'accoglienza e l'integrazione scolastica dei minori e corsi di alfabetizzazione degli adulti per agevolare l'inserimento occupazionale;
- rinforzare gli interventi in atto e promuoverne lo sviluppo nelle zone con consistente presenza di immigrati (area metropolitana e zone di frontiera);
- promuovere il lavoro in rete tra enti pubblici e organizzazioni del terzo settore che si occupano di immigrati, promuovendo con gli attori sociali ed i soggetti della produzione, formazione agevolata e politiche dell'occupazione;
- agevolare la fruizione da parte degli immigrati delle prestazioni preventive e di cura.
6.3. L'integrazione con le politiche della scuola e del lavoro
6.3.1. Il decentramento amministrativo
Un collegamento sistematico con le politiche di decentramento amministrativo e di governo locale può facilitare la comprensione di un agire ispirato alle logiche dell'integrazione e favorire la condivisione di strumenti operativi per l'assunzione di responsabilità e l'orientamento delle scelte. Con il D.P.R. n. 616/77, la legge n. 833/78, la legge n. 142/90 sulle autonomie locali, il decreto legislativo n. 112/98, "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali", in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, il legislatore aveva a più riprese richiamato la necessità di gestire unitariamente i servizi alle persone, quantomeno con riferimento ai bisogni che richiedono elevata integrazione socio-sanitaria, non sempre con buoni risultati. Lo stesso decreto legislativo n. 229/99 chiarisce le responsabilità precisando, all'art. 3 septies, comma 6, che: "le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell'art. 3, comma 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La Regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza".
6.3.2. Le politiche occupazionali
L'impegno a promuovere un complesso di iniziative volte a favorire la crescita dell'occupazione, nonché a promuovere condizioni di benessere e creare percorsi di inclusione sociale, ha come obiettivo prioritario delle politiche attive del lavoro e delle politiche sociali l'inserimento occupazionale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società e del mercato del lavoro.
In particolare è indubbia la necessità di orientare alcuni interventi verso le problematiche riguardanti il rapporto tra comunità e qualità della vita.
Elemento fondamentale, dunque, di tale progetto risulta essere la predisposizione di percorsi socio-riabilitativi che consentano il recupero di fasce di emarginazione e l'abbassamento della soglia di povertà così da poter includere uomini e donne che normalmente vivono nella marginalità.
Bisogna promuovere circoli virtuosi tra bisogni insoddisfatti, qualificazione professionale delle fasce deboli e sviluppo occupazionale soprattutto per le categorie maggiormente discriminate ed escluse da ogni forma di cittadinanza attiva.
La Regione, pertanto, segue con particolare interesse l'evoluzione del terzo settore verso un sistema di economia sociale in cui gli obiettivi di efficienza si integrino con quelli, irrinunciabili, di efficacia propri di una cultura etica del fare e del produrre.
Promuove e incentiva forme di collaborazione con gli Assessorati regionali del lavoro, della formazione professionale, dell'istruzione, per sostenere strategie comuni di contrasto ad ogni forma di emarginazione e di discriminazione in ambito culturale e occupazionale, di sostegno del diritto all'istruzione, di incentivazione all'emersione del lavoro nonché di tutela dei diritti di pari opportunità.
Particolare attenzione viene posta nei confronti degli "sportelli provinciali" per la mediazione di domanda-offerta di lavoro, con l'intento di unificare il momento dell'approccio da parte dei servizi pubblici locali per i destinatari dell'intervento, finalizzato ad analizzare i percorsi possibili di uscita dalla condizione assistita attraverso il reperimento del lavoro. Il servizio si esplica mediante approfonditi colloqui con il richiedente: si ricercano gli elementi del curriculum da valorizzare e i punti deboli da rafforzare; si individuano, in stretta collaborazione con i servizi sociali territoriali, i problemi relativi all'ambito familiare o personale che possano costituire ostacolo all'inserimento al lavoro e i servizi di prima necessità; si ipotizza un percorso di reinserimento composto da trasferimenti economici, attività formative, utilizzo di borse lavoro e tirocini presso imprese, fruizione di servizi (es. prestazioni di cura rivolti a familiari minori o anziani) che consentano di dedicarsi ad attività lavorative, tutoraggio, counselling, orientamento, comprendenti anche la consulenza per l'avvio di attività in proprio e per l'utilizzo delle normative che lo incentivano. Questo percorso dovrà essere periodicamente aggiornato per una fruizione tempestiva e corretta.
Occorre, inoltre, che gli operatori istituzionali, del terzo settore e tutti gli altri organismi e soggetti competenti si organizzino per concorrere allo sviluppo locale, gestendo in maniera più integrata e funzionale, anche all'interno dei patti territoriali, i progetti integrati territoriali (P.I.T.), i programmi Leader ed Equal, tutte le misure dei P.O.R.S., oltre a programmi strategici come Daphne e Fertilità, così come tutte le occasioni di sviluppo imprenditoriale che si rendessero opportune.
6.4. Dalla politica degli "Osservatori" al ruolo dell'Agenzia sociale regionale (A.S.R.).
La Regione Siciliana ritiene indispensabile promuovere lo sviluppo dell'integrazione e della concertazione condivisa anche attraverso l'istituzione di organismi di consulenza qualificata e di coordinamento delle attività. L'indirizzo settoriale e compartimentale che ha contraddistinto le politiche sociali fino a qualche anno fa ha prodotto la proliferazione di osservatori, di consulte e di coordinamenti destinati al completamento e al supporto di politiche settoriali e legati a particolari strumenti legislativi. Spesso i programmi di questi organismi prevedevano la realizzazione di ulteriori strumenti, soprattutto di tipo informatico come le banche dati, che il più delle volte sono rimaste sulla carta. Inoltre era frequente che venissero invitati a far parte di codeste organizzazioni gli stessi soggetti, pubblici e privati, creando sovrapposizione di impegni e di competenze. Il più delle volte, infine, non si arrivava, operativamente, alla seconda convocazione. Ora la Regione intende valorizzare queste esperienze pregresse, trovando supporto nei nuovi indirizzi organici della legislazione sociale, trasformando tutte queste risorse in un unico strumento operativo, esaltandone le competenze e gli obiettivi attraverso la creazione di un'Agenzia sociale regionale, ubicata presso l'Assessorato degli enti locali, e con diramazioni presso gli Assessorati ai servizi sociali delle nove Province regionali. Scopo dell'Agenzia è quello di:
- analizzare i fenomeni e i mutamenti sociali, anche attraverso convenzioni con l'Istat, le università e gli enti di ricerca;
- valutare l'impatto delle politiche socio-sanitarie sul territorio, considerando anche l'analisi degli indicatori di successo, ricavabili dalla realizzazione dei piani di zona;
- predisporre azioni per rilanciare la comunicazione sociale;
- trasformare le politiche di indirizzo sociale e socio-sanitario in programmi e progetti operativi;
- comprendere e razionalizzare le competenze assunte dai singoli osservatori settoriali, fungendo da strumento di consulenza settoriale, sia a livello regionale che provinciale;
- analizzare il fenomeno delle "nuove povertà", ricercando soluzioni di contrasto e di prevenzione.
Con l'atto di istituzione verranno individuate le modalità di finanziamento e le relative risorse.
Cap. 7
GLI AMBITI TERRITORIALI
7.1. La scelta del distretto sanitario
La distrettualizzazione territoriale prevista dalla legge n. 328/2000, all'art. 8, comma 3, che individua nelle Regioni la competenza nella definizione degli ambiti territoriali di intervento, già praticata in Sicilia per le prestazioni sanitarie, si è attuata con l'avvio del I triennio della legge n. 285/97, con la costituzione degli ambiti territoriali di intervento, a livello provinciale.
7.2. Il passaggio dagli ambiti della legge n. 285/97 a quelli socio-sanitari
Nel corso del I triennio, quindi, le 9 province siciliane hanno dato un apporto significativo al difficile percorso delle aggregazioni dei comuni, fin dal momento della predisposizione dei piani territoriali di intervento. Infatti, sono stati individuati ben 75 sub ambiti con compiti di progettazione operativa e di gestione degli interventi.
Nell'applicazione del II triennio (2000/2002), alla luce delle esperienze portate avanti nel precedente, nel pieno riconoscimento del ruolo svolto dalle province regionali nelle attività di promozione, coordinamento, monitoraggio e supporto tecnico, ma anche nel riconoscimento della titolarità dei comuni in ambito di progettazione e di gestione coordinata degli interventi, dopo un percorso di concertazione, allargata ai soggetti sociali titolati, sono stati individuati quali ambiti territoriali di intervento le aggregazioni di comuni, coincidenti in gran parte con i distretti sanitari, con diverse deroghe, motivate da esigenze di omogeneità territoriale e operativa.
7.3. L'obiettivo del distretto socio-sanitario
Pertanto, considerata positivamente l'esperienza della legge n. 285/97 relativa al II triennio, in quanto la stessa ha rappresentato, di fatto, un ulteriore passaggio verso la scelta del distretto come riferimento territoriale definitivo, con il contributo operativo dell'Anci, dell'Anci Federsanità, dell'Urps e dei sindacati si è deciso di definire l'ambito territoriale di riferimento del processo attuativo della legge n. 328/2000, nei termini del distretto sanitario (vedere tabella dei 55 distretti sanitari definiti), attraverso un programma di supporto culturale ed organizzativo volto a rafforzarne l'identità socio-sanitaria, intesa in una logica di integrazione.
7.4. Le città metropolitane
Le città metropolitane, Palermo, Catania e Messina, determinano il proprio ambito quale distretto unico socio-sanitario, per semplificare i processi di coordinamento e integrazione.
