Norma - quotidiano d'informazione giuridica - DBI s.r.l.

ASSESSORATO DEGLI ENTI LOCALI

CIRCOLARE 13 aprile 2001, n. 2

G.U.R.S. 4 maggio 2001, n. 20

Legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30. Norme sull'ordinamento degli enti locali. Innovazioni della precedente legge regionale 16 dicembre 2000, n. 25.

Alle Amministrazioni comunali

Alle Province regionali

Alle Sezioni del CO.RE.CO

e, p.c.

Alla Presidenza della Regione

Al Commissario dello Stato per la Regione Siciliana

Al Ministero dell'Interno - Direzione generale

dell'amministrazione civile

Alle Prefetture dell'Isola

All'Unione regionale delle province siciliane

All'ANCI - Sicilia

Premessa

I percorsi legislativi in tema di riforma delle autonomie locali e quindi di ordinamento istituzionale afferente sono diversi a livello nazionale e a livello regionale e si sintetizzano nel modo che segue.

A livello nazionale vanno richiamate precipuamente le disposizioni della legge 8 giugno 1990, n. 142, della legge 25 marzo 1993, n. 81, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 e successive modifiche, della legge 15 marzo 1997, n. 127, con le modifiche della legge 16 giugno 1998, n. 191, della legge 30 aprile 1999, n. 120, della legge 3 agosto 1999, n. 265 e infine del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, relativo al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che ricomprende, in particolare, anche le disposizioni relative alle elezioni amministrative.

Trovano richiamo in dette normative le disposizioni dei decreti legislativi di attuazione delle legge 23 ottobre 1991 (N.d.R. recte: 1992), n. 421 e 15 maggio 1997, n. 59 (cfr. decreti legislativi 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modifiche, 31 marzo 1998, n. 80 e successive modifiche, e 30 luglio 1999, n. 286).

A livello regionale, in esplicazione della competenza in tema di regime degli enti locali degli artt. 14 e 15 dello Statuto siciliano e, quindi, si rileva, di un diverso assetto locale, si richiamano, avendo riguardo all'ordinamento amministrativo degli enti locali approvato con la legge 15 marzo 1963, n. 16 e successive modifiche, oltre le anticipatrici leggi di riforma 6 marzo 1986, n. 9, e 9 maggio 1986, n. 22, le leggi n. 44 e n. 48 del 3 e dell'11 dicembre 1991, 26 agosto 1992, n. 7, 1 settembre 1993, n. 26, 20 agosto 1994, n. 32, 5 luglio 1997, n. 23, 15 settembre 1997, n. 35, 7 settembre 1998, n. 23, e le leggi in esame n. 30 del 23 dicembre 2000 e n. 25 del 16 dicembre 2000.

In particolare, le citate leggi regionali nn. 23/98 e 30/2000 introducono le innovazioni ordinamentali contenute nelle leggi nazionali citate nn. 127/97 e 265/99.

Sull'applicazione in Sicilia della legge n. 265/99 si richiama la circolare di questo Assessorato n. 2 del 3 marzo 2000 e si delucidano di seguito le innovazioni che vengono introdotte con le disposizioni della legge regionale n. 30/2000 e della legge regionale n. 25/2000.

Potere statutario e regolamentare

L'art. 1, comma 2, specifica la tipologia delle leggi (c.d. legislazione per principi), l'incidenza delle medesime sulle disposizioni statutarie e regolamentari (abrogazione norme incompatibili) ed il termine per l'adeguamento relativo da parte dei comuni e delle province (120 giorni dall'entrata in vigore della legge).

L'art. 2 conferma a livello regionale l'esercizio delle funzioni degli enti locali secondo il principio di sussidiarietà. Si citano in merito, in tema di conferimento di funzioni della Regione agli enti locali, per ultimo, le disposizioni del titolo IV della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10, che riaffermano la valenza (cfr. art. 33 di detta legge) della programmazione economico - sociale e della pianificazione territoriale delle province regionali, secondo gli artt. 9, 10, 11 e 12 della legge regionale n. 9/86 e successive modifiche.

Sul piano procedurale, rispetto a quanto disciplinato dalla legge regionale n. 48/91 e si fa espresso riferimento alla conservazione del procedimento di formazione dello statuto della provincia regionale secondo il capo 1 del titolo V della legge regionale n. 9/86 e all'introdotto e modificato art. 4 della legge n. 142/90, viene introdotta soltanto la novità che lo statuto del comune e della provincia regionale entra in vigore decorsi 30 giorni dalla sua affissione all'albo pretorio dell'ente (art. 1, comma 3). Restano non modificati le procedure di adozione della normativa, i controlli e la pubblicazione (anche nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Resta, altresì, confermata per le modifiche statutarie eguale procedura per l'adozione della normativa.

In ordine ai contenuti degli statuti e dei regolamenti (obbligo modifiche ed integrazioni entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge), vanno richiamati:

a) il comma 2 dell'art. 1 della legge per quanto concerne le attribuzioni degli organi, riferito ad un diverso assetto delle competenze intervenuto a livello legislativo e con i limiti conseguenti, le prerogative delle minoranze nella sede del controllo politico - amministrativo disciplinato dall'introdotto e non modificato art. 32, comma 1, della legge n. 142/90 e l'ordinamento degli uffici e dei servizi, con richiamo sia dell'intervenuta legislazione in tema di competenze che dei canoni e dell'indirizzo che le giunte devono osservare in sede di adozione dei regolamenti relativi.

