REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luigi Antonio Rovelli - Primo Pres.te f.f. -
Dott. Massimo Oddo - Presidente Sezione -
Dott. Renato Rordorf - Presidente Sezione -
Dott. Sergio Di Amato - Consigliere Sezione -
Dott. Aurelio Cappabianca - Consigliere -
Dott. Vittorio Nobile - Consigliere -
Dott. Annamaria Ambrosio - Consigliere -
Dott. Pasquale D'ascola - Consigliere -
Dott. Raffaele Frasca - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 24707/2015
sul ricorso 26585-2008 proposto da:
L. S.c. ar.l., in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato Gherardo Maria Gismondi, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Palumbi, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
B. S. e F. M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 44, presso lo studio dell'avvocato Antonio Ferdinando De Simone, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati Rosa Lucente e Liliana Cirocco, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
nonché contro
A. ar.l.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 2221/2007 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 24 settembre 2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9 giugno 2015 dal Consigliere Dott. Raffaele Frasca;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Umberto Apice, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- 1. B. S. e F. M. nel marzo del 2003 convenivano in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Bologna la L. ar.l. chiedendo la sua condanna al risarcimento del danno sofferto in occasione dell'esecuzione da parte della stessa di un trasloco di mobilio avvenuto nel gennaio del 2002. Gli attori quantificavano il danno in euro 2.094,80 rappresentanti la maggior somma rispetto a quella di euro 2.600,00 che era stata loro risarcita stragiudizialmente dall'assicuratrice della convenuta, A. a r.1., e che reputavano non satisfattiva, in ragione delle spese legali e di perizia di parte che avevano sostenuto.
- 1.1. La convenuta si costituiva e chiedeva che il giudice adito disponesse la chiamata in causa della sua assicuratrice per sentirla dichiarare tenuta, in forza della polizza assicurativa con essa stipulata, al pagamento di quanto fosse stata tenuta a corrispondere agli attori. Sull'assunto che gli attori non avevano pagato alcun corrispettivo per la prestazione eseguita, in via riconvenzionale la convenuta chiedeva, altresì, la loro condanna al pagamento della somma risultante all'esito dell'istruzione.
Il Giudice di Pace autorizzava la convenuta a chiamare in causa la sua assicuratrice ed a seguito della chiamata essa si costituiva e chiedeva respingersi la domanda per la somma eccedente quella a suo tempo pagata stragiudizialmente, che riconosceva di avere corrisposto.
- 1.2. All'esito dell'istruzione il Giudice di Pace, riconosciuta l'esistenza dell'inadempimento della sua prestazione da parte della convenuta, quantificava il danno residuo in euro 1.424,80 e condannava la convenuta "e per essa" la società assicuratrice "in forza del contratto di assicurazioni" al pagamento di detta somma. La domanda riconvenzionale della convenuta veniva, invece, rigettata.
- 2. La sentenza veniva appellata dalla società assicuratrice, sia perché aveva riconosciuto talune voci di danno che a suo dire esulavano dalla copertura prevista dalla polizza, sia perché comunque i danni riconosciuti non erano stati provati dall'esperita istruzione. Nell'atto di appello, notificato sia agli attori che alla convenuta, si chiedeva che in riforma della sentenza di primo grado fosse dichiarato che nulla era dovuto in eccedenza rispetto alla somma riconosciuta stragiudizialmente.
- 2.1. Si costituiva la cooperativa assicurata contestando la fondatezza i dell'appello, salvo quanto al profilo inerente la prova del danno, e svolgendo appello incidentale riguardo al rigetto della domanda riconvenzionale di condanna al pagamento del corrispettivo. In subordine chiedeva che fosse riconosciuta l'operatività della garanzia e che l'appellante principale venisse condannata al risarcimento del danno nella misura ritenuta adeguata dal giudice.
Gli attori B. S. e F. M. si costituivano e chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.
- 3. Il Tribunale di Bologna, decidendo gli appelli, con sentenza del 24 settembre 2007, esaminava preliminarmente l'appello incidentale e lo rigettava reputando che l'inadempienza della società cooperativa fosse stata di tale importanza da escludere qualsiasi utilità della sua prestazione e dunque il diritto al corrispettivo.
Esaminava, quindi, l'appello principale della società assicuratrice e lo accoglieva quanto al motivo sul difetto di prova del quantum del preteso danno e, in riforma della sentenza di primo grado, "revocava" la condanna nei confronti della medesima, mentre osservava che "poiché l'appello incidentale della cooperativa riguarda soltanto la domanda riconvenzionale e non la propria condanna, questa rimane".