I distretti socio-sanitari individuati per le finalità di cui alle "linee guida di indirizzo" per la definizione del piano socio-sanitario regionale, sono 55 così come di seguito indicati:
Provincia di Agrigento D1 Agrigento Aragona, S. Angelo Muxaro, Comitini, Favara, Porto Empedocle, Realmonte, Siculiana, Raf- fadali, Joppolo Giancaxio, S. Elisabetta; D2 Bivona S. Stefano di Quisquina, Alessandria della Rocca, S. Biagio Platani, Cianciana; D3 Canicattì Castrofilippo, Naro, Camastra, Racalmuto, Grotte, Ravanusa, Campobello di Licata; D4 Casteltermini S. Giovanni Gemini, Cammarata; D5 Licata Palma di Montechiaro; D6 Ribera Calamonaci, Cattolica Eraclea, Montallegro, Burgio, Lucca Sicula, Villafranca Sicula; D7 Sciacca Menfi, S. Margherita Belice, Sambuca di Sicilia, Caltabellotta, Montevago. Provincia di Caltanissetta D8 Caltanissetta S. Caterina Villarmosa, Resuttano, Riesi, Sommatino, Delia; D9 Gela Niscemi, Mazzarino, Butera; D10 Mussomeli Aquaviva Platani, Campofranco, Sutera, Val- lelunga Pratameno, Villalba; D11 San Cataldo Marianopoli, Serradifalco, Montedoro, Bom- pensiere, Milena. Provincia di Catania D12 Adrano Biancavilla, S. Maria di Licodia; D13 Caltagirone Mirabella Imbaccari, S. Michele di Ganzaria, S. Cono, Grammichele, Mazzarrone, Vizzini, Licodia Eubea, Mineo; D14 Acireale S. Venerina, Zafferana Etnea, Acicatena, Aci S. Antonio, Aci Bonaccorsi, Aci Castello; D15 Bronte Randazzo, Maletto, Maniace; (2) (3) D16 Catania Misterbianco, Motta S. Anastasia; D17 Giarre Milo, S. Alfio, Linguaglossa, Piedimonte Etneo, Fiumefreddo, Calatabiano, Riposto, Mascali, Castiglione di Sicilia (2); D18 Paternò Belpasso, Ragalna; D19 Gravina di Catania S. Giovanni La Punta, Valverde, S. Gregorio di Catania, Tremestieri Etneo, Mascalucia, S. Pietro Clarenza, Camporotondo Etneo, S. Agata Li Battiati, Pedara, Nicolosi, Treca- stagni, Viagrande; D20 Palagonia Militello Val di Catania, Scordia, Ramacca, Castel di Iudica, Raddusa. Provincia di Enna D21 Agira Regalbuto, Leonforte, Assoro, Nissoria; D22 Enna Villarosa, Calascibetta, Valguarnera Carope- pe, Centuripe, Catenanuova; D23 Nicosia Sperlinga, Troina, Cerami, Gagliano Castel- ferrato, Capizzi (4); D24 Piazza Armerina Aidone, Barrafranca, Pietraperzia. Provincia di Messina D25 Lipari Leni, Malfa, S. Maria Salina; D26 Messina Scaletta Zanclea, Itala, Villafranca Tirre- na, Saponara, Rometta, Roccalumera-Mandani- ci, Furci Siculo, Nizza di Sicilia, Fiumedi- nisi, Alì Terme, Alì, Pagliara @#; D27 Milazzo Pace del Mela, Gualtieri Sicaminò, S. Lucia del Mela, S. Filippo del Mela, Spadafora, Valdina, Venetico, Roccavaldina, Torregrot- ta, Monforte S. Giorgio, Condrò, S. Pier Niceto; D28 Barcellona P. G. Merì, Montalbano Elicona, Basicò, Tri- pi, Terme Vagliatore, Castroreale, Rodì Mi- lici, Furnari, Falcone, Novara di Sicilia, Mazzarrà S. Andrea, Fondachelli Fantina; D29 Mistretta Castel di Lucio, Reitano, S. Stefano Cama- stra, Motta d'Affermo, Pettineo, Tusa; D30 Patti Oliveri, Montagnareale, Librizzi, S. Piero Patti, Raccuja, Floresta, Brolo, Ficarra, Sinagra, Gioiosa Marea, Piraino, S. Angelo di Brolo, Ucria @#; D31 S. Agata di M. S. Marco d'Alunzio, Militello Rosmarino, Alcara Li Fusi, Acquedolci, S. Fratello, Ca- ronia, Capo d'Orlando, Caprileone, Frazzanò, Mirto, Longi, Castell'Umberto, Naso, S. Sal- vatore di Fitalia, Tortorici, Torrenova, Ga- lati Mamertino; @# D32 Taormina Castelmola, Gallodoro, Mongiuffi Melia, Letojanni, Motta Camastra, Francavilla di Sicilia, Moio Alcantara, Malvagna, Roccella Valdemone, Cesarò, S. Teodoro, Giardini Naxos, Graniti, Gaggi, S. Teresa Riva, S. Alessio Siculo, Forza d'Agrò, Savoca, Casal- vecchio Siculo, Antillo, Limina, Roccafiori- ta, Santa Domenica Vittoria. @# (3) Provincia di Palermo D33 Cefalù Lascari, Gratteri, Campofelice di Roccella, Collesano, S. Mauro Castelverde, Castelbuo- no, Isnello, Pollina; D34 Carini Torretta, Capaci, Isola delle Femmine, Ter- rasini, Cinisi; D35 Petralia Sottana Petralia Soprana, Blufi, Bompietro, Alimena, Polizzi Generosa, Castellana Sicu- la, Gangi, Geraci Siculo; D36 Misilmeri Marineo, Bolognetta, Godrano, Mezzojuso, Ci- minna, Baucina, Ventimiglia di Sicilia, Ce- falà Diana, Villafrati, Campefelice di Fita- lia; D37 Termini Imerese Trabia, Caccamo, Sciara, Cerda, Aliminusa, Montemaggiore Belsito, Caltavuturo, Sclafani Bagni, Scillato @#; D38 Lercara Friddi Castronovo di Sicilia, Vicari, Roccapalumba, Palazzo Adriano, Prizzi, Valledolmo, Alia; D39 Bagheria S. Flavia, Ficarazzi, Casteldaccia, Altavil- la Milicia; D40 Corleone Campofiorito, Roccamena, Bisacquino, Contes- sa Entellina, Chiusa Sclafani, Giuliana; D41 Partinico Balestrate, Trappeto, Montelepre, Borgetto, Giardinello, S. Giuseppe Jato, S. Cipirello, Camporeale; D42 Palermo Ustica, Villabate, Monreale, Piana degli Al- banesi, Altofonte, S. Cristina Gela, Belmon- te Mezzagno, Lampedusa e Linosa. Provincia di Ragusa D43 Vittoria Acate, Comiso; D44 Ragusa Chiaramonte Gulfi, Giarratana, Monterosso Almo, S. Croce Camerina; D45 Modica Scicli, Ispica, Pozzallo. Provincia di Siracusa D46 Noto Avola, Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini; D47 Augusta Melilli; D48 Siracusa Priolo Gargallo, Floridia, Solarino, Cani- cattini Bagni, Sortino, Palazzolo Acreide, Buscemi, Cassaro, Ferla, Buccheri; D49 Lentini Carlentini, Francofonte. Provincia di Trapani D50 Trapani Paceco, Favignana, Erice, Valderice, S. Vito lo Capo, Custonaci, Buseto Palizzolo; D51 Pantelleria D52 Marsala Petrosino; D53 Mazara del Vallo Salemi, Vita, Gibellina; D54 Castelvetrano Campobello di Mazara, S. Ninfa, Poggioreale, Salaparuta, Partanna; D55 Alcamo Castellammare del Golfo, Calatafimi.
7.5. Il protocollo operativo tra Assessorato degli enti locali e Assessorato della sanità
Entro 60 giorni dall'approvazione del piano di indirizzo "Verso il piano socio-sanitario", verrà istituito un coordinamento permanente tra gli Assessorati regionali degli enti locali e della sanità, attraverso la sottoscrizione di un protocollo d'intesa che garantirà l'assunzione di un processo permanente di cooperazione e condivisione di programmi operativi. Questo livello dello strumento, a carattere politico, fungerà da "focal point" per ogni attività di promozione e verifica dell'indirizzo socio-sanitario e coordinerà, di fatto, ogni organismo a carattere locale e territoriale che, nel quadro complessivo, si troverà a svolgere ruoli analoghi e competenze settoriali. Lo stesso protocollo dovrà definire, entro 30 giorni dalla istituzione del coordinamento, un secondo livello di competenza, di tipo tecnico e con indirizzo operativo che, attraverso un regolamento procedurale attuativo avrà il compito di definire i tempi e i modi delle fasi organizzative e procedurali. In accordo con la sanità, questo livello tecnico-operativo potrà essere ricoperto, con le necessarie integrazioni, dalla Conferenza regionale socio-sanitaria.
La commissione che provvederà alla redazione del protocollo e del regolamento procedurale sarà istituita con atto congiunto dagli Assessori regionali degli enti locali e della sanità.
7.6. Gli organismi di garanzia
Per rafforzare i processi d'integrazione, sia a livello di strutture di governo e di indirizzo, che nella redazione dei piani di zona e per conferire alla progettazione e alla programmazione degli interventi una più puntuale identificazione con l'ambito del distretto socio-sanitario di competenza, fungendo da terminali territoriali di rete del "Coordinamento regionale degli enti locali e della sanità", si costituiscono i "comitati di garanzia", con sede in ciascuna Azienda unità sanitaria locale, composti dagli assessori provinciali ai servizi sociali e dai direttori delle Aziende unità sanitarie locali. Tali organismi opereranno in stretta connessione con le conferenze dei sindaci, previste dalla riforma sanitaria quale livello provinciale di competenza, oltre che dal decreto legislativo n. 502/92 e con i comitati dei sindaci di distretto.
Nell'ambito del regolamento procedurale attuativo relativo al coordinamento degli enti locali e della sanità, verranno definite le modalità operative e organizzative del comitato di garanzia.
Cap. 8
PIANI DI ZONA
8.1. Il sistema dei servizi sociali
Il piano di zona, di norma adottato attraverso accordo di programma, ai sensi dell'art. 34 del d.lgs n.267/2000, è volto a:
- favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando in particolare le risorse locali di solidarietà e di auto-aiuto, nonché a responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi;
- qualificare la spesa, attivando risorse, anche finanziarie, derivate da forme di concertazione;
- definire criteri di ripartizione della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende sanitarie e degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche risorse vincolate al raggiungimento di particolari obiettivi;
- prevedere iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori finalizzate a realizzare progetti di sviluppo dei servizi.
La predisposizione del piano di zona, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 328/2000, assume un significato strategico ai fini della precisazione delle condizioni da garantire su tutto il territorio. In tale contesto, vanno valorizzate le esperienze realizzate sia in occasione dell'attuazione della legge n. 285/97, sia nei casi di predisposizione di documenti analoghi, laddove previsti dalle normative regionali.