Con la sostituzione effettuata del comma 2 dell'introdotto art. 4 della legge n. 142/90, in tema di ordinamento degli uffici e dei servizi, non viene superata la competenza regolamentare riconosciuta alle giunte con l'art. 2 della legge regionale n. 23/98, ma soltanto riaffermata la valenza delle disposizioni statutarie nel settore. Eguale richiamo statutario, in tema di determinazione delle dotazioni organiche e di organizzazione e gestione del personale, è contenuto nel successivo art. 7 della legge (aggiunzione del comma 01 all'introdotto art. 51 della legge n. 142/90, che evidenzia anche i limiti finanziari per detta organizzazione);

b) l'art. 2 della legge con riferimento al principio di sussidiarietà accennato;

c) l'art. 3 della legge per quanto concerne le modifiche dell'introdotto art. 6 della legge n. 142/90 (Partecipazione popolare). Il riferimento è, con richiamo anche del precedente art. 2, alla valorizzazione della partecipazione popolare nel governo locale, al richiamo espresso della legge sul procedimento amministrativo (legge regionale 30 aprile 1991, n. 10), e, in particolare, alla possibilità di altri tipi di referendum, quindi non soltanto consultivi, ma anche propositivi ed abrogativi. In ordine alla rilevanza di referendum abrogativo, come effettiva misura incidente di partecipazione popolare, vanno richiamati sia la circolare assessoriale citata n. 2/2000 che l'obbligo per i consigli comunali di valutare gli apporti nella materia, nella sede di formazione e di modifica dello statuto, consentiti ai cittadini singoli ed associati dall'introdotto e modificato art. 4 della legge n. 142/90. Nella sede regolamentare locale trova esplicazione, in tema di diritto di accesso, quanto disciplinato in modo più compiuto dall'art. 4 della legge;

d) l'art. 6, comma 1, della legge per quanto concerne:

1) il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi fissati dallo statuto, disciplinato dal regolamento approvato a maggioranza assoluta dei suoi componenti in carica dal consiglio del comune e della provincia regionale, "che prevede, in particolare, le modalità per la convocazione, per la presentazione e la discussione delle proposte. Il regolamento indica altresì il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che nelle sedute di seconda convocazione debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente".

Ne consegue la delegificazione per quanto concerne le modalità di convocazione, per la presentazione e la discussione delle proposte, per il numero legale delle adunanze ed il quorum funzionale per l'adozione delle delibere. Pertanto, fino a quando non trovano applicazione le norme statutarie e regolamentari relative, continuano ad osservarsi le disposizioni degli artt. 48, 50, 138, 140 (Convocazione del consiglio comunale e della provincia regionale e pubblicazione dell'ordine del giorno), 183 (Computo del numero legale per la validità delle adunanze), 184 (Votazioni), 187 (Dichiarazione di voto e rettifica verbali) dell'O.R.E.L., dell'art. 30 della legge regionale n. 9/86 e successive modifiche (Numero legale), dell'art. 19, comma 3, della legge regionale n. 7/92 e dell'art. 26, comma 4, della legge regionale n. 9/86 e successive modifiche, in tema di formazione dell'ordine del giorno.

Al riguardo, si ritiene di evidenziare in particolare:

a) la determinazione di criteri generali nello statuto;

b) la possibilità di mutuare medesime regole delle consolidate norme di principio ordinamentali regionali accennate;

c) la necessità che le regole introdotte evitino incertezze nell'applicazione e quindi contenzioso;

d) l'individuazione di numero legale ordinario superiore al terzo dei consiglieri assegnati, riferendosi la soglia minima prescritta (1/3 dei consiglieri assegnati) al numero legale occorrente per seduta successiva (di seconda convocazione, di prosecuzione, o diversamente regolamentata). La successione delle sedute deve ovviamente rispettare tempi tecnici di informativa dell'ordine del giorno dei lavori e anche di variazione integrative dello stesso, a garanzia dei componenti dei collegi;

e) l'individuazione del quorum funzionale e delle modalità del computo degli astenuti. I soggetti che hanno l'obbligo di astenersi, come di seguito rimarcato, devono allontanarsi dall'adunanza;

f) l'osservanza del criterio generale di non aggravare le procedure nella sede rilevante dell'adozione degli atti fondamentali degli enti locali.

Non sono delegificate le disposizioni regionali in tema di prerogative dei consiglieri, dei sindaci e dei presidenti delle province in ordine all'iscrizione di affari all'ordine del giorno dei consigli nonché di partecipazione, senza diritto di voto, ai lavori consiliari di detti organi monocratici elettivi e degli assessori, di adempimenti di prima adunanza dei consigli e di elezione dei presidenti e dei vice presidenti di detti collegi (cfr. artt. 179, comma 1, dell'O.R.E.L., 19 e 20 della legge regionale n. 7/92 e 25, 26-bis e 27 della legge regionale n. 9/86).

Rimane in vigore l'art. 182 dell'O.R.E.L. in tema di pubblicità e di segretezza delle sedute, non riscontrandosi, come regola, altra disposizione regionale, nonché il successivo art. 188 (Modifica e revoca delle deliberazioni).

Per le commissioni consiliari non si configura divieto per la pubblicità delle sedute. Si richiama, in merito, l'introdotto art. 31 della legge n. 142/90, che prevede anche forme di consultazione di rappresentanti degli interessi diffusi.