- 4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la L. contro il B. S. e la F. M. e contro la A..
Resistevano congiuntamente al ricorso con controricorso il B. S. e la F. M..
- 5. La trattazione del ricorso veniva fissata dinanzi alla Terza Sezione Civile della Corte ed il Collegio, all'esito della camera di consiglio del 15 maggio 2014, con ordinanza interlocutoria n. 16780 del 23 luglio 2014, rimetteva il fascicolo al Primo Presidente ai sensi del terzo comma dell'art. 374 c.p.c., per l'eventuale assegnazione della sua trattazione alle Sezioni Unite, ravvisando per la decisione del ricorso quanto al terzo motivo la necessità della soluzione di una questione di particolare importanza.
- 6. Il Primo Presidente ha assegnato la trattazione alle Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. "insufficiente motivazione" e si censura la sentenza impugnata là dove, dopo avere disposto la riforma della sentenza di primo grado "revocando la condanna dell'assicurazione" "per difetto di prova del quantum" ha soggiunto che "poiché l'appello incidentale della cooperativa riguarda soltanto la domanda riconvenzionale e non la propria condanna, questa rimane".
La censura è svolta assumendosi che la formula usata sarebbe stata "sibillina e laconica" e non consentirebbe di comprendere il processo logico-giuridico che ha portato il Tribunale alla statuizione ed in particolare se la mancata revoca della condanna della ricorrente sia stata dovuta all'applicazione dell'art. 329, secondo comma, c.p.c. o ad altro motivo.
D'altro canto - si sostiene - nessun riferimento viene fatto all'atto di appello ed alla precisazione delle conclusioni ed alla conclusionale, di modo che non sarebbe dato comprendere perché non sia stato considerato come specifico motivo di appello quanto riportato a pagina 3 della comparsa di costituzione in cui si era detto che "per quanto attiene il punto IV dell'appello" principale della società assicuratrice, che trattava proprio la questione della mancanza di prova oltre che dell'an, del quantum, "ci si associa alle richieste ed agli assunti di parte appellante".
Nessuna motivazione la sentenza impugnata avrebbe inoltre enunciato - nel discostarsi, a dire dei ricorrenti, dall'orientamento prevalente di questa Corte "secondo il quale, nel caso di un giudizio di risarcimento del danno dove vi sia stata chiamata in garanzia ex art. 1917 c.c. e vi sia stata una condanna solidale di garante e garantito, l'appello proposto dalla Compagnia coinvolge anche la posizione del garantito, non essendo possibile scindere le due posizioni".
- 2. Con il secondo motivo si prospetta, ai sensi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c., "nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c. per errore di fatto".
Vi si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto che la ricorrente non aveva proposto appello contro la sentenza di primo grado quanto alla propria condanna. L'appello si sarebbe dovuto scorgere, invece, nel passo della comparsa di costituzione già evocato nel motivo precedente, in cui essa si era associata alle richieste dell'appellante principale di cui al punto IV del suo atto di appello, intitolato "carenza di prova" e relativo alla constatazione della sua sussistenza anche sul quantum. D'altro canto, si argomenta, del tutto irrilevante sarebbe il fatto che nelle conclusioni della comparsa non vi fosse stato il richiamo a detta associazione.
- 3. Con il terzo motivo si fa valere, in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., "errata applicazione degli artt. 102; 336 c.p.c. e 1917 c.c.".
Sulla premessa che la A. sia stata chiamata in causa ai sensi dell'art. 1917 c.c. e che tale tipo di chiamata integri un'ipotesi di c.d. garanzia propria (all'uopo viene evocata Cass. sez. un. n. 13968 del 2004), vi si prospetta che, per effetto della chiamata sarebbe insorto un rapporto di c.d. litisconsorzio necessario processuale, in quanto unico sarebbe il fatto generatore della responsabilità di cui si discorre in causa e, anche se i titoli di responsabilità sarebbero distinti riguardo all'azione principale ed a quella di chiamata in garanzia, per quella ragione fra l'azione principale e la chiamata in garanzia vi sarebbe un vincolo di inscindibilità e di interdipendenza. Ne seguirebbe che, una volta accertato che gli attori non avevano provato il danno e che, dunque, non esisteva una responsabilità per mancanza del fatto generatore, tale mancata prova riguardava in primis essa assicurata, conseguendone che a torto il Tribunale non aveva revocato la condanna nei suoi confronti, siccome imponevano gli artt. 102 e 336 c.p.c. e l'art. 1917 c.c.