In particolare, pare utile richiamare alcuni aspetti generali in grado di qualificare il processo di pianificazione:
- il processo non deve essere visto in termini meramente amministrativi (e di adempimento formale), ma deve prevedere l'attivazione di azioni responsabilizzanti, concertative, comunicative che coinvolgano tutti i soggetti in grado di dare apporti nelle diverse fasi progettuali;
- l'attenzione va concentrata, in primo luogo, sui bisogni e sulle opportunità da garantire e, solo in secondo luogo, sul sistema di interventi e servizi da porre in essere;
- devono essere valorizzati le risorse e i fattori propri e specifici di ogni comunità locale e di ogni ambito territoriale, al fine non solo di aumentare l'efficacia degli interventi, ma anche di favorire la crescita delle risorse presenti nelle singole realtà locali;
- particolare attenzione deve essere riservata, sin dalle prime fasi della programmazione, alle condizioni tecniche e metodologiche che consentano di effettuare (successivamente) valutazioni di processo e di esito;
- vanno puntualmente definite le responsabilità, individuando, negli "accordi di programma" gli organi e le modalità di gestione ed esplicitando le azioni da porre in essere nei confronti dei soggetti eventualmente inadempienti.
La predisposizione del piano di zona, che viene formulato tenendo conto dell'articolazione in distretti socio-sanitari, può essere strutturata nelle seguenti fasi metodologiche:
- la Regione approva il piano regionale degli interventi e dei servizi alla persona.
- il piano regionale degli interventi e dei servizi alla persona viene attuato, nell'ambito delle risorse disponibili, attraverso forme di intesa con i comuni interessati, con la partecipazione attiva delle Aziende di servizi alla persona, dei soggetti del terzo settore che partecipano anche con proprie risorse alla realizzazione dei servizi, nonché con la collaborazione dei soggetti di cui all'art. 1, comma 6, della legge n. 328/2000;
- il piano regionale degli interventi e dei servizi alla persona indica altresì le aree e le azioni prioritarie d'intervento, i criteri di verifica e di valutazione, al fine di assicurare la qualità e la realizzabilità degli obiettivi definiti, nonché la costituzione di una rete integrata di interventi sociali.
Azioni da considerare:
a) conoscenza, analisi e valutazione dei bisogni della popolazione;
b) individuazione, qualificazione e quantificazione delle risorse (istituzionali, organizzative umane e finanziarie) pubbliche, private, del terzo settore, disponibili e attivabili;
c) definizioni degli obiettivi e delle priorità cui finalizzare le risorse disponibili;
d) regolamentazione dei servizi e delle iniziative all'interno del territorio di competenza;
e) regolamentazione dei rapporti organizzativi ed economico-finanziari fra i diversi soggetti, quali accordi, deleghe, convenzioni e protocolli d'intesa.
Il piano di zona dei servizi alla persona viene adottato dal sindaco, qualora l'ambito territoriale dell'Azienda unità sanitaria locale coincida con quello del comune, nel caso delle città metropolitane, o dal sindaco del comune capo-fila del comitato dei sindaci del distretto socio-sanitario, sentiti, nei termini indicati dalla legge, dal piano sociale regionale e dalle linee di indirizzo, gli enti pubblici interessati e i soggetti di cui ai commi 4 e 5, art. 1, legge n. 328/2000.
Nel piano di zona dei servizi alla persona sono contenuti gli indirizzi programmatici relativi agli aspetti di rilevanza sociale per la formulazione del piano attuativo locale dell'Azienda unità sanitaria locale.
Il sindaco o il comitato dei sindaci approva il piano di zona dei servizi alla persona attraverso la forma dell'accordo di programma di cui all'art. 34 del decreto legislativo n. 267/2000.
Vigilanza e controllo sull'adozione dei piani di zona dei servizi alla persona
L'Assessorato degli enti locali, in caso di mancata definizione e presentazione, nei termini stabiliti dalla programmazione regionale, del piano di zona dei servizi alla persona agli uffici regionali, nomina in via sostitutiva un commissario ad acta.
L'Assessorato degli enti locali, attraverso la valutazione dei piani di zona dei servizi alla persona da parte dell'ufficio piano, esprime parere di congruità in ordine alla loro corrispondenza con la programmazione regionale.
8.2. Le regole: la qualità, livelli essenziali, l'accreditamento e livelli assistenziali
8.2.1. La qualità degli interventi e dei servizi socio-sanitari
La Regione Siciliana ha da tempo regolamentato in varie forme la qualità dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi.
In particolare, la verifica della sussistenza dei requisiti per l'erogazione dei servizi sociali è stata affidata, dall'art. 26 della legge 9 maggio 1986, n° 22, all'iscrizione ad apposito albo.
Nell'ambito sociale, lo sviluppo dal basso dell'iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato e delle imprese sociali si fonda da un lato sull'autonoma capacità dei soggetti di "fare qualità" e dall'altro su una visione condivisa degli elementi qualificanti dei servizi sociali. La concertazione, già ampiamente sperimentata per la programmazione dei servizi, è altrettanto importante per la valutazione e lo sviluppo di un sistema di qualità, che si basa su valori comuni, regole condivise e controlli imparziali.
Infine, le regole per la qualità che si vanno determinando in ambito pubblico riguardano per lo più i servizi sociali essenziali di cui l'ente locale è titolare e che sono definiti nei piani regionali.
Viceversa, finora, la Regione e gli enti locali non sono ancora intervenuti per regolare la qualità dei servizi che i cittadini e le famiglie acquistano direttamente e/o organizzano in proprio avvalendosi di personale non sempre inquadrato con contratti appropriati. In particolare, quando a questo personale viene affidata l'assistenza a domicilio di anziani con ridotta autonomia (diurna o continuativa) e l'assistenza educativa dei bambini (singoli o in gruppi), il servizio assume un carattere sociale che deve sottostare a principi di qualità, a tutela delle persone che ne usufruiscono. In tale contesto, devono essere avviate politiche che utilizzino incentivi mirati alle famiglie che acquistano servizi alla persona accreditati dal pubblico. Tale scelta, da un lato favorisce l'emersione del lavoro sommerso e, dall'altro, consente di affermare nel concreto che la qualità dei servizi è strettamente legata alla qualità del lavoro impiegato. Ciò implica una progettualità integrata fra i servizi per l'impiego, i servizi per la formazione professionale e i servizi alla persona.
Si tratta allora di costruire un "sistema di qualità sociale", inteso come insieme di regole, procedure, incentivi e controlli atti ad assicurare che gli interventi e i servizi sociali siano orientati alla qualità, in termini di adeguatezza ai bisogni, efficacia dei metodi e degli interventi, uso ottimale delle risorse impiegate, sinergie con servizi e risorse del territorio, valutazione dei risultati, apprendimento e miglioramento continuo.
A tal fine, la Regione si impegna a:
- individuare la tipologia dei servizi da includere nel sistema per la qualità sociale;
- promuovere sedi di concertazione sui principi generali ispiratori della qualità dei diversi interventi e servizi sociali, invitando tutti i soggetti interessati al sistema, enti pubblici, produttori privati, professionisti del sociale e rappresentanti dei cittadini fruitori dei servizi;
- definire le norme per l'autorizzazione al funzionamento e le norme per l'accreditamento, operando, ove possibile, l'accorpamento in un testo unico delle molteplici normative, procedure e adempimenti richiesti ai produttori di servizi;
- individuare i soggetti istituzionali, le metodologie e gli strumenti, atti a controllare l'applicazione delle norme in modo omogeneo sul territorio regionale, trasparente e imparziale;
- programmare e attuare piani di formazione e di incentivazione, ai fini di favorire e sostenere l'applicazione delle norme e diffondere una cultura della qualità sociale;
- adottare propri strumenti di valutazione della qualità dei servizi, del funzionamento e dell'impatto del sistema qualità.
8.2.2. Livelli essenziali
I livelli essenziali delle prestazioni sociali sono recepiti nel piano regionale dei servizi alla persona, che li caratterizza in termini di sistema di prestazioni e servizi sociali, idonei a garantire cittadinanza sociale e qualità di vita alle persone e alle famiglie, nonché pari opportunità e tutela ai soggetti più deboli.
Le misure, gli interventi e le prestazioni per l'erogazione dei livelli essenziali, che costituiscono le indicazioni prevalenti in ambito di piani di zona, sono in via prioritaria:
a) le misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito familiare;
b) le misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti, o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;
c) le misure di sostegno alle responsabilità familiari;
d) le misure per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare;
e) le misure di tutela dei diritti del minore,
f) le misure di sostegno alla donna in difficoltà;
g) gli interventi per la piena integrazione delle persone disabili;
h) le misure a favore del reinserimento lavorativo di persone con disagio sociale;
i) gli interventi per le persone anziane e disabili per favorirne la permanenza a domicilio;
j) le prestazioni integrate per contrastare le dipendenze patologiche;
k) l'informazione e la consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione di servizi e per promuovere iniziative di auto-mutuo aiuto.
I livelli delle prestazioni sociali sono definiti con riferimento ai seguenti criteri:
a) le risorse finanziarie definite nei piani di zona dei servizi alla persona;
b) gli standard di erogazione dei servizi sociali con riferimento ai bisogni della popolazione interessata;
c) gli indicatori di esito e di benessere sociale individuati nel piano regionale degli interventi e dei servizi alla persona.
8.2.3. Accreditamento
Nel corso degli ultimi anni, si è verificata una progressiva espansione dei servizi alla persona; comincia a crescere la spesa pubblica dedicata al sociale e cresce, in modo ancora poco visibile ma rilevante, la spesa privata delle famiglie sul fronte dei servizi educativi per i bambini, dell'assistenza per gli anziani non autosufficienti ed altri servizi alla persona.
La normativa di riferimento per le politiche sociali e per il terzo settore in Italia ha, di recente, registrato provvedimenti di portata storica come il decentramento amministrativo verso comuni e regioni ed il riconoscimento dei soggetti del terzo settore come protagonisti delle politiche sociali, della progettazione e della erogazione dei servizi. Le organizzazioni del terzo settore manifestano un elevato potenziale di sviluppo occupazionale soprattutto a causa della forte crescita dei bisogni di assistenza per alcune fasce di popolazione come gli anziani, i bambini, gli adolescenti, i disabili e cosi via. In molte circostanze, questi bisogni non rappresentano una vera e propria domanda di servizi, sia perché i potenziali consumatori di servizi non dispongono di redditi sufficienti e di una organizzazione capace di amplificare tali esigenze, sia perché l'offerta esistente è scarsa in termini quantitativi e insoddisfacente in termini qualitativi.
Il tema della riforma del welfare e del modo di concepire i servizi di natura socio-assistenziale erogati alle persone, alle famiglie ed in particolare agli indigenti è, inoltre, di centrale importanza anche con riferimento alle opportunità di sviluppo delle economie deboli e delle zone più svantaggiate del paese. In una realtà caratterizzata da elevati tassi di disoccupazione, più intensamente in alcune aree del Mezzogiorno, si avverte la debolezza sociale del "popolo" del terzo settore, spesso costituito da volontari, da lavoratori non tutelati dalle istituzioni e da precari, che trovano difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro ed a trovare una dimensione ed un ruolo. Il volontario viene impiegato anche in maniera non appropriata, come possibile protagonista di lavoro precario, sottopagato o in nero e senza alcuna possibilità di tutela.