Eguale considerazione di vigenza si ritiene di effettuare per altre norme dell'O.R.E.L. (cfr. artt. 185 e 186) attinenti la materia, non avendo il legislatore regionale proceduto ad alcuna espressa abrogazione delle medesime e stabilito regole con riformulazione dell'introdotto e richiamato art. 31 della legge n. 142/90.

Invero, la legge regionale n. 30/2000, come le pregresse nn. 48/91, 7/92 e 23/98, diversamente da quanto operato dal legislatore nazionale, non prevede la necessaria ed espressa abrogazione di precedenti disposizioni, in particolare, in sede di delegificazione.

Per le adunanze dei consigli, infine, si richiamano, in tema di esposizione di bandiere, le disposizioni dell'art. 5 della recente legge regionale 4 gennaio 2000, n. 1;

2) la disciplina regolamentare, secondo anche indicazioni statutarie, dell'autonomia funzionale ed organizzativa dei consigli (come precedente legislativo si riscontra l'art. 20, comma 4, della legge regionale n. 7/92 e successive modifiche);

3) la regolamentazione dell'adeguata informazione dei gruppi consiliari e dei consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio, disciplina questa che va coordinata con l'obbligo della preventiva disponibilità degli atti sancito dal legislatore regionale già con l'art. 1 della legge regionale n. 48/91 in sede di introduzione dell'art. 31 della legge n. 142/90 (cfr. comma 5 di detto articolo);

4) la disciplina delegificata della decadenza dei consiglieri per la mancata partecipazione alle sedute. L'art. 173 dell'O.R.E.L. continua ad applicarsi per i consiglieri dei comuni e delle province regionali sino all'entrata in vigore della nuova disciplina statutaria e quindi regolamentare locale. La nuova disposizione non si riferisce ai componenti delle giunte;

5) l'eventuale modifica statutaria dell'incrementato numero massimo degli assessori (1/3 dei consiglieri assegnati, arrotondato aritmeticamente e, comunque, non superiore a 16 unità). Si rileva in merito:

a) il superamento delle pregresse disposizioni degli artt. 24 della legge regionale n. 7/92 (composizione delle giunte comunali) e 9 della legge regionale n. 35/97 (composizione delle giunte provinciali). E' da ritenere superato, dell'introdotto art. 33 della legge n. 142/90, anche il comma 3, per successiva disciplina legislativa dei requisiti degli assessori (cfr. artt. 12 e 32 delle leggi regionali nn. 7/92 e 9/86 e successive modifiche);

b) per i comuni da 5001 a 10.000 abitanti resta confermato il numero massimo di assessori di 6. Resta invero la disposizione speciale dell'art. 4 della precedente legge regionale n. 25/2000, che evita la riduzione degli assessori da 6 a 5;

c) l'arrotondamento aritmetico non è per eccesso, come specificato, di contro, in pregresse normative afferenti e non ricorre l'obbligo della composizione dispari delle giunte;

d) per l'attuazione della modifica statutaria l'indirizzo del C.G.A. (cfr. i pareri nn. 642/96, 451/97 e 901/99 e la circolare dell'Assessorato regionale degli enti locali del 20 febbraio 1997, n. 3) richiede specifica disciplina transitoria onde evitare il differimento di applicazione al periodo di carica successivo a quello di introduzione della variazione. Il recente parere del Consiglio di Stato - Sez. 1 n. 741/2000 del 26 luglio 2000, consente anche la disciplina statutaria della flessibilità del numero degli assessori, entro ovviamente il tetto massimo stabilito dalla legge;

6) gli artt. 12 e 13 della legge in tema di soppressione del parere di legittimità del segretario sulle delibere degli enti locali e di competenze contrattuali del responsabile del procedimento di spesa, con modifiche degli introdotti artt. 53 e 56 della legge n. 142/90;

7) l'art. 6, comma 1, della legge, che sostituisce l'introdotto art. 23, comma 2, della legge n. 142/90, diversificando i profili gestionali dell'istituzione. Se ne riporta di seguito il testo:

"2. L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di personalità giuridica, di autonomia gestionale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale e provinciale".

Vanno ricordate in questa sede le variazioni statutarie e regolamentari conseguenti alle modifiche già apportate sulle competenze delle giunte, dei dirigenti e dei funzionari apicali con la legge regionale n. 23/98 (cfr. in merito la circolare dell'Assessorato n. 2 del 29 gennaio 1999).

Va richiamato, altresì, l'art. 56 della legge regionale n. 26/93, che sancisce l'obbligo di inserimento negli statuti comunali e provinciali di norme che assicurino condizioni di pari opportunità tra uomo e donna secondo la legge 10 aprile 1991, n. 125, e la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia regionale, nonché negli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.

Assetto delle competenze

Assumono rilievo, al riguardo, in sede di definizione dell'attribuzione degli atti di indirizzo e di controllo distinta da quella degli atti di gestione, secondo le prescrizioni del decreto legislativo n. 29/93 e successive modifiche e nell'ambito delle disposizioni regionali ordinamentali emanate:

a) l'esplicazione statutaria e regolamentare conforme (cfr. il richiamato art. 1 della legge, che modifica l'introdotto art. 4, comma 2, della legge n. 142/90);

b) nella materia contrattuale la sottrazione alle giunte locali delle deliberazioni a contrattare con attribuzione di analoghe determinazioni ai responsabili dei procedimenti della spesa (dirigenti e funzionari apicali degli enti locali). Il riferimento è al menzionato art. 13 della legge, che modifica l'introdotto art. 56 della legge n. 142/90.