- 4. Nel rimettere al Primo Presidente il fascicolo, la Terza Sezione Civile ha motivato l'esistenza di una questione di particolare importanza, osservando quanto segue: "ritenuto che con l'ultima doglianza, articolata sotto il profilo della errata applicazione degli arti. 102 e 336 c.p.c., e art. 1917 c.c., la ricorrente, premesso che tra l'azione principale e quella di chiamata in garanzia vi fosse un vincolo di inscindibilità ed interdipendenza, ha dedotto che il giudice di appello, revocata la condanna nei confronti della compagnia assicuratrice, avrebbe dovuto revocare anche la condanna della garantita, pur in mancanza di una sua specifica impugnazione; ritenuto che la censura esposta si richiama all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, "con riferimento alla posizione dell'assicuratore della responsabilità civile (fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria), quale è configurata dall'art. 1917 c.c., ricorre una ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore è riconosciuto sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'art. 1917 c.c., comma 2. Infatti, nelle ipotesi in cui sia unico il fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia, anche se le ipotizzate responsabilità traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diverse, si versa in un caso di garanzia propria che ricorre solo ove il collegamento tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia sia previsto dalla legge disciplinatrice del rapporto". (Sez. Un. n. 13968/04, conforme Cass. n. 25581/2011); ritenuto che siffatto principio incontra, nella giurisprudenza di legittimità, numerose eccezioni, essendosi statuito, in senso contrario, che la chiamata in causa dell'assicuratore della responsabilità civile, da parte dell'assicurato convenuto dal terzo danneggiato, ai sensi dell'art. 1917 c.c., comma 4, costituisca invece l'ipotesi archetipica di chiamata in garanzia impropria, con la conseguenza, ai fini dell'estensione soggettiva del giudicato - questione che rileva nella vicenda processuale in esame - che se nel giudizio di appello l'assicuratore impugna la responsabilità del proprio assicurato, ma altrettanto non fa quest'ultimo, l'accoglimento dell'appello del primo non si estende all'altro (ex multis Cass. n. 10919/2011; n. 6896/2008, n. 14813/2006; n. 5671/2005, n. 9136/1997). Infatti, mancando da parte del convenuto rimasto soccombente l'impugnazione della pronuncia sulla causa principale, il giudicato che si forma sulla stessa non estende i suoi effetti al chiamato in garanzia impropria in ordine al rapporto con il chiamante, ed il chiamato può impugnare la statuizione sul rapporto principale solo nell'ambito del rapporto di garanzia e per i riflessi che la decisione può avere su di esso, senza che si verifichi alcuna estensione soggettiva a beneficio dell'assicurato (Cass. n. 1680/2012, n. 2757/2010, n. 13684/06, n. 1077/2003); ritenuto peraltro che, se anche si volesse aderire al principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite n. 13968/04, resta da chiedersi se a tal fine, in relazione alla fattispecie normativa prevista dall'art. 1917 c.c., possano ritenersi sufficienti la possibile chiamata in causa dell'assicuratore, da parte dell'assicurato (ultimo comma), ed il fatto che l'assicuratore abbia la facoltà, previa comunicazione all'assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l'indennità dovuta ovvero l'obbligo di pagamento su richiesta dell'assicurato, per ritenere sussistente un collegamento sostanziale tra la posizione dell'attore e dell'assicuratore, così da ritenere configurabile un'ipotesi di garanzia propria, laddove il legislatore dell'art. 1917 c.c., non prevede invece un collegamento diretto ed immediato tra assicuratore e terzo danneggiato, che non passi necessariamente attraverso l'indispensabile intermediazione e la volontà favorevole dell'assicurato, al quale soltanto, secondo la previsione legislativa, sembra rimessa la facoltà di stabilire un rapporto tra assicuratore e terzo, così da giustificare l'inscindibilità delle cause; ritenuto peraltro che, con recente decisione, le stesse Sezioni Unite hanno statuito che "ai fini dell'applicazione dell'art. 6, comma 2 della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva con L. 21 giugno 1971, n. 804 - il quale prevede che, qualora sia proposta un'azione di garanzia o una chiamata di un terzo nel processo, il convenuto può essere citato davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, sempreché questa ultima non sia stata proposta per distogliere il convenuto dal giudice naturale del medesimo - è irrilevante la distinzione tra garanzia propria e impropria". (Sez. Un. n. 8404/2012); ritenuto che la decisione appena richiamata sembra indicare uno specifico indirizzo, ancorché riferito alla soluzione della sola questione di giurisdizione, che tuttavia svaluta la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria, con possibili ricadute sulla struttura del processo e sui diritti processuali dei partecipi al rapporto sostanziale; [...]".