Negli ultimi anni si è, infatti, assistito ad una crescita di attività informali e irregolari (svolte spesso anche da immigrati) anche nel settore dei servizi alla persona (assistenza ad anziani, bambini, disabili). In questo caso, non si tratta tanto di fare emergere imprese, ma piuttosto di indirizzare verso le imprese del terzo settore la domanda oggi soddisfatta da prestatori irregolari, agendo soprattutto sulla convenienza delle famiglie (es: deducibilità fiscale) ad orientare la domanda verso organizzazioni regolari. Da qui l'esigenza di ripensare in termini organizzativi e gestionali ad un Nuovo ruolo del settore sociale per l'erogazione di nuove tipologie di servizi. Si punta a promuovere la realizzazione di un sistema orientato all'efficacia ed alldei servizi erogati ed al soddisfacimento dei bisogni attesi dagli utenti.
Appare opportuno sottolineare come lo sviluppo del settore non profit comporti l'espansione e la diffusione dei valori che lo sostanziano, quali la solidarietà, la crescita sociale, la responsabilità civile. Si può affermare che un intervento in questo settore ha un raggio di azione tale da incidere oltre che sui profili occupazionali, sulla qualità della vita, sulla lotta contro la povertà e tale da concorrere a ridisegnare nuove condizioni di crescita e di partecipazione sociale.
Queste considerazioni, insieme alla consapevolezza del ruolo centrale del volontariato per le azioni positive nei confronti della collettività, con particolare riferimento ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione, conducono a ripensare l'organizzazione stessa dell'impresa sociale ed i percorsi formativi dei protagonisti dell'impresa stessa per consentire, da un lato, il miglioramento delle condizioni di lavoro delle imprese attive sul "sociale" e, dall'altro, di assicurare un'offerta sempre più qualificata. Si evidenzia, infatti, un elevato fabbisogno in termini di addetti determinato, per quanto riguarda le figure professionali tradizionali, dall'intenso turnover del personale operativo, e, con riguardo invece alle nuove figure professionali, indotto dal cambiamento in atto nel sistema del welfare e dalla necessità di garantirsi migliori compiti manageriali.
Per di più, un recente censimento Istat (Ricerche PIC Adapt - Istat; Servizio statistiche sulle istituzioni pubbliche e private, Roma 4 maggio 2001) sulle imprese no-profit, evidenzia come le unità iscritte ai registri regionali hanno segnato un incremento dell'80% dal 1995 al 1999 e la Sicilia, in particolare, è la Regione che ha mostrato il più alto tasso di crescita.
Si avverte, pertanto, la necessità di promuovere una maggiore qualità, flessibilizzazione e personalizzazione degli interventi formativi in grado di rimuovere gli ostacoli che incontrano i soggetti più deboli sia nella fruizione dei servizi sociali sia riguardo alle opportunità di lavoro.
Diventa necessario, allora, sperimentare delle innovazioni nei percorsi formativi, a livello di management e a livello relazionale: una politica di promozione volta, da un lato, ad ampliare sia l'offerta sia la domanda di servizi dei cittadini, delle famiglie e delle comunità locali, e, dall'altro, ad incentivare correttamente l'impegno a favore della sicurezza dei lavoratori ed a valorizzare tutte le esperienze dell'associazionismo, della cooperazione sociale, del volontariato, del precariato e della cittadinanza attiva in cui si articola il terzo settore. Quest'ultimo, caratterizzato dalla compresenza di elementi imprenditoriali e sociali, può dunque essere essenzialmente considerato come uno dei modi di produrre servizi sociali pensati e creati secondo le necessità degli utenti, e come migliore maniera di dare una risposta a bisogni sociali insoddisfatti.
In particolare, bisogna puntare l'attenzione sulla necessità di istituzionalizzare un sistema di prestazioni flessibili e diversificate, basate su progetti quanto più possibile personalizzati che puntino all'affermazione del diritto di inserimento sociale e siano capaci di promuovere l'inclusione a discapito dell'esclusione.
In questo contesto socio economico, si inserisce il programma di standardizzazione dei servizi, operazione con la quale si cerca di formare, qualificare e riqualificare le categorie di persone sopra descritte attraverso un "sistema di accreditamento" volto a garantire un livello di professionalità adeguato al raggiungimento di elevati standard (manageriali, tecnici e relazionali) di qualità.
Sembra dimostrato dall'esperienza di questi anni, che un sistema di qualità debba servire ad aumentare l'interesse e la stima sociale del grande pubblico nei confronti dei servizi alla persona, incentivare la capacità di scelta e di spesa delle famiglie. Tale sistema deve, inoltre, orientare la concorrenza verso livelli di eccellenza e non soltanto verso la contrazione dei costi; e, infine, sostenere la convenienza delle imprese a migliorare e diversificare l'offerta, coltivando un atteggiamento di ascolto costante delle esigenze dei clienti finali, incentivando, quindi, il miglioramento continuo.
La situazione attuale del privato-sociale è caratterizzata da rilevanti diversità influenzate da numerosi fattori: dimensioni, modalità organizzative, tipologie delle prestazioni, fonti dei dati, consapevolezza dei diritti-doveri degli operatori, aspettative dei cittadini, livelli culturali, carenze operative, ecc.
Le disomogeneità esistenti sono dovute a carenti criteri di pianificazione, di allocazione delle risorse, di gestione, di organizzazione, di formazione e aggiornamento.
Per correggere e migliorare questa situazione è necessario adottare una strategia di implementazione della qualità dei servizi che coinvolga con gradualità i responsabili, gli operatori, i cittadini-utenti, le organizzazioni del privato-sociale, sia negli aspetti manageriali sia in quelli tecnico-professionali e percettivi-relazionali.
L'implementazione di processi di miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni fornite è, infatti, divenuta oggi un'esigenza anche per il privato-sociale. L'avvio di azioni di miglioramento nel privato-sociale conduce ad un utilizzo più efficace ed efficiente delle risorse, che possono quindi essere reinvestite nell'aumento della quantità e della qualità delle prestazioni o dei servizi erogati.
E', infatti, necessario che si implementi un sistema di accreditamento del privato-sociale capace di mantenere viva una pluralità di fornitori di servizi qualificati, che competano sulla qualità piuttosto che sui costi. La procedura di accreditamento prevede la valutazione non solo dei pre-requisiti formali ma della qualità dei processi di lavoro che il fornitore mette in atto al proprio interno. Così, l'utente scegliendo autonomamente il servizio a cui rivolgersi sarà assistito e tutelato nel rapporto con il servizio.
Nel definire un sistema di accreditamento anche per il privato-sociale si investe sulle tre fondamentali dimensioni della qualità: organizzativo-manageriale, tecnico-professionale e percepita-relazionale, includendo la gestione delle risorse umane, dei progetti e la gestione economico-finanziaria. Queste fondamentali dimensioni della qualità devono essere tra loro strettamente interdipendenti, saldamente collegate ed operativamente integrate in una visione d'insieme.
E', infatti, importante mettere a punto una struttura di management adeguata al settore del privato-sociale e, partendo dall'individuazione dei soggetti responsabili dei compiti individuati, definire percorsi di accompagnamento per le imprese sociali che intendano aderire al sistema di accreditamento e certificazione. Ciò avverrà tramite attività di informazione, formazione e consulenza.
Si vogliono, pertanto, delineare nuovi modelli formativi rivolti alle figure dirigenziali, agli imprenditori sociali e ai soci delle cooperative sociali, secondo un nuovo modo di concepire il management sociale e il valore che l'economia sociale immette sul mercato, trasferendo dal sistema delle imprese economiche competenze in materia di management gestionale.
In tal modo, si intendono promuovere le capacità di cogliere ed interpretare i mutamenti in atto all'interno del settore sociale, consentendo l'individuazione di risposte progettuali funzionali ai bisogni sociali dei cittadini nei servizi. A questo livello sarà così possibile accrescere le competenze tecniche e procedurali degli operatori preposti allo svolgimento di attività di erogazione dei servizi sociali e di informazione, formazione, orientamento, consulenza, mediazione, a diretto contatto con l'utenza finale (front-office).
La strategia di intervento, oltre a raccogliere i dati riferiti alle situazioni di partenza, basilari per individuare i punti di debolezza (ma anche i punti di forza) da correggere, è finalizzata a:
1) sviluppare un'efficace attività di monitoraggio continuo per stabilire i livelli organizzativi, di performance, di percezione e di soddisfazione dei "clienti interni ed esterni" rispetto alle prestazioni erogate;
2) motivare e coinvolgere, in progress, un numero sempre maggiore di operatori sociali nella comprensione, nell'utilizzo e nella valutazione degli strumenti e metodi attraverso attività di formazione (in aula, nel posto di lavoro, ecc.) e di sperimentazione di attività di miglioramento;
3) implementare le più appropriate azioni correttive e di miglioramento che consentano l'acquisizione di una maggiore attenzione da parte degli operatori nelle loro prestazioni e una maggiore soddisfazione dei "clienti esterni ed interni" nei confronti della funzionalità e delle performance dei servizi.
Occorre prevedere, quindi, attività di monitoraggio e valutazione di aspetti connessi a:
1) soddisfazione dell'utenza e degli operatori;
2) aspetti organizzativo-gestionali, integrati da aspetti connessi alla qualità del servizio offerto.
Queste azioni saranno precedute da una ricerca di carattere quantitativo e qualitativo-previsionale, per approfondire la conoscenza circa il contesto su cui intervenire e da una attività relativa al bilancio delle competenze degli operatori interni al settore. La ricerca ed il bilancio delle competenze daranno seguito alla individuazione di standard (strutturali, di servizio, di management) che le imprese del privato-sociale dovranno possedere per l'accreditamento. Detti standard saranno inseriti in un manuale che definisce le linee guida per l'accreditamento.