Al riguardo, va specificato con richiamo anche del parere del C.G.A. n. 1/2000, emesso nell'adunanza del 7 marzo 2000:

1) la cessazione delle deliberazioni a contrattare con l'entrata in vigore della legge in esame;

2) il riconoscimento degli incarichi di consulenza agli organi monocratici elettivi, non alle giunte, secondo il comma 7, primo periodo, dell'introdotto art. 51 della legge n. 142/90. Trattasi di atti che presuppongono apposita disciplina regolamentare ed il perseguimento di obiettivi di alta professionalità, non ottenibili all'interno dell'ente. In difetto di tali condizioni vanno inoltrate denunce alla procura della Corte dei conti per la verifica del danno arrecato;

3) il riconoscimento agli organi monocratici elettivi, rappresentanti dei comuni e delle province regionali e soggetti aventi competenza residuale generale, o alle giunte tramite gli statuti, della competenza in tema di azioni e di resistenze in giudizio;

4) la conservazione alle giunte degli incarichi di collaborazione professionale esterna, atti questi, come quelli delle consulenze, che comportano una verifica a livello organico dei presupposti di ricorso a professionalità esterne a supporto di uffici e servizi (riferimento, ad esempio, agli incarichi esterni di progettazione, di collaudo, nomina di legali esterni), qualora non ricorrano, ovviamente, condizioni di mera attuazione regolamentare o indirizzo espresso.

Eguale competenza delle giunte (atti di indirizzo) ricorre in materia di acquisti, alienazioni e permute immobiliari, non preceduti da atti di programmazione e di gestione generali, di altri atti sempre nella materia contrattuale che comportino espressione di indirizzo quali, ad esempio, i piani attuativi urbanistici che non implichino varianti agli strumenti generali (cfr., in merito, l'interpretazione autentica dell'art. 12 della legge regionale 31 maggio 1994, n. 17, che non riconosce la competenza in materia ai consigli) e l'approvazione dei progetti delle opere pubbliche. E' riconducibile ai dirigenti ed ai funzionari apicali l'approvazione dei progetti esecutivi soltanto in attuazione di progettazione preliminare e di massima (atti questi che esplicano indirizzo);

5) la permanenza dell'autorizzazione consiliare della lettera m) del comma 2 dell'art. 32 della legge n. 142/90, come sostituita dall'art. 78 della legge regionale 12 gennaio 1993, n. 10, avente anche configurazione regolamentare come previsto dall'art. 61 della legge regionale n. 26/93, non della peculiare competenza dei sindaci e dei presidenti delle province regionali in tema di ricorso a trattative private secondo l'art. 12 della legge regionale 4 gennaio 1996, n. 4 e successive modifiche. La diversa ascrizione a livello burocratico di detta competenza in tema di trattative private trova titolo nell'art. 8 della legge regionale 16 ottobre 1997, n. 39, che non configura i provvedimenti del rappresentante legale degli enti come atti extra ordinem (cfr. in materia la circolare dell'Assessorato n. 8 del 20 maggio 1999), nonché nel richiamato art. 13 della legge di che trattasi. Viene meno pertanto anche il supporto disciplinato del segretario, nell'osservanza dell'autonoma competenza in tema di atti di gestione.

Viene meno la competenza delle giunte in tema di cottimi secondo l'art. 38 della legge regionale 29 aprile 1985, n. 21 e successive modifiche (è egualmente superata la competenza organica in tema di interventi di urgenza), ma non quella in tema di affidamenti di servizi socio-assistenziali dell'art. 15 della medesima legge regionale n. 4/96, che deroga la competenza generale dei consigli in tema di scelte sull'affidamento dei servizi. I provvedimenti delle giunte si configurano come atti di indirizzo;

6) la confermata valenza, anche come atto di indirizzo, del piano esecutivo di gestione, nonché delle modifiche attivate.

Invero, secondo l'introdotto art. 51, comma 2, della legge n. 142/90, l'atto di indirizzo può essere espresso anche in modo specifico. Si richiamano, con riferimento anche alle transazioni, le disposizioni in tema di regolarizzazione delle spese e di riconoscimento di debiti fuori bilancio degli artt. 191, 193 e 194 del decreto legislativo n. 267/2000.

Non trovano applicazione, in quanto non recepite e per diverso assetto regionale delle competenze, le disposizioni dell'art. 53, comma 23, della legge n. 388 del 23 dicembre 2000 in tema di esercizio di competenze gestionali da parte degli assessori (nei comuni sino a 3000 abitanti);

c) in tema di personale, con richiamo delle competenze generali (atti di gestione e di amministrazione e quindi di assunzione) riconosciute ai dirigenti e ai funzionari apicali dall'introdotto e modificato art. 51, commi 3 e 3 bis, della legge n. 142/90, si rimarca che le competenze regolamentari delle giunte, in tema di ordinamento degli uffici e dei servizi e quindi di dotazioni organiche, non si estendono ai programmi delle assunzioni, in carenza di assegnazione di risorse stabilite dai consigli (cfr. introdotto art. 32, comma 2, lett. b e 1 della legge n. 142/90). Va evidenziato, altresì, in merito che i provvedimenti consiliari non possono riguardare aspetti, quali le figure professionali da assumere, per le quali esplicano la competenza in sede di formulazione di indirizzi generali alle giunte;

d) l'abolizione del parere di legittimità del segretario sulle delibere degli enti locali. Il riferimento è all'art. 12 della legge, che sostituisce il primo comma dell'introdotto art. 53 della legge n. 142/90. Si evidenzia, con richiamo di detto art. 53, che il parere del responsabile tecnico conserva ovviamente anche il profilo della legittimità della delibera oggetto di proposta.