Sulla base di tali motivazioni, la Terza Sezione ha "ritenuto che non possa spettare alla sezione ordinaria di stabilire se siffatta distinzione possa tuttavia rilevare anche ove si tratti di rapporto sorto e concluso all'interno del territorio nazionale, e dunque spettante alla giurisdizione nazionale, giacché un eventuale revirement sul punto, pur limitato ai rapporti soggetti, nel senso indicato, alla giurisdizione domestica, non potrebbe che essere operato dalle Sezioni Unite.".
- 5. La questione posta dal primo motivo di ricorso, cioè che il Tribunale non abbia motivato l'assunto di cui la ricorrente si duole, risulta posta in modo non adeguato rispetto al paradigma dell'art. 360 c.p.c.
Infatti, quella che è stata definita insufficienza di motivazione concerne la soluzione di un problema relativo al modo di essere della disciplina del procedimento e particolarmente sull'applicazione della normativa processuale rilevante per stabilire se, nella situazione con cui il giudizio era stato devoluto al giudice d'appello, il Tribunale abbia errato nel ritenere che la qui ricorrente, non avendo svolto un appello incidentale, non potesse giovarsi dell'accoglimento dell'appello a favore della società assicuratrice da essa chiamata in garanzia per una ragione inerente il rapporto determinativo della responsabilità civile della stessa ricorrente riguardo al quale la garanzia assicurativa risultava invocata: tale, infatti, era la mancata dimostrazione del quantum del danno sofferto.
Ne segue che, non inerendo la pretesa insufficienza motivazionale alla risoluzione di una quaestio facti rilevante direttamente od indirettamente come oggetto della controversia, bensì ad una quaestio iuris concernente l'applicazione della normativa processuale regolatrice delle modalità della devoluzione in appello del cumulo di controversie verificatosi in primo grado, essa si correla, anche là dove concernesse l'esatta ricognizione del fatto processuale rilevante, cioè delle condotte processuali idonee rilevanti per la devoluzione al giudice d'appello, sempre ed esclusivamente al paradigma del n. 4 dell'art. 360 c.p.c.
Infatti, tale paradigma, quando prevede come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza o del procedimento allude ad un vizio della sentenza:
a) che può essere derivato in primo luogo dalla violazione di una norma processuale regolatrice della sentenza come atto del processo o di una norma regolatrice del procedimento, che sia rivelata dal ragionamento con cui il giudice di merito ha interpretato quelle norme in via astratta;
b) che invece può essere stato provocato dalla falsa applicazione di dette nonne, sebbene correttamente in astratto interpretate, in relazione alla situazione fattuale in cui versava il processo, come tale emergente dalla stessa motivazione resa dal giudice di merito, cioè dai ragionamenti che esso ha svolto al riguardo;
c) che sia rivelato in entrambe le ipotesi sub a) e sub b) da una motivazione che, piuttosto che erronea, risulti insufficiente o contraddittoria;
d) che emerga dalla motivazione enunciata dal giudice perché essa si rivela insufficiente o illogica non nel ragionamento in iure, bensì sul preliminare ragionamento in facto relativo alla ricostruzione del modo di essere del fatto processuale riguardo al quale la questione della nullità o della violazione di nonna del procedimento rilevavano.
Anche in quest'ultimo caso l'errore motivazionale concernente la ricostruzione del detto fatto processuale si colloca sempre nel paradigma del n. 4 dell'art. 360 c.p.c. (o, per le questioni processuali di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 360 c.p.c., all'interno di tali paradigmi).
- 6. Tanto premesso, la questione posta con il primo motivo va ricondotta al n. 4 dell'art. 360 c.p.c. e può esserlo alla stregua di Cass. sez. un. n. 17931 del 2013, giacché la denuncia di insufficienza della motivazione con cui il Tribunale ha detto che la condanna disposta in primo grado a favore degli attori e nei confronti della cooperativa qui ricorrente doveva restare ferma perché non attinta da un appello incidentale si risolve nella denuncia di un vizio motivazionale della sentenza nel ragionamento giuridico enunciativo della necessità di un appello incidentale nella specie e, dunque, della motivazione in iure postulante quella necessità.