8.2.4. Livelli assistenziali
Il metodo
Obiettivi di processo:
a) Fotografia dell'esistente e individuazione del problema
Sostenere l'analisi della domanda attraverso:
- dati statistici e anagrafici;
- liste dei soggetti da tutelare;
- analisi della normativa nazionale e regionale;
- documentazione e relazione dei servizi;
- altre fonti.
b) Definizione degli obiettivi e risultati attesi
Obiettivi di sistema: riguardano l'organizzazione dell'offerta, quali servizi e quali prestazioni vengono erogati, i volumi, i destinatari, i processi di erogazione, il sistema di documentazione e l'analisi dei costi:
- quantitativi (l'aumento delle risposte, dei servizi, la loro diversificazione, il mantenimento, la trasformazione, la riduzione);
- qualitativi (l'esplicazione dei vantaggi per i destinatari, la creazione di una rete interconnessa, un sistema informativo in rete, diffusione di un'adeguata informazione che raggiunga target specifici o interlocutori privilegiati);
- miglioramento dell'accesso (ubicazione vicina ai fruitori, eliminazione barriere architettoniche);
- migliorare l'efficienza (verificare l'esistenza di una contabilità analitica corretta, analisi dei costi unitari per intervento, analisi dei costi di servizio - tenendo conto dei costi fissi e variabili - il tutto sempre correlato ai benefici che i servizi apportano all'utenza);
- l'esistenza di risorse aggiuntive (fondi europei, fondi per lo sviluppo economico, sponsor);
- diminuzione delle liste di attesa;
- rilevazione dell'assenteismo degli operatori;
- strumenti per la rilevazione e l'analisi della soddisfazione dell'utenza (conoscenza del servizio, accesso, disponibilità, educazione, accoglienza competente, locali idonei, servizi relazionali efficienti);
- aggiornamento e riqualificazione professionale continua, integrata tra soggetti pubblici e privati;
- verifica dell'adeguamento del rispetto degli standard strutturali e operativi rispetto alla norma e alla domanda;
- rispetto della 626 (sicurezza sui luoghi di lavoro) e haccp (sicurezza alimentare);
- rispetto dei contratti di lavoro per il personale pubblico e privato retribuito;
- rispetto per i volontari delle norme assicurative.
c) Obiettivi di integrazione, secondo quattro differenti livelli
Istituzionale - I diversi soggetti istituzionali si danno regole condivise e formalmente recepite con protocolli d'intesa, accordi di programma, convenzioni. Occorre prevedere un sistema di offerta, una rete comune di servizi condivisa e co-finanziata con l'individuazione di un sistema di responsabilità precise, individuando percorsi amministrativi facilitanti l'attuazione dei programmi: approvazione di un regolamento interno. Approvazione di forme di verifica e valutazione periodica. Specificazione delle fonti di risorse messe in campo da ciascun attore.
Gestionale - Funzionamento dei diversi centri di responsabilità. Previsione di un ufficio di piano. Modalità di organizzazione dei fattori produttivi interni ed esterni, in gestione diretta o delegata. Modalità di integrazione su base negoziale e contrattuale. Verifica del fatto che i diversi soggetti trovino risposte gestionali unitarie con un percorso unitario e un unico punto di accesso ai servizi, verificando anche se l'utenza percepisce la globalità e l'unitarietà di quanto proposto o subisce la frammentazione delle risposte.
Professionale - Presenza e condivisione della metodologia di lavoro per progetti. Presenza di unità valutative multidisciplinari con la partecipazione di professionalità e di competenze diverse (in negativo il turn over eccessivo). Momenti formativi comuni. Certezza delle procedure (ostacolo dato dalla presenza di diverse culture professionali).
Comunitario - Percorsi di coinvolgimento formale, dall'inizio, del privato sociale e dei soggetti della comunità nelle diverse fasi (progettuale, operativo, valutativo). Messa in comune delle risorse professionali.
d) Indicatori
Per ogni obiettivo di processo occorre individuare gli indicatori specifici, essenziali per procedere alla valutazione.
Variabili da sviluppare:
- integrazione. Realizzazione di progetti con utilizzo sinergico delle risorse, norme e finanziamenti;
- partecipazione degli operatori coinvolti in prima persona nell'intero processo, alla programmazione e alla valutazione dei servizi;
- informazione, comunicazione, relazione, verticale ed orizzontale non solo nel servizio pubblico ma nella relazione tra pubblico e privato;
- personale. Flessibilità del lavoro (meccanismi di selezione del personale e della dirigenza, meccanismi di valutazione del personale e della dirigenza e meccanismi incentivanti e strumenti premianti).
e) La normativa per l'affidamento
Gli enti locali promuovono ed assicurano la partecipazione degli organismi di terzo settore e delle IPAB sia nella fase della progettazione che in quella successiva dell'attuazione, ricorrendo a forme di aggiudicazione dei servizi che coinvolgano gli stessi soggetti nelle procedure di definizione dei bisogni e nella ricerca di metodologie di intervento, secondo criteri che privilegino la qualità, l'esperienza, la territorialità, la professionalità.
In particolare all'affidamento in convenzione dei servizi, gli enti locali dovranno procedere ai sensi delle disposizioni regionali a trattativa privata, compreso l'affidamento diretto, in favore di enti ed organismi senza scopo di lucro, sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa sotto l'aspetto qualitativo ed economico, con prevalenza per il primo, tenendo conto della legge 1 marzo 2002, n. 39, art. 53, in sostituzione del comma 6 dell'art. 23 del D.L. n. 157/95 e in abrogazione del DPCM 27 febbraio 1997, n. 116. Fa ulteriore riferimento la direttiva comunitaria n. 97/52/CEE, recepita dal D.L. 25 febbraio 2000, n. 65.
Non si esclude il ricorso all'appalto concorso (gara ristretta) o alla co-progettazione (art. 26 del decreto legislativo n. 157/95), soprattutto in relazione ad interventi innovativi e sperimentali.
Riguardo ai rapporti tra ente locale e terzo settore, fanno fede la legge n. 328/2000, in particolare l'art. 5, il collegato D.P.C.M. 30 marzo 2001 contenente "atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona, artt. 5 e 6 (privilegiare ove possibile e nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione e di libera concorrenza, procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate). In ossequio al disposto dell'art. 7 del D.P.C.M. 30 marzo 2001, i comuni possono indire, in maniera motivata, istruttorie pubbliche per la co-progettazione di interventi innovativi e sperimentali, su cui chiedono agli organismi del terzo settore di esprimere disponibilità a collaborare e che escludono - una volta scelto il progetto migliore, mediante apposite commissioni di valutazione - ulteriori forme di gara.
Tenendo conto dell'approvazione della legge regionale 2 agosto 2002, n. 7 "Norme in materia di opere pubbliche. Disciplina degli appalti di lavori pubblici, di fornitura, di servizi e nei settori esclusi" la Regione Siciliana, in raccordo con la VI commissione legislativa dell'Assemblea regionale siciliana, si impegna a presentare un disegno di legge in materia.
8.3. Gli strumenti (monitoraggio, qualità, valutazione, analisi dati)
La Regione Siciliana ha l'obiettivo di qualificare il processo di definizione del sistema integrato delle politiche e dei servizi socio-sanitari, organizzato all'interno del piano socio-sanitario. Intende, dunque, attivare tutti gli strumenti tesi a completare e rafforzare il programma di assistenza e di supporto coordinato mediante la "cabina di regia", predisposta presso l'Assessorato degli enti locali. Con questo fine, la Regione si fa promotrice di sottoscrivere protocolli d'intesa e/o convenzioni con l'ISTAT regionale, le università siciliane, associazioni, consorzi, enti, raggruppamenti che assicurino le opportune qualifiche professionali e capacità progettuali nella predisposizione di iniziative e sistemi di monitoraggio, certificazione della qualità, valutazione e analisi dei dati, percorsi formativi e informativi, funzionali al miglioramento dei piani regionali e di zona.
8.4. Gli organismi per il governo dell'integrazione
Non si attua una riforma senza la ricerca sistematica dei punti d'incontro che permettano alle parti una proficua condivisione delle fasi e degli obiettivi programmatici. La scommessa si gioca soprattutto a livello distrettuale perché è lì che si determinano le scelte dei cittadini e che si sintetizzano le analisi di sviluppo delle comunità. Il completamento di questo processo facilita la definizione di un sistema regionale integrato, quello che nella sua evoluzione definitiva abbiamo indicato come il piano socio-sanitario della Regione, perché lo stesso viene sostenuto dall'accertamento di una cultura territoriale effettiva.
Pertanto, il programma delle attività territoriali deve indicare organicamente le attività del distretto, prevedendo la localizzazione dei servizi e determinando le risorse per l'integrazione socio-sanitaria. Non bisogna correre l'errore di creare due percorsi paralleli di governo locale, l'uno per le politiche sanitarie, l'altro per quelle socio-assistenziali, pur se collegandoli fra loro attraverso strumenti di concertazione e di verifica; in primo luogo perché lo strumento politico di coordinamento esiste già, definito a livello regionale (protocollo d'intesa enti locali - Sanità e conferenza regionale socio-sanitaria) e provinciale (Comitato provinciale di garanzia - Conferenza dei sindaci), che insieme rappresentano il sistema di riferimento per l'indirizzo socio-sanitario. Ma soprattutto perché è a livello territoriale che occorre superare, con la dovuta gradualità, la logica dei "compartimenti stagni" o degli "accordi di facciata", per comunicare nel migliore dei modi i vantaggi, in termini di sviluppo e di risorse, raggiungibili attraverso una seria politica di integrazione e di cooperazione e che non possono affermarsi se non con il concorso, il più ampio e funzionale possibile, di tutti i livelli d'incontro. A livello distrettuale il punto di coincidenza tra sanità e politiche sociali dovrà sostanzializzarsi attraverso il Comitato dei sindaci del distretto socio-sanitario, dove convergeranno le competenze degli enti locali associati a livello distrettuale e le Aziende unità sanitarie locali.
8.5. La cabina di regia regionale
La Regione intende affrontare l'impegno triennale per giungere alla redazione del piano socio-sanitario valorizzando il proprio ruolo di coordinatore centrale delle azioni e di ente di indirizzo, garantendo lo sviluppo di un welfare delle responsabilità ma anche proponendo un modello innovativo di Governance.
Reputa che il dialogo sociale e la concertazione siano strumenti imprescindibili di democrazia e che gli stessi, nell'ottica del raggiungimento di obiettivi che coinvolgono l'intera comunità, vadano rafforzati attraverso strategie di rete e modalità di accesso e di governo che non possono lasciare nulla al caso.
Pertanto ritiene opportuno promuovere la costituzione di una "cabina di regia" a livello regionale per garantire al processo di avviamento e di consolidamento dell'impianto progettuale, nel corso del triennio definito "sperimentale", un indirizzo operativo e una costante verifica degli stati di avanzamento che permetta di valorizzare tutte le risorse disponibili.