Le competenze dei segretari, come già specificato nella circolare di questo Assessorato n. 2/99, sono quelle conseguenti al diverso assetto degli uffici e delle competenze statuito con l'art. 2 della legge regionale n. 23/98.

Rimane la distinzione delle funzioni del segretario da quelle del direttore generale e non si ritiene compatibile, nel disciplinato assetto degli uffici e dei servizi, una utilizzazione dei segretari per l'espletamento complementare di atti di gestione più rilevanti, che rimangono, di contro, riservati ai dirigenti ed ai funzionari apicali scelti. Eguali considerazioni si esprimono, sotto tale profilo gestionale, per i direttori generali. Quanto precede, oltre nell'osservanza del regime delle competenze e delle scelte riservate agli organi monocratici elettivi, per ovvie refluenze in tema di procedimenti amministrativi disciplinate dalla legge regionale citata n. 10/91, di responsabilità, di controlli e di riconoscimento di indennità. Con richiamo della citata circolare n. 2/99, si torna ad evidenziare la non configurabilità, sempre nell'ordinamento degli uffici e servizi oltre che preventivamente nello statuto, di avocazione di affari, di configurazione di ricorsi gerarchici impropri (aventi effetti analoghi alle avocazioni) e di deleghe, in concorrenza con le rituali supplenze;

e) per le materie oggetto di rinvio formale alla legislazione nazionale nel settore di che trattasi, la diretta applicazione, in tema di ordinamento contabile e finanziario degli enti locali, delle disposizioni contenute nella parte seconda del decreto legislativo n. 267/2000, rimanendo ferme le competenze (e le procedure) diversamente disciplinate dal legislatore regionale. Si richiamano le modifiche ultime apportate a detto testo unico con la legge 28 febbraio 2001, n. 26.

Per quanto concerne, invece, i rinvii formali dell'art. 47 della legge regionale n. 26/93 e dell'art. 2 della legge regionale n. 23/98, non sopperiscono le disposizioni relative del decreto legislativo n. 267/2000 (testo unico previsto dalla legge n. 265/99), ma trovano applicazione e riferimento quelle aggiornate delle introdotte disposizioni della legge n. 142/90. Invero, il criterio e l'impianto ordinamentale dell'art. 1 della legge regionale n. 48/91 vengono espressamente mantenuti ed osservati anche con la legge regionale n. 30/2000 in esame.

Va rilevato che il richiamo delle norme ordinamentali (disposizioni della legge n. 142/90) introdotte con l'art. 1 della legge regionale n. 48/91, va tecnicamente effettuato tenendo conto delle successive modifiche introdotte in particolare con le leggi regionali nn. 7/92, 26/93, 17/94, 32/94, 39/97, 23/98 e 31/98, non limitandosi quindi alle originarie norme introdotte con detta legge regionale n. 48/91.

f) l'art. 6, comma 3, della legge che prescrive la decadenza delle nomine fiduciarie demandate ai sindaci ed ai presidenti delle province regionali "nel momento della cessazione del mandato dei medesimi".

Sull'individuazione delle nomine fiduciarie e sull'applicazione della disposizione, con richiamo di specifica disciplina regionale nella materia, si riserva questo Assessorato l'emanazione di specifiche direttive, acquisito il parere richiesto al C.G.A..

Variazioni territoriali e di denominazione dei comuni

Gli artt. 8, 11 della legge, i quali non dispongono l'abrogazione delle pregresse disposizioni degli artt. 6, 11 dell'O.R.E.L., come modificate dalla legge regionale 17 febbraio 1987, n. 5, prevedono:

1) l'individuazione della tipologia delle variazioni territoriali dei comuni (art. 8, comma 1);

2) la prescrizione della previa consultazione referendaria per dette variazioni e per il cambio di denominazione dei comuni (art. 8, commi 1 e 2);

3) l'individuazione delle popolazioni interessate da consultare, nell'osservanza dell'art. 133 della Costituzione e secondo l'esegesi relativa, data, per ultimo, dalla Corte costituzionale con la sentenza 3-7 aprile 2000, n. 94, che richiama le precedenti in materia nn. 453/89 e 433/95 (art. 8, commi 3, 4 e 5);

4) per l'istituzione di nuovi comuni la prescrizione del requisito che la popolazione minima non sia inferiore a 5 mila abitanti e che la popolazione del comune o dei comuni di origine non scenda sotto tale limite (art. 8, comma 6);

5) per l'istituzione di nuovo comune, soltanto, l'altro requisito della validità del referendum subordinata alla votazione della metà più uno degli aventi diritto (art. 8, comma 7, e art. 11);

6) il ricorso alla legge per varare qualsiasi variazione territoriale dei comuni (art. 8, comma 1) e, in quanto manca specifica previsione diversa, per la variazione di denominazione dei comuni. Con la disciplina contenuta nell'art. 8, comma 1, della legge contrasta il successivo art. 11 della medesima.