Come tale la questione dell'insufficienza motivazionale si presta ad essere esaminata congiuntamente all'esame del terzo motivo, che postula appunto che un appello incidentale non fosse necessario.
- 7. Anche la questione prospettata con il secondo motivo, cioè che il Tribunale, una volta postosi nella logica della necessità dell'appello incidentale, non abbia attribuito il valore di un appello incidentale all'essersi l'appellata qui ricorrente associata alle richieste ed agli assunti dell'appellante società assicuratrice in ordine alla mancanza di dimostrazione del quantum debeatur, si presta alla stessa valutazione di riconducibilità della censura al n. 4 dell'art. 360, atteso che si addebita alla sentenza impugnata di non avere apprezzato il fatto processuale di quell'associazione, pur disgiunto dalla proposizione di un appello incidentale espressis verbis (proposto invece con riferimento al rigetto della domanda riconvenzionale), comunque come un appello incidentale, cioè di avere essersi rifiutata di sussumere sotto la norma regolatrice della forma dell'appello incidentale (art. 343 c.p.c.) un fatto processuale che avrebbe potuto intendersi come appello incidentale o di non averlo esattamente percepito come tale ai fini del procedimento di sussunzione da seguirsi nella verifica della ritenuta necessità che un appello del genere fosse necessario.
Anche tale questione si presta ad essere esaminata in seno, o meglio dopo quella posta dal terzo motivo, atteso che, se la necessità di un appello incidentale fosse esclusa, secondo la sollecitazione espressa da tale motivo, essa verrebbe meno, mentre resterebbe rilevante in caso contrario.
- 8. La questione che le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere concerne una vicenda processuale che si inserisce all'interno delle questioni generali che riguardano il processo cumulativo che si realizza a seguito del fenomeno che il codice di rito disciplina sub specie di modalità di insorgenza nella norma dell'art. 106 c.p.c., rubricata "intervento ad istanza di parte" individuandola all'interno di essa, accanto all'ipotesi di comunanza di causa, come "chiamata in garanzia" (siccome rivelano le parole secondo cui "ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo [...] dal quale pretende di essere garantita"). Una possibile evoluzione del cumulo è, poi, regolata dall'art. 108 c.p.c., norma rubricata "estromissione del garantito".
Com'è noto il Codice si occupa, peraltro, della figura particolare della chiamata in garanzia anche in un'altra norma, cioè nell'art. 32 c.p.c., che è inserita nella sezione quinta del capo primo del titolo primo del libro primo, dedicata alle modificazione della competenza per ragioni di connessione.
E' noto pure che la dottrina, anche sulla scorta dei lavori preparatori del codice (si veda, per esempio, la relazione preliminare al c.d. Progetto Solmi) e nel solco di indagini che si erano avute già nel vigore nella disciplina della c.d. "garantia" contenuta negli artt. 193 e ss. del codice di procedura civile del 1865, nello sforzo di individuare le fattispecie riconducibili alla figura della chiamata in causa in garanzia, ha da sempre distinto ipotesi dette di c.d. garanzia propria ed ipotesi di c.d. garanzia impropria, individuando il discrimine fra le une e le altre sostanzialmente con riferimento all'atteggiarsi della relazione (e, quindi, nella connessione) fra i due rapporti giuridici che sono necessariamente presenti nella figura, quello garantito e quello di garanzia.
- 8.1. Le prime sono state ravvisate in quei casi nei quali la struttura tipica dell'azione di garanzia sotto il profilo funzionale - che è sempre la pretesa a che taluno si faccia carico verso un soggetto, sulla base di un rapporto che dicesi di garanzia, delle conseguenze sfavorevoli patite da quel soggetto sulla base di altro rapporto giuridico verso altro soggetto e, quindi, se esse si sono verificate all'esito del giudizio su di esso, della sua soccombenza verso quest'altro soggetto - trova una giustificazione già nella previsione di una norma che stabilisce essa stessa un collegamento fra il rapporto giuridico garantito ed il rapporto giuridico di garanzia.