La cabina di regia ha sede presso l'Assessorato regionale degli enti locali ed è presieduta dall'Assessore; ne fanno parte funzionari e/o consulenti indicati dall'Assessore per gli enti locali, funzionari indicati dall'Assessore per la sanità e dalla Presidenza della Regione, nonché rappresentanti dell'ANCI, ANCI Federsanità e URPS.
La cabina di regia organizza il tavolo di concertazione regionale, che rappresenta il luogo di confronto e decisione sul piano politico-istituzionale con i diversi livelli istituzionali e i vari soggetti sociali e si avvale del supporto dell'ufficio di piano, che rappresenta la commissione tecnica per le attività di accompagnamento e assistenza.
"Essa potrà essere integrata:
- allorquando si tratteranno temi di carattere ordinatorio e valutativo (oppure riguardanti le politiche e le competenze sindacali), da un rappresentante per ciascuna delle organizzazioni sindacali regionali maggiormente rappresentative, di rilievo nazionale;
- allorquando si tratteranno temi riguardanti le politiche del territorio e di decentramento amministrativo, da un rappresentante dell'ASAEL, dell'ASACEL e della lega delle autonomie locali.
Tali rappresentanze potranno esprimere, in seno alla cabina di regia, un parere consultivo.
La cabina di regia e la struttura tecnica di sostegno hanno durata triennale e, comunque, sono strettamente connessi alle fasi di avviamento che precedono la definizione del piano regolatore regionale.
8.6. Il supporto all'avviamento
La struttura operativa di supporto alla fase di avviamento del piano socio-sanitario della Regione Siciliana e di sostegno alla redazione dei piani di zona, è coordinata dalla cabina di regia regionale e si avvale del seguente sistema organizzativo territoriale:
Ufficio piano
- competenza: commissione tecnica per l'accompagnamento e l'assistenza;
- livello: regionale;
- sede: 1;
Segreteria tecnica
- competenza: tavolo di coordinamento provinciale;
- livello: provinciale e città metropolitane;
- sedi: 9+3 (le 9 province + le 3 città metropolitane, Palermo, Catania e Messina);
Gruppo piano
- competenza: tavolo di coordinamento distrettuale;
- livello: ambiti territoriali/distretti socio-sanitari;
- sedi: 52 (4).
L'orientamento operativo.
L'attività di supporto si avvale dei seguenti strumenti:
- laboratori distrettuali di co-progettazione;
- focus group con gruppi di operatori pubblici e soggetti del terzo settore.
La fase di orientamento al sistema integrato viene diretta in particolare verso i seguenti ambiti:
- l'integrazione socio sanitaria dei servizi e degli interventi;
- piani e budget di distretto: la logica operativa sovra-comunale;
- l'informazione sociale;
- monitoraggio del sistema sociale territoriale;
- modalità del sistema di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini (ISE) e degli enti locali;
- la revisione dei profili professionali impegnati nel sociale;
- la ridefinizione del sistema organizzativo dei servizi sociali.
La Regione promuove progetti-obiettivo a carattere sperimentale e per il trasferimento delle buone pratiche secondo la logica dell'integrazione e della valorizzazione del sistema.
8.7. Schema piani di zona
Questo schema rappresenta una sintesi delle procedure di indirizzo strategico. Ad integrazione delle stesse, verrà prodotto, a cura della "cabina di regia", in particolare "dell'ufficio piano", un "indice ragionato dei piani", con indirizzo tecnico-operativo, entro 30 giorni dall'emanazione delle linee guida.
Ambiti territoriali
- comuni e Azienda unità sanitaria locale di riferimento del distretto socio-sanitario (elenco/tabelle nel capitolo "ambiti territoriali");
- città metropolitane e Azienda unità sanitaria locale di riferimento (Palermo, Catania e Messina).
Tavoli di concertazione per i piani di zona
- enti locali;
- Azienda unità sanitaria locale;
- organismi pubblici e privati qualificati a livello locale e distrettuale;
- struttura di supporto regionale;
- gruppo piano (distrettuale);
- segreteria tecnica (provinciale e città metropolitane).
Cap. 9
POLITICA DELLA SPESA
La legge n. 328 dell'8 novembre 2000, per la realizzazione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, prevede un sistema di finanziamento plurimo delle politiche sociali cui concorrono, in base a competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci, gli enti locali, le Regioni e lo Stato, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.
Le regioni, in attuazione della legge 8 novembre 2000, n. 328, provvedono alla ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato per obiettivi ed interventi di settore, nonché in forma sussidiaria, a cofinanziare interventi e servizi sociali.
Le spese da sostenere da parte dei comuni e delle Regioni sono a carico, sulla base dei Piani regionali e dei piani di zona di cui agli artt. 18 e 19 della citata legge n. 328/2000, delle risorse loro assegnate dal Fondo nazionale per le politiche sociali nonché degli autonomi stanziamenti a carico dei propri bilanci e delle risorse del territorio.
L'art. 20 della più volte citata legge n. 328/2000, prevede il potenziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali, con risorse aggiuntive indistinte che servono a finanziare il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e prevede che il Ministro competente adotti un decreto di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale sulla base delle linee contenute nel Piano nazionale e dei parametri di cui all'art. 18, comma 3, lett. n), basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulle condizioni occupazionali della popolazione.
L'innovazione introdotta con l'ampliamento del Fondo nazionale per le politiche sociali impone la definizione ex novo di un meccanismo di allocazione delle risorse, fra i settori di intervento e fra aree territoriali (popolazione), che tenga conto dei bisogni complessivi delle diverse realtà geografiche, degli obiettivi prioritari definiti dalla programmazione nazionale e locale e dei livelli essenziali di assistenza.
Ed è proprio l'art. 3 della legge regionale n. 22/86, sul riordino dei servizi socio assistenziali in Sicilia, che anticipa i livelli essenziali di assistenza indicati all'art. 22 della legge n. 328/2000.
Con il sistema di finanziamento delle politiche sociali, si evidenzia, in entrambe le leggi, un collegamento tra livelli di assistenza e risorse economiche nazionali e regionali.
La legge n. 328/2000 dispone, infatti, al comma 4 dell'art. 4 che il Fondo nazionale delle politiche sociali sia finalizzato a sostenere le priorità del piano nazionale ed i piani di zona. Anche la legge regionale n. 22/86, all'art. 44 prevede che il finanziamento regionale sia finalizzato al raggiungimento degli obiettivi del piano regionale, attraverso un sistema di servizi socio-assistenziali finalizzati a garantire ai cittadini che ne hanno titolo, interventi adeguati alle esigenze delle persone.
Si può osservare, pertanto, che entrambe le leggi fissano i seguenti principi:
- i comuni, titolari delle funzioni in materia di servizi sociali (art. 6, legge n. 328/2000) provvedono in via prioritaria alla spesa sociale;
- lo Stato e la Regione concorrono a sostenere, in via sussidiaria, la spesa sociale per obiettivi qualificati (livelli essenziali) e per lo sviluppo delle reti di servizi sociali in ambiti territoriali definiti;
- i principi di sussidiarietà (verticale e orizzontale), di solidarietà personale, familiare ed organizzativa, di responsabilità condivise (welfare community) e di universalità delle prestazioni e dell'utenza, cardini della legge n. 328/2000, sono riscontrabili nelle politiche sociali dell'isola, pur nei limiti delle modeste risorse del bilancio regionale, e della capacità di spesa degli enti locali;
- l'impianto fondamentale della legge n. 328/2000, basato sui principi di riforma economico/sociale, trova immediata applicazione anche in Sicilia, perché gli stessi principi sono presenti nell'intero quadro normativo regionale fatta salva la necessità di un parziale ed esteso adeguamento per una risposta omogenea e coerente dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto delle prerogative costituzionali attribuite allo Statuto siciliano.
Per la Regione Siciliana, inoltre, come precisato al paragrafo V delle presenti linee giuda, l'ambito territoriale "ottimale" per la gestione dei servizi essenziali e per le attività complesse di carattere sovracomunale è il distretto socio sanitario (coincidente con i distretti sanitari) che provvede alla programmazione della rete sociale e socio sanitaria.
Alla luce di quanto sopra esposto, con le disponibilità del Fondo nazionale delle politiche sociali anno 2001, si intende avviare una strategia di finanziamento che sia finalizzata a promuovere e qualificare la spesa, a livello di distretto socio-sanitario, sulla base dei seguenti criteri:
- riequilibrio territoriale dei servizi garantendo in tutti gli ambiti un livello essenziale di finanziamento che tenga conto delle problematiche sociali e socio-sanitarie;
- superamento delle modalità di finanziamento per gestione corrente a favore di modalità finalizzate alla progettualità e alla promozione del benessere sociale;
- attuazione del sistema di finanziamento per livelli essenziali e per progetti zonali;
- responsabilizzazione degli enti locali e delle Aziende sanitarie locali nell'uso delle risorse e nella documentazione del loro utilizzo in relazione ai livelli essenziali di assistenza socio-sanitaria.
Gli obiettivi, pertanto, che il piano socio-sanitario regionale intende perseguire sono:
- superamento del finanziamento per prestazioni consolidate e settoriali;
- finanziamento dei piani di zona;
- utilizzo di quota percentuale delle risorse disponibili per azioni innovative di sviluppo e sostegno dell'attuazione del piano socio-sanitario regionale.