Non è superato l'art. 11 dell'O.R.E.L. in tema di contestazione di confini;

7) nelle ipotesi che non riguardino l'istituzione di nuovo comune le variazioni territoriali possono comportare la diminuzione della popolazione del comune o dei comuni di origine sotto i 5 mila abitanti (art. 8, comma 6). Non si riscontra, al riguardo, specifica previsione legislativa (contraria);

8) la disciplina della consultazione referendaria rinviata a regolamento, da emanare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, e con approvazione con decreto del Presidente della Regione, su proposta dell'Assessore regionale per gli enti locali e previa deliberazione della Giunta regionale (art. 8, comma 8);

9) l'autorizzazione della consultazione referendaria da parte dell'Assessorato regionale degli enti locali (art. 10, comma 2). La Regione rimane pertanto estranea all'indizione ed all'organizzazione della consultazione referendaria di che trattasi;

10) la disciplina del potere di iniziativa dei procedimenti di variazione (art. 9) e del procedimento istruttorio (art. 10). Non si riscontra la disciplina del collegamento tra il procedimento amministrativo e quello legislativo;

11) con il richiamato art. 11 della legge, la disciplina della sistemazione dei rapporti finanziari e patrimoniali, scaturenti dalla variazione, in caso di esito positivo del referendum.

Status degli amministratori locali

Con gli artt. 15, 16, 18, 22 e 25 della legge viene in sostanza mutuata dalla legislazione nazionale (cfr. le disposizioni del capo IV del decreto legislativo n. 267/2000), senza rinvio formale alla medesima, la disciplina dello status degli amministratori locali, con alcune variazioni che di seguito si delucidano.

In sintesi, le disposizioni citate:

a) ribadiscono enunciazioni generali a tutela dei cittadini chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni locali, individuando i soggetti o amministratori interessati, tra i quali si annoverano anche i vice presidenti dei consigli comunali e provinciali (art. 15, comma 2);

b) dettano prescrizioni in tema di obbligo degli amministratori di astenersi "dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta tra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini sino al quarto grado".

Il riferimento è all'art. 16, comma 1, della legge, che enuncia prescrizioni già contenute negli artt. 176 dell'O.R.E.L. e 1 della legge regionale 10 agosto 1995, n. 57. Non è superato l'allontanamento dai lavori consiliari del soggetto che deve obbligatoriamente astenersi.

Si evidenziano nella materia le conseguenze e gli effetti sul piano giurisdizionale disciplinati dal comma 2 dell'art. 19 della legge n. 265/99 (oggi art. 78, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000).

Anche detta disposizione della legge, nel precisare che l'obbligo di astensione si riferisce "alla discussione e alla votazione" ne esclude la ricorrenza nell'ipotesi di partecipazione alle sedute di organo collegiale (diverso da quello di appartenenza) senza diritto di voto (riferimento alla partecipazione ai lavori consiliari del sindaco, del presidente della provincia e degli assessori);

c) prescrivono (art. 16, commi 2, 3 e 4) per i lavoratori chiamati ad esercitare dette cariche pubbliche, superando pregresse remore, misure più incidenti, nei modi e nei tempi, per rendere concreta l'applicazione del principio di priorità in tema di trasferimenti, non di comandi, alle sedi degli enti presso le quali espletano il mandato o ad esse più vicine. L'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio e quella presso la quale il medesimo chiede di essere trasferito possono non dar corso alla richiesta avanzata solo se la specifica mobilità risulta di grave pregiudizio per il regolare funzionamento del rispettivo ente.

Si evidenzia altresì che detta mobilità, collegata all'espletamento di mandato elettivo, si configura con motivazione prevalente rispetto ad altre eventuali esigenze.

Il diniego non motivato comporta l'esercizio dell'azione di vigilanza prevista;

d) ribadiscono la disciplina dell'istituto generale dell'aspettativa non retribuita (art. 18), prevedendo altresì, per determinati amministratori collocati in aspettativa non retribuita, a carico degli enti locali, il versamento degli oneri assistenziali, previdenziali ed assicurativi ai rispettivi istituti (art. 22). Si richiama, al riguardo, per quanto applicabile, la circolare dell'INPS - Direzione centrale delle entrate contributive n. 119 del 22 giugno 2000;

e) rinviano al regolamento regionale, non al decreto ministeriale (cfr. decreto 4 aprile 2000, n. 119, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 13 maggio 2000), con criteri prestabiliti, l'individuazione delle misure minime base per le indennità di funzione ed i gettoni di presenza (art. 19, commi 1, 2 e 6).

Per i presidenti ed i consiglieri circoscrizionali le misure si ritengono stabilite dalla legge e non anche dal regolamento regionale accennato (art. 19, commi 2 e 4).

Per le province regionali che ricomprendono aree metropolitane viene prevista, con disciplina rimessa al regolamento regionale, speciale indennità di funzione (art. 19, comma 1, lett. d);

f) legittimano i consigli e le giunte ad incrementare o diminuire le indennità di rispettiva competenza, con previsioni specifiche di limite o di divieto di incremento (art. 19, comma 5).