Le seconde sono state invece ravvisate in quelle ipotesi nelle quali l'operare del meccanismo strutturale della garanzia non ha un referente per così dire preliminare ed astratto in una norma che prevede il collegamento fra il rapporto garantito e quello di garanzia, ma emerge perché un fatto storico, insorto nell'ambito di un rapporto giuridico fra due soggetti e sfavorevole ad uno di essi, integra, come accadimento della vita, e, quindi, in via del tutto occasionale, il presupposto per cui in un diverso rapporto, che lega quel soggetto ad un altro, è previsto (per lo più, si dice, in via negoziale) che una certa tipologia di fatti, cui quel fatto risulta ex post riconducibile, dia luogo all'insorgenza a favore del soggetto dell'altro rapporto ad un dovere di prestazione di garanzia, cioè di farsi carico delle conseguenze negative del fatto sfavorevole.
- 8.2. E' altrettanto noto che nell'ambito delle figure della garanzia c.d. propria la dottrina, sia essa poi favorevole o no alla distinzione, ha individuato essenzialmente due figure, quella della c.d. garanzia formale, che ha radice o in una relazione fra rapporti per cui, essendo uno derivato - in senso lato - dall'altro, è la stessa normativa a regolare la derivazione in modo che la bontà di essa sia appunto "garantita" dal dante causa all'avente causa (come negli acquisti a titolo derivativo che comportino il trasferimento di un diritto: esempi art. 1483 c.c. e 1266 c.c.; e come nell'acquisto di un diritto personale di godimento su un bene, che comporta la garanzia del diritto a tale godimento: art. 1586 c.c.), e quella della c.d. garanzia semplice, nella quale la prestazione di garanzia si ricollega all'esistenza a livello normativo, fra garante e garantito, di un rapporto giuridico per cui, in relazione all'esecuzione da parte del secondo di una prestazione verso un terzo, il primo sia a sua volta tenuto a farsene carico verso il secondo (esempi: azione di regresso del condebitore nelle obbligazioni solidali: art. 1298 c.c.; azione di regresso del fideiussore verso il debitore principale: art. 1950 c.c.).
Come esempio di c.d. garanzia impropria è, poi, altrettanto noto che si evoca tradizionalmente la fattispecie della responsabilità per vendite c.d. a catena.
Anche la giurisprudenza ha da sempre accettato la distinzione fra le ipotesi di garanzia propria e quelle di garanzia impropria.
Sulla scorta di opinioni dottrinali che lo avevano così individuato nel vigore del codice del 1865 e nello sforzo di individuare un criterio discretivo fra la prima e la seconda, lo ha ravvisato ravvisandolo nella circostanza che nella prima ipotesi ricorrerebbero sempre indici normativi di un collegamento fra il rapporto principale garantito ed il rapporto di garanzia. Sarebbero allora direttamente tali indici ad evidenziare una ragione di connessione, già presente a livello normativo, fra la fattispecie costitutiva del rapporto principale e quella del rapporto di garanzia sotto il profilo della presenza di un fatto comune, che nel primo genererebbe la responsabilità di un soggetto, il garantito, e nel secondo assumerebbe il valore di fatto costitutivo o di uno dei fatti costitutivi della debenza della garanzia.
Siffatti indici normativi, invece, non sarebbero rinvenibili nelle fattispecie di garanzia impropria.
Il discrimine, però, come bene è stato sottolineato, risulta così più apparente che reale, perché, sebbene solo ex post - cioè solo quando la fattispecie concreta oggetto sia del rapporto che assume la consistenza di rapporto garantito e quella oggetto del rapporto che assume la funzione di rapporto di garanzia si verificano - anche nella garanzia impropria la comunanza di un fatto è necessaria per l'operare della garanzia. Essa è solo rivelata non dalle fattispecie normativa regolatrici dei due rapporti, sebbene sempre all'esito della realizzazione di tali fattispecie in concreto, bensì esclusivamente dalla loro, per così dire, effettiva concretizzazione, la quale essa sola, potrebbe dirsi casualmente, determina la relazione di garanzia.