9.1. Risorse indistinte
Le risorse indistinte del Fondo nazionale delle politiche sociali, anni 2001-2003, destinate all'avvio del sistema integrato dei servizi sono quantificate nella seguente tabella A:
Tabella A
RISORSE INDISTINTE PROVENIENTI DAL FONDO NAZIONALE PER LE POLITICHE SOCIALI
(ANNI 2001-2003)
Riferimento normativo - Oggetto - Anno Importi Euro Legge n. 328/2000, risorse indistinte, 2001 43.133.806 Legge n. 328/2000, risorse indistinte, 2002 42.408.760 Legge n. 328/2000, risorse indistinte, 2002 42.408.760 Totale 127.951.326
Le risorse indistinte statali (tabella A) sono attribuite, per l'avvio di servizi distrettuali e sovradistrettuali, nel modo seguente:
1) una quota pari al 63% delle risorse indistinte è attribuita ai 55 distretti socio-sanitari per il finanziamento dei piani di zona. Tale quota, che è da considerare quale risorsa finanziaria sussidiaria ai fondi già stanziati dagli enti locali, è finalizzata al potenziamento degli interventi in atto e all'organizzazione dei servizi per l'erogazione di prestazioni sociali e socio-sanitarie ricomprese nei livelli essenziali e nelle priorità del piano socio-sanitario regionale;
2) una quota pari al 20% delle risorse indistinte è attribuita ai distretti socio-sanitari per il finanziamento di progettualità, distrettuali e sovradistrettuali, finalizzate alla sperimentazione di modalità innovative che garantiscano i livelli essenziali di assistenza, le priorità delle "Linee guida di indirizzo", propedeutiche alla definizione del piano socio-sanitario regionale ed una reale integrazione socio-sanitaria;
3) l'ulteriore quota del 17% delle risorse indistinte resta nella disponibilità dell'Assessorato regionale degli enti locali per il finanziamento di sperimentazioni mirate:
a) a consolidare, a livello istituzionale, gestionale e professionale, la cultura socio-sanitaria;
b) a incentivare lo scambio di buone prassi che garantiscano la gestione unitaria dei servizi alle persone, a livello distrettuale e sovradistrettuale e l'impegno finanziario degli enti locali (quote di cofinanziamento) nella realizzazione dei piani di zona;
c) a riequilibrare i piani di zona laddove i criteri di spesa utilizzati, nella programmazione zonale, non riescano a garantire i livelli essenziali di assistenza;
d) alla realizzazione di un sistema informativo a livello regionale, con il diretto coinvolgimento delle province e delle aree metropolitane, che garantisca la raccolta e gestione delle informazioni, la valutazione della qualità e dell'efficacia degli interventi;
e) all'avviamento e supporto tecnico della rete a livello regionale e distrettuale;
f) alla formazione e all'informazione.
E' importante sottolineare il carattere innovativo contenuto nel metodo di ripartizione delle risorse indistinte, sintetizzabile nei seguenti punti:
- adozione del criterio di partecipazione alla spesa sociale;
- formulazione del bilancio distrettuale, comunicante con l'analogo strumento sanitario per l'ottimizzazione delle spese per servizi;
- regolamentazione e disciplina dell'organizzazione delle voci di bilancio, strettamente connesse al programma contenuto nei piani di zona;
- creazione di un sistema di verifica della distribuzione delle risorse e di controllo dei risultati ottenuti;
- assistenza permanente, a partire dalla fase di avviamento, a tutti i livelli di gestione.
Inoltre, l'utilizzo di risorse (17%) da parte della Regione, da destinare al sostegno degli interventi prioritari e innovativi e a garanzia della realizzazione di un sistema dotato degli opportuni strumenti di gestione e di organizzazione del territorio, è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di integrazione socio-sanitaria, di informatizzazione e di formazione permanente, alla base di ogni programma di sviluppo e di crescita.
Tabella B
SCHEMA GENERALE DI RIPARTO DELLE RISORSE INDISTINTE DEL FONDO NAZIONALE DELLE POLITICHE SOCIALI
(ANNO 2001-2003)
Riferimento Tipo intervento Destinatari % Importi normativo F.N.P.S. Piani di zona Distretti so- cio sanitari 63% 80.609.335 F.N.P.S. Progetti Distretti so- cio sanitari 20% 25.590.265 F.N.P.S. Sperimentazioni e Regione - As- sistemi, gestione, sessorato de- avviamento e sup- gli enti lo- porto tecnico della cali rete 17% (*) 21.751.726 Totale 127.951.326 (*) Della quota del 17% attribuita alla Regione sono destinate nella misura di: - 1.084.560 (fondi 2001) all'avviamento e supporto tecnico della rete a livello regionale; - 1.000.000 (fondi 2002 e 2003) supporto tecnico della rete a livello regio- le; - 160.000 annui all'attività di comunicazione e informazione, mirata alla diffusione della conoscenza del sistema di governo e delle procedure d'ac- cesso al sistema integrato dei servizi, a livello distrettuale.
Le risorse indistinte destinate al finanziamento dei piani di zona sono assegnate, nei limiti del budget attribuito al singolo distretto socio-sanitario, al comune capofila.
9.2. Risorse finalizzate
Le risorse finalizzate statali sono destinate alla programmazione e progettazione di interventi, a livello di distretto socio-sanitario, in base ai criteri ed alle finalità di cui alle norme statali di settore e norme e direttive regionali di riferimento.
Viene mantenuta temporaneamente la specificità, relativamente agli ambiti territoriali, per gli interventi di cui alla legge n. 285/97, triennio 2000-2002.
9.3. Triennio 2001-2003
Le risorse del Fondo nazionale delle politiche sociali, anni 2001-2002, sono destinate ad avviare concretamente il processo di riforma e ad implementare il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e socio-sanitari. Tale finanziamento si colloca dunque in una fase di passaggio tra il sistema regionale, attualmente regolato dalla legge regionale n. 22/86, ed il nuovo sistema che sarà definito compiutamente dal piano socio-sanitario regionale.
La transitorietà della situazione impone comunque di finalizzare l'utilizzo delle risorse alla realizzazione degli obiettivi indicati dalla legge, dalla pianificazione nazionale e dagli indirizzi regionali e a definire il profilo finanziario complessivo sia a livello regionale che a livello di ogni singolo distretto socio-sanitario, per il triennio 2001-2003.
9.4. Criteri di riparto
Il finanziamento destinato ai distretti socio-sanitari è assegnato in proporzione diretta alla popolazione residente (dati Istat, anno precedente). Si riserva, a favore delle isole, una quota pari all'1% sulla disponibilità complessiva delle risorse, visto che le realtà insulari, per la propria collocazione geografica, incontrano maggiori difficoltà rispetto agli altri territori della Regione.
Tale scelta è motivata dalla considerazione che gli indicatori demografici presentano alcune importanti caratteristiche che ne facilitano (e/o ne giustificano) l'impiego:
- sono disponibili in modo sistematico e, a livello territoriale, disaggregato;
- sono comprensibili e semplici da utilizzare.
Altri indicatori, quali ad esempio quelli di reddito e di occupazione, risultano, per contro, meno oggettivi, incompleti e spesso inesistenti o indisponibili a livello territoriale.
Tuttavia, seppur coi limiti indicati, in questa fase iniziale l'utilizzazione di tali indicatori presuppone l'avvio di un indirizzo che nel tempo dovrà tendere ad una lettura più esaustiva della complessità dei bisogni espressi nel territorio.
9.5. Risorse regionali
Le risorse regionali finalizzate anni 2000-2002, a sostegno della spesa sociale sono descritte nella seguente tabella:
E' interessante osservare il trend di crescita costante, relativo agli anni 2000, 2001 e 2002, delle risorse investite dalla Regione nelle spese socio-sanitarie e che deve essere accompagnato, secondo i programmi del Governo e gli indirizzi del Piano regionale, da un processo di valorizzazione e di ottimizzazione dei coefficienti di rendimento sociale della spesa.
9.6. Cofinanziamento enti locali
Lo Stato e la Regione concorrono a sostenere, in via sussidiaria, la spesa sociale per obiettivi qualificati (livelli essenziali) e per lo sviluppo delle reti di servizi sociali nei distretti socio-sanitari.
Occorre sostenere, a livello di distretto socio-sanitario, un piano d'incremento della spesa sociale, da avviare già con il bilancio 2002, in modo da avere una dotazione finanziaria adeguata alla complessità e all'ampiezza dei bisogni e della domanda sociale.
E' stabilita la quota di cofinanziamento a carico degli enti locali, anno 2002, in una somma non inferiore a 3 per abitante.
9.7. Bilancio di distretto
Il piano socio-sanitario regionale si propone di integrare il sistema sociale con quello sanitario, a partire dalla realizzazione dei "distretti socio-sanitari", composti dai servizi sociali degli enti locali e dalle Aziende sanitarie locali, cui affidare un ruolo chiave nell'analisi dei bisogni e delle domande sul territorio e nella organizzazione delle risposte evitando sprechi e sovrapposizioni d'interventi. I distretti socio-sanitari devono diventare il perno dell'integrazione e della programmazione sociale e socio-sanitaria territoriale. L'integrazione tra sociale e sanitario è di assoluta necessità per costruire una efficace rete di interventi e deve riguardare tutti i livelli istituzionali e avere conseguenze pratiche sul piano gestionale, organizzativo e professionale.
Strumento innovativo e strategico dell'integrazione socio-sanitaria, teso a qualificare e garantire unitarietà al processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste dal programma delle attività territoriali (di cui all'art. 3 quater del decreto legislativo n. 229/99) e dal piano di zona (di cui all'art. 19 della legge n. 328/2000), è il bilancio di distretto che dovrà accompagnare l'accordo di programma di approvazione del piano di zona.
Tale documento, quale piano finanziario e di attività a livello di distretto socio-sanitario, è di competenza del comitato dei sindaci di distretto (vedi cap. II, par. 11) e dovrà contenere il quadro complessivo:
- delle risorse e dei servizi, degli enti locali e delle Aziende sanitarie locali, destinati ai livelli essenziali di assistenza e alle priorità del piano di indirizzo "Verso il piano socio-sanitario regionale";
- delle risorse indistinte e finalizzate del F.N.P.S. assegnate ai distretti socio-sanitari;
- delle risorse provenienti dal bilancio regionale;
- delle risorse provenienti dai fondi comunitari.
Il bilancio di distretto è sottoscritto dai sindaci del distretto socio-sanitario e dal direttore del distretto sanitario.
9.8. Fondo regionale per le politiche sociali
L'esigenza di una gestione, programmazione e controllo dei finanziamenti di provenienza statale e di una razionale distribuzione delle risorse regionali, iscritte nel bilancio e rispondenti alle esigenze delle "voci storiche" destinate alle aree sociali di competenza sia dell'Assessorato degli enti locali che di altri Assessorati regionali, porta inevitabilmente all'istituzione, a partire dall'anno 2003, del Fondo regionale per le politiche sociali.
Tale scelta si propone di porre le basi per una concreta e complessiva programmazione degli interventi e rappresenta una svolta significativa rispetto alla visione frammentaria, discontinua e settoriale del finanziamento delle politiche sociali attuato sino ad oggi.
Nel Fondo regionale per le politiche sociali confluiscono le risorse destinate dallo Stato (Fondo nazionale per le politiche socia li), le risorse regionali (stanziamenti del bilancio regionale) ed eventuali risorse provenienti da altri soggetti ed enti.