Non vengono ribadite, in relazione all'onere complessivo della spesa che comportano le disposizioni richiamate della legge nel settore, le condizioni finanziarie limite di contro prescritte nel citato comma 01 dell'art. 51 della legge n. 142/90 (cfr. artt. 7 e 19, comma 1, lett. b, della legge);

g) disciplinano le ipotesi di trasformazione dell'indennità di presenza in indennità di funzione, con rinvio a regolamento locale, di divieto e di cumulo delle indennità previste dalla legge (art. 19, commi 7, 8, 9 e 10);

h) stabiliscono la data di applicazione delle nuove misure delle indennità e cioè quella di entrata in vigore della legge (art. 19 comma 12);

i) ampliano, oltre le previsioni della normativa nazionale, le ipotesi di permessi degli amministratori (art. 20). Ciò rende necessario l'adozione di specifiche norme regolamentari che disciplinino il corretto uso dei permessi ed individuino i soggetti preposti alle attestazioni relative.

In particolare, con maggiori oneri per gli enti locali:

1) è esteso alle pubbliche amministrazioni (art. 20, comma 5), il rimborso della spesa relativa ai permessi (in antecedenza il rimborso era riferito al datori di lavoro privati ed ai soggetti pubblici economici). Non trova applicazione nella Regione, per l'accennato mancato rinvio formale deciso dal legislatore regionale, l'art. 2-bis della legge 28 febbraio 2001, n. 26, che reintroduce in tema di rimborso dei permessi retribuiti la pregressa disciplina contenuta nella legge n. 816/85;

2) il rimborso per l'intera giornata dei permessi dei consiglieri per la partecipazione alle sedute dei consigli dei comuni e delle province è esteso ai consiglieri circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 200 mila abitanti ed ai consiglieri per la partecipazione alle sedute delle commissioni consiliari dei comuni capoluogo di provincia e delle province regionali (art. 20, commi 1 e 2);

3) il rimborso dei permessi per il tempo necessario alla partecipazione delle adunanze dei collegi di appartenenza dei componenti delle giunte e delle commissioni consiliari è esteso ai componenti delle commissioni comunali previste dalla legge, delle conferenze di capi gruppo e degli organismi di pari opportunità (art. 20, comma 3);

4) il montante di 24 ore mensili di permessi, oltre quelli per la partecipazione alle sedute dei collegi di appartenenza, degli assessori comunali e provinciali e dei presidenti dei consigli comunali e provinciali è incrementato a 36 ore. Inoltre tale montante di 36 ore è esteso ai presidenti dei gruppi consiliari delle province regionali e dei comuni con popolazione superiore a 10 mila abitanti (art. 20, comma 4);

5) il montante di 48 ore mensili di permessi (che non riguarda si ribadisce la partecipazione ai collegi di appartenenza) dei sindaci dei comuni e dei presidenti delle province regionali è esteso ai presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30 mila abitanti (art. 20, comma 4);

6) il computo, per i permessi non estesi all'intera giornata, del tempo occorrente per la consultazione dell'ordine del giorno (art. 20, comma 3) e l'estensione dei permessi previsti dall'art. 20, commi 2 e 4, ai componenti degli organi esecutivi delle unioni dei comuni e dei consorzi tra enti locali;

l) introducono beneficio particolare (diritto di assentarsi dal servizio per la durata dei giorni della missione) per i consiglieri comunali e provinciali (art. 21, comma 2) e prevedono il rimborso delle spese di accesso degli amministratori alla sede degli enti senza limite territoriale (art. 21, comma 5). In antecedenza il limite disciplinato era quello del territorio provinciale;

m) prevedono l'estensione dei benefici della legge alla partecipazione dei rappresentanti degli enti locali alle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali (art. 21, comma 2);

n) prevedono a favore di individuati amministratori, che non siano lavoratori dipendenti, il pagamento di una cifra forfettaria annuale, versata per quote mensili e stabilita con decreto interassessoriale anziché interministeriale (art. 22, commi 1 e 2), nonché, per gli amministratori dipendenti, il rimborso al datore di lavoro di quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto entro il limite di 1/12 dell'indennità di carica annua da parte dell'ente e per l'eventuale residuo da parte dell'amministratore (art. 22, comma 3).

E' ribadita la disposizione (art. 22, comma 5) che prevede la possibilità degli enti locali di assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all'espletamento del mandato;

o) dettano infine disciplina transitoria per i componenti dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili (art. 25).

Si ribadisce che le nuove disposizioni nel settore trovano applicazione dalla data di entrata in vigore della legge in esame. E' differita (rinvio al regolamento regionale) soltanto la determinazione delle misure minime o di base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza e quindi la concreta attuazione afferente.

Come norma transitoria va richiamato l'art. 19, comma 3, della legge che prevede la facoltà di maggiorazione della percentuale relativa all'indennità di funzione degli assessori dei comuni capoluogo di provincia con popolazione inferiore a 50 mila abitanti dal 50% al 60% dell'attuale misura prevista per il sindaco.

Disposizioni varie

Non assumono particolare rilievo le disposizioni dell'art. 5 (il rinnovo del consiglio circoscrizionale rimane collegato a quello del rinnovo dell'elezione congiunta del sindaco e del consiglio comunale), dell'art. 6, comma 1, in tema di distintivo del presidente della provincia, essendo comunque applicabile la normativa nazionale, e dell'art. 17 della legge che individua, ove venga attivata verifica giudiziaria, in tema di ineleggibilità sopravvenuta e di incompatibilità di consiglieri e di organi monocratici elettivi locali, la data di decorrenza del termine di 10 giorni previsto per la eliminazione di dette cause di ineleggibilità e di incompatibilità.