In pratica nelle ipotesi di garanzia propria la relazione di garanzia fra due rapporti è descritta già a livello normativo, ma ciò non toglie che le due fattispecie si debbano realizzare in concreto perché il fenomeno della garanzia operi. Nelle ipotesi di garanzia impropria quella relazione non è percepibile già a livello normativo, ma si rivela quando le fattispecie concrete dei due rapporti si verifichino. Nella vendita a catena sia la prima che la seconda e la terza vendita, se considerate a livello normativo, non rivelano la relazione di garanzia per cui se il terzo venditore sia tenuto ai danni per i vizi della cosa venduta verso il compratore finale, può rivalersi verso il secondo venditore ed a sua volta questi verso il primo, che risulti anche produttore del bene. Nello schema normativo di ciascuna vendita è contemplata invece la garanzia di bontà della res come tale, ma non risulta descritta la possibilità che essa sia ceduta dall'acquirente che a sua volta assuma la posizione di venditore ad un terzo e così via. Queste sono eventualità che se si verificano determinano solo in via fattuale, per le azioni risarcitorie esercitate dai successivi acquirenti, l'insorgenza della pretesa di ciascun acquirente verso l'altro fino a quello originario che da alcuno ha ricevuto. Se il primo acquirente non ceda a sua volta la res ad altri e non abbiano luogo vendite successive a catena, la pretesa risarcitoria derivante dalla fornitura di un bene inidoneo sarà comunque dovuta in base alle norme regolatrici della vendita.
- 8.3. La figura di garanzia in cui si inserisce la controversia di cui è processo, quella - disciplinata dall'art. 1917 c.c. - del danneggiante che, evocato dal danneggiato per il risarcimento del danno, avendo stipulato un contratto di assicurazione per la propria responsabilità civile, chiami in giudizio l'assicuratore perché gli assicuri la prestazione di garanzia consistente nel tenerlo indenne dalle conseguenze di tale responsabilità e, quindi, se il danneggiato abbia agito in giudizio, della soccombenza verso di lui e, perciò, dalla condanna al risarcimento del danno in suo favore, è stata per lungo tempo il banco di prova della distinzione fra l'una e l'altra tipologia di garanzia ed è stata, com'è noto, a lungo ricondotta all'ambito della garanzia impropria.
E ciò anche dalla giurisprudenza di questa Corte.
Peraltro, Cass. sez. un. n. 13968 del 2004 ne ha prospettato al contrario la qualificazione in termini di garanzia propria con una motivazione che ha, peraltro, dato luogo a reazioni opposte della dottrina. Detta qualificazione non è stata, peraltro, sempre condivisa nemmeno dalla successiva giurisprudenza delle Sezioni Semplici, come ha evidenziato anche l'ordinanza della Terza Sezione Civile.
- 8.4. E' pure noto che le conseguenze applicative della distinzione fra garanzia propria e garanzia impropria si sono concretate tanto nella dottrina che nella giurisprudenza di questa Corte ad essa favorevoli nell'escludere nel caso della garanzia impropria innanzitutto l'applicabilità dell'art. 32 c.p.c. e dell'art. 108 (si veda quanto a quest'ultima norma Cass. n. 5478 del 1998 e, quindi, la citata sentenza delle Sezioni Unite), e sebbene in modo non sempre assoluto, dell'art. 331 c.p.c. (si vedano, per esempio, da ultimo, per l'esclusione: Cass. n. 18044 del 2013 e 24132 del 2013; a favore dell'applicazione, sebbene nel caso in cui il terzo chiamato abbia svolto contestazioni riguardo al rapporto principale e sempre da ultimo: Cass. n. 20552 del 2014).
- 8.5. V'è da registrare in fine che Cass. sez. un. 5965 del 2009 e successivamente Cass. sez. un. n. 8404 del 2012, sulla scorta di fonti di rilievo comunitario e della giurisprudenza UE, hanno rilevato che in quella cornice la distinzione non può essere foriera di alcuna rilevanza: tali arresti, peraltro, hanno riguardato l'esclusione di una sua incidenza ai fini della individuazione della giurisdizione.
- 9. Ritengono ora queste Sezioni Unite, condividendo le critiche alla distinzione rivolte da dottrine che, già minoritarie, sembrano ora avere acquisito maggiore consistenza, che la distinzione debba essere mantenuta soltanto a livello descrittivo delle varie fattispecie di garanzia ma possa e debba essere abbandonata - sia agli effetti dell'art. 32, sia agli effetti dell'art. 108 c.p.c., sia agli effetti dell'art. 331 c.p.c. - a livello di conseguenze applicative e ciò perché non esistono ragioni normative che giustificano differenze sotto tale aspetto.
- 9.1. Per iniziare a dar conto di tale affermazione è necessario prendere le mosse dagli artt. 32 e 106 c.p.c.