Tenendo conto degli stanziamenti attuali e delle dovute proiezioni, nell'anno 2003 il Fondo regionale per le politiche sociali potrebbe avere la seguente dotazione:
Tabella D
FONDO REGIONALE POLITICHE SOCIALI
PREVISIONE ANNO 2003
Risorse indistinte F.N.P.S. .............. 42.408.760 Risorse finalizzate F.N.P.S. ............. 28.453.340 Risorse bilancio regionale ............... 28.381.792 Totale ........ 99.243.892
L'innovazione introdotta con l'istituzione del Fondo regionale impone la definizione ex novo un meccanismo di allocazione delle risorse, fra settori di intervento e fra aree territoriali, che tenga conto dell'esigenza prioritaria di:
- evitare sovrapposizioni nel finanziamento di specifici settori o programmi di intervento (art. 20, comma 5, lett. a, della legge n. 328/2000);
- garantire opportune integrazioni ai settori e ai programmi di intervento che, pur beneficiando di risorse assicurate da specifiche leggi di settore, accedono al Fondo regionale, nel rispetto degli equilibri generali e compatibilmente con le disponibilità complessive;
- sostenere l'integrazione fra programmi di intervento e fra enti locali, favorendo la realizzazione di reti di servizi.
9.9. Procedure e verifica della spesa
La procedura complessiva di finanziamento, a regime di piano approvato, è così sintetizzata:
- entro il 30 giugno di ciascun anno sono individuate dalla Regione le risorse da assegnare ai distretti socio-sanitari;
- in prima applicazione delle presenti linee guida di indirizzo, gli ambiti territoriali predispongono i piani di zona entro 60 giorni dall'approvazione dell'indice ragionato dei piani di zona" (Linee guida tecniche);
- annualmente sono previsti aggiornamenti degli stessi piani, in base all'attività svolta, alle risorse impegnate ed ai risultati raggiunti, entro il 28 febbraio di ciascun anno;
- al termine di ciascun esercizio finanziario, i comuni capofila di distretti socio-sanitari predispongono una relazione che valuta l'andamento della domanda e dell'offerta, la spesa e i risultati degli interventi attivati.
La Regione Siciliana, attraverso il sistema informativo sociale provvede ad azioni di controllo sull'utilizzo dei finanziamenti e in particolare a valutare i piani finanziari e di attività, predisposti dai distretti socio-sanitari, la capacità di gestione e di spesa.
Cap. 10
GLI STRUMENTI PER MIGLIORARE IL SISTEMA DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI
10.1. La formazione permanente
Lo sviluppo delle politiche sociali e la nuova centralità che le stesse vanno assumendo nelle pratiche di Governo, a tutti i livelli, nonché il sempre maggior peso che l'economia sociale occupa nelle strategie di accesso al mondo del lavoro e alla nuova occupazione, richiedono un approccio più professionale e qualificato del personale operante, sia a livello dirigenziale e/o manageriale, che nell'ambito specialistico.
Occorre, dunque, promuovere percorsi di formazione, di aggiornamento e di riqualificazione professionale, rivolti a tutti gli operatori sociali, sia pubblici che privati, sia utilizzando i fondi regionali compresi in Agenda 2000, Fondo sociale europeo, sia attraverso la pratica dei seminari tematici e dei workshop, fruibili anche per via informatica.
Al contempo non bisogna trascurare l'esigenza di supportare tecnicamente il personale della Regione e degli enti locali che verrà coinvolto nel processo di avviamento del piano regolatore e per il quale verranno predisposti, attraverso l'azione di cabina di regia prevista dalla Regione e con l'insediamento dell'ufficio piano, adeguati progetti formativi, per i quali sarà possibile coinvolgere enti, agenzie, università, consorzi di formazione di elevato livello qualitativo e professionale, nelle forme previste dalla normativa vigente.
10.2. Il sistema informativo regionale
Il sistema informativo permanente, oltre a raccogliere i dati statistici sulla realtà dello svantaggio nelle sue diverse articolazioni, darà spazio al vissuto, all'esperienza, alle analisi e alle proposte dei singoli e dei gruppi svantaggiati.
I punti di vista, le valutazioni e le strategie proposte dai beneficiari finali saranno oggetto di attenzione, almeno quanto quelli degli esperti.
Il sistema informativo regionale si muoverà su due livelli di competenza:
- livello informatico, per le azioni di banca dati, rilevamento, monitoraggio e analisi dei risultati;
- livello di comunicazione sociale, per la diffusione e la condivisione delle informazioni.
La Regione intende promuovere la costituzione di una commissione specifica, che comprenda l'Istat regionale e le università della Regione per realizzare un sistema informativo compatibile con le esigenze del territorio e funzionale agli obiettivi indicati dalla legge n. 328/2000.
10.3. La carta dei servizi
La carta dei servizi sociali, intesa e realizzata come "carta per la cittadinanza sociale", non si limita a regolamentare l'accesso ai servizi riproducendo la logica dei soggetti erogatori, ma si concentra sulle persone che hanno bisogno di accedere ai servizi. In tal senso la carta dei servizi sociali viene a caratterizzarsi come percorso progettuale finalizzato a conseguire gli obiettivi di promozione della cittadinanza attiva e consapevole nella popolazione, nelle istituzioni e nei servizi. Il termine "cittadinanza" si collega strettamente ai diritti che ogni persona ritiene le debbano essere riconosciuti nella vita quotidiana e nelle situazioni di bisogno. La logica dei diritti sociali nella carta per la cittadinanza si collega strettamente con la logica dei doveri o meglio ancora dell'incontro tra diritti e doveri sociali.
Con riferimento ai contenuti, la carta dovrà prevedere:
- le condizioni per un patto di cittadinanza sociale a livello locale;
- i percorsi e le opportunità sociali disponibili;
- la mappa delle risorse istituzionali e sociali;
- i livelli essenziali di assistenza previsti;
- gli standard di qualità da rispettare;
- le modalità di partecipazione dei cittadini;
- le forme di tutela dei diritti, in particolare dei soggetti deboli;
- gli impegni e i programmi di miglioramento;
- le regole da applicare in caso di mancato rispetto degli standard.
Ogni distretto socio-sanitario, in quanto responsabile dell'offerta dei servizi sociali, deve adottare una propria "carta", nella quale saranno riflessi i suoi orientamenti e le sue possibilità. Al fine di favorire una certa omogeneità, è opportuno che le carte abbiano un "pacchetto" di contenuti comuni, come sopra individuati.
Di particolare rilevanza è il processo di costruzione delle carte. In primo luogo esso costituisce una preziosa occasione di coinvolgimento della comunità, con la quale potranno essere confrontati i principi cui si ispirano le strategie di offerta e negoziati gli standard di qualità e le sanzioni in caso di mancato rispetto.
10.4. Gli albi
La Regione istituisce una commissione per regolamentare i criteri e le modalità per l'iscrizione e la tenuta:
- del registro regionale delle organizzazioni di volontariato;
- del registro regionale delle associazioni di promozione sociale;
- dell'albo regionale delle cooperative sociali e dei loro consorzi;
- dell'albo delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti.
I registri e gli albi di cui sopra possono essere articolati in sezioni distrettuali o provinciali.
10.5. Il personale dei servizi sociali
I numerosi specialisti e studiosi dei diversi gruppi di svantaggio, relativi ai vari tipi di handicap, ai fenomeni migratori, alla devianza legale, agli anziani, all'infanzia, alla tossicodipendenza, etc., di volta in volta saranno chiamati a dare il loro contributo di psicologi, gerontologi, criminologi, antropologi, sociologi, economisti, giuristi, etc. etc.
Ma i protagonisti chiave saranno le figure professionali mirate a far funzionare i distretti socio-sanitari e le stesse province come agenzie di sviluppo territoriali mirate alla sostenibilità sociale.
Saranno cioè agenti di sviluppo locale con piena padronanza delle varie problematiche ma anche di tutta la strumentazione istituzionale mirata allo sviluppo locale.
Essi opereranno con metodo maieutico, in rapporto con tutti gli attori pubblici e privati e con gli stessi svantaggiati sia per la elaborazione di programmi e progetti locali destinati a gruppi specifici di svantaggio o trasversali, sia di livello comunale, distrettuale e provinciale.
Il ruolo degli agenti di sviluppo sarà, inoltre, quello di promuovere e far funzionare tutti gli strumenti di governo operativo ai vari livelli: comunale, distrettuale, provinciale.
A questo scopo occorrerà sviluppare un massiccio lavoro di orientamento e formazione di assistenti sociali, assistenti sociali specialisti, sociologi e altri laureati vocati, sia interni alle istituzioni locali e provinciali, sia presenti nei soggetti del terzo settore, sia giovani laureati da impiegare ex novo.
10.6. I nuovi profili professionali
L'attuale sistema di integrazione dei servizi, soprattutto nell'area socio-sanitaria, evidenzia le difficoltà tanto dell'area sociale quanto delle professioni sociali, a contenere la prevalenza delle altre aree e professioni chiamate ad integrarsi. Esempio evidente è la tendenza ad accentuare il percorso sanitario nell'assistenza alle persone anziane, in cui le professioni assistenziali appaiono in crisi perché schiacciate su condizioni operative sempre più di stampo sanitario. Riequilibrare questa tendenza è possibile se da un lato si riassegna una nuova centralità alla figura socio-assistenziale, collocandola all'interno della rete dei servizi a sostegno delle fragilità della persona, attraverso la predisposizione di politiche formative che comprendano gli indirizzi integrativi.
L'attuale quadro delle professioni socio-assistenziali appare profondamente demotivato. La professionalità dell'area è rappresentata da due figure: l'assistente sociale e l'assistente sociale specialista, le quali danno origine a profili professionali assai ampi, con il rischio di scadere nella genericità e con l'aggravio di non poter rappresentare per gli stessi addetti, alcun percorso di carriera.
Occorre, pertanto:
- ricollocare la centralità dell'operatore sociale, attraverso la ridefinizione dei profili professionali;
- incentivare l'emersione delle professioni sommerse;
- definire i profili professionali anche in funzione di percorsi di carriera;
- migliorare il coordinamento e l'integrazione degli strumenti formativi.
La Regione, attraverso il monitoraggio dell'attuazione dei piani di zona, definisce la domanda di professionalità e il fabbisogno di nuove competenze quali:
- l'implementazione dei servizi;
- i processi di lavoro all'interno di ogni tipologia di servizio;
- le competenze richieste da ciascun servizio.
La programmazione regionale si coordina con la disciplina universitaria relativa ai profili professionali per i quali è richiesto il diploma universitario.
Una volta individuati i profili professionali relativi alle competenze richieste, si attivano, nelle forme di legge, i relativi percorsi formativi.
Vedi Decr. Ass. Famiglia 26 settembre 2003: "Linee guida di indirizzo per la presentazione di proposte progettuali da finanziare nell'ambito del Sistema informativo regionale integrato socio-sanitario ed approvazione del piano di riparto delle disponibilità finanziarie, anni 2001-2002".