L'art. 26 della legge prevede l'emanazione di testo coordinato in materia di ordinamento degli enti locali, restando ovviamente i limiti del potere normativo regionale nel settore.

Con richiamo anche di quanto previsto dall'art. 20, comma 3, della legge (per i componenti "di commissioni comunali previste per legge"), nonché della circolare dell'Assessorato regionale della cooperazione, del commercio, dell'artigianato e della pesca n. 10 del 20 ottobre 2000, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 51 del 10 novembre 2000, si evidenzia che la soppressione degli organi collegiali prevista dall'art. 41, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e riprodotta nell'art. 96 del decreto legislativo n. 267/2000, non trova applicazione in Sicilia. Si richiama in merito parere espresso dall'Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione, menzionato in detta circolare.

Invero, gli enti locali nell'ambito della propria autonomia, possono discrezionalmente effettuare l'individuazione degli organi collegiali indispensabili previste da norme statutarie o regolamentari, seguendo analoghe procedure (in relazione a soppressioni di organismi non utili) per non incorrere nella nullità degli atti secondo l'art. 188 dell'O.R.E.L., ma tale individuazione (e conseguente soppressione) trova il limite, in base ai principi generali sulla gerarchia delle fonti, di legge speciale relativa agli organi collegiali, per altro esplicazione di competenza legislativa esclusiva. Il riferimento particolare è alle commissioni comunali edilizie e di commercio.

Legge regionale 16 dicembre 2000, n. 25

La legge regionale n. 25/2000 contiene disposizioni in materia elettorale (artt. 1 e 3) e anche ordinamentali (art. 2).

Gli artt. 1 e 3 della legge prevedono:

1) l'elevazione del periodo di carica degli organi elettivi dei comuni e delle province regionali da 4 a 5 anni (art. 1, commi 1 e 2);

2) unico turno elettorale amministrativo, con sostituzione dell'art. 169 dell'OREL (art. 3);

3) il rinnovo degli organi elettivi in carica alla data di entrata in vigore della legge, che concludono il quadriennio di carica nel primo semestre, al primo semestre dell'anno successivo di scadenza (art. 1, comma 5: norma transitoria che eleva il periodo carica da 4 a 5 anni);

4) il rinnovo degli organi elettivi in carica alla data di entrata in vigore della legge, che concludono il quadriennio di carica nel secondo semestre, al primo semestre dell'anno successivo di scadenza (art. 1, comma 5: norma transitoria che eleva il periodo di carica da 4 anni a 4 anni e mezzo);

5) i rinvio del turno elettorale del primo semestre del corrente anno 2001, con applicazione quindi della legge in esame, al periodo 15 ottobre - 15 dicembre 2001 (art. 1, comma 4: norma straordinaria per evitare concomitanze tra elezioni politiche ed elezioni amministrative);

6) il rinnovo degli organi elettivi effettuatosi nel secondo semestre dell'anno 2000, secondo la normativa di regime del sostituito art. 169 dell'O.R.E.L. (art. 1, comma 5, e art. 3: periodo di carica 5 anni e mezzo).

L'art. 2, comma 1, della legge sostituisce l'art. 10 della legge n. 35/97, confermando la mozione di sfiducia come atto politico (cfr. ordinanza della Corte costituzionale 19 luglio 2000, n. 335), non collegandone la motivazione a diversa disciplina legata all'inottemperanza delle linee di governo locale e incrementando i quorum delle votazioni qualificate (da due terzi a quattro quinti per i comuni sino a 10 mila abitanti; dal 60 al 65 per cento per gli altri comuni e per le province regionali).

La parte iniziale del secondo periodo del comma 2 del sostituito art. 10 della legge regionale n. 35/97 prevede:

"Se la mozione è approvata ne consegue la cessazione dalla carica del sindaco e della giunta comunale e del presidente e della giunta provinciale e si procede...".

Nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 8 del 23 febbraio corrente anno tale periodo risulta rettificato nel modo che segue:

"Se la mozione è approvata ne consegue l'immediata cessazione degli organi del comune o delle provincie regionali e si procede...".

Per la gestione necessitata del comune e della provincia regionale, nell'ipotesi prospettata e sino all'insediamento del commissario straordinario, soccorre il ricorso alle disposizioni degli artt. 12, comma 11, della legge regionale n. 7/92 e 32, comma 15, della legge regionale n. 9/86 e successive modifiche.

La disposizione sostituita evidenzia inoltre che il provvedimento presidenziale (atto di certazione amministrativa. Si richiama il parere del C.G.A. n. 230/80 del 18 dicembre 1980), proposto dall'Assessore regionale per gli enti locali, si riferisce alla dichiarazione di anticipata cessazione degli organi elettivi del comune o della provincia regionale per mozione di sfiducia, con conseguente rinnovazione dell'elezione congiunta al primo turno elettorale utile.

L'art. 2, comma 2, sostituisce il comma 1 dell'art. 11 della legge regionale n. 35/97, conferma il rinnovo dell'elezione congiunta nelle ipotesi di cessazione dalla carica del sindaco e del presidente della provincia regionale (oltre che nell'ipotesi prevista dal precedente art. 10 della mozione di sfiducia) e innova nel lasciare in carica il consiglio sino alla data di effettuazione dell'elezione congiunta.

La presente circolare sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana.

L'Assessore: TURANO