Si deve in primo luogo notare che il cumulo fra causa principale e causa di garanzia cui allude l'art. 32 c.p.c., sia per l'ambiente in cui è collocato, il quale si occupa del problema della individuazione della competenza, sia e soprattutto per come è descritto con le parole secondo cui "la domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale", potrebbe sembrare riferibile al solo caso - ipotizzato come possibile anche I dalla dottrina - in cui lo stesso soggetto, cioè l'attore, proponga una domanda principale contro un certo convenuto ed una domanda di garanzia in funzione di essa rispetto ad un terzo.
L'art. 106 c.p.c. suppone invece certamente che la chiamata in garanzia avvenga in un processo già pendente e riferisce il potere di chiamata sia all'attore che al convenuto, posto che fa riferimento all'uopo a "ciascuna parte". Allude, quindi, sia all'ipotesi in cui la chiamata del terzo in garanzia sia fatta dalla parte convenuta in un giudizio, sia all'ipotesi in cui essa sia fatta dall'attore, evidentemente per un'esigenza originata dalla difesa della parte convenuta concretatasi in una domanda riconvenzionale.
Peraltro, l'art. 32, letto nella sua interezza, non consente la lettura limitativa sopra ipotizzata, perché nel secondo inciso la norma, prevedendo che se la causa di garanzia ecceda la competenza del giudice adito questi rimette entrambe le cause al giudice superiore, palesa che essa intende riferirsi chiaramente anche all'ipotesi in cui la chiamata in garanzia si verifichi in un processo già insorto. E' chiaro, cioè, che il legislatore, nel dire che la domanda di garanzia può essere proposta al giudice della causa principale, se avesse voluto riferirsi solo al caso in cui sia chi introduce il giudizio a proporre entrambe le domande, così prevedendo una competenza per connessione correlata alla sola introduzione del giudizio, non avrebbe potuto subito dopo dire che la competenza del giudice adìto per connessione non può in concreto operare e, quindi, determinare il simultaneus processus davanti a lui, se la domanda di garanzia eccede la competenza del giudice adìto (ed implicitamente se essa appartiene alla competenza per materia di altro giudice, che non sia il giudice di pace, rispetto al quale va considerata la cedevolezza della competenza rispetto al giudice togato superiore).
Ne segue la conclusione che anche il cumulo di cui all'art. 106 c.p.c. è soggetto alla regola di cui all'art. 32 c.p.c., per cui anche quando la chiamata in garanzia ha luogo in un processo già introdotto su una domanda principale o per chiamata del convenuto o per chiamata dell'attore, lo svolgimento cumulativo del processo può avere luogo se la causa di garanzia rientra nella competenza per valore del giudice affilo, mentre, se la causa di garanzia eccede quella competenza l'intero processo si deve spostare davanti al giudice superiore: ipotesi questa che, essendo ormai distribuita la competenza per valore tra giudice di pace e tribunale ed essendo la competenza del primo cedevole risulterebbe peraltro ora già scritta nelle norme degli artt. 40, sesto e settimo comma, c.p.c.
L'ambito dell'art. 32, dunque, comprende certamente anche quello dell'art. 106 c.p.c.
- 9.2. Il punto è, però, che l'oggetto di disciplina della norma dell'art. 106 c.p.c. e quello dell'art. 32 c.p.c., nonostante questa seconda norma comprenda l'ambito di disciplina dell'altra, sono, in realtà, solo parzialmente sovrapponibili, nel senso che l'art. 106 può in realtà trovare applicazione senza che necessariamente si debba fare applicazione dell'art. 32.
Occorre considerare che l'art. 106 c.p.c. con l'espressione "chiamare nel processo un terzo [...] dal quale pretende di essere garantita", fermo che la chiamata è esercizio di un'azione (come suggerisce la rubrica del titolo in cui è inserita), si presta a comprendere due distinti profili.
Un primo profilo è necessario, in quanto sotteso allo stesso significato della chiamata, l'altro è solo eventuale, anche se di certo ricorre molto di più nella pratica.
Il primo profilo si coglie nel significato stesso dell'espressione "essere garantita". Poiché l'oggetto della garanzia inerisce in tutte le varie fattispecie ad una prestazione, quella di garanzia, che si deve tenere se il modo di essere del rapporto principale risulti accertato con un contenuto sfavorevole al soggetto, il garantito, che ne è parte, la chiamata del terzo ha, come del resto, non si dubita, come contenuto e, quindi, come petitum dell'azione con essa esercitata la richiesta di accertamento di quel modo di essere nel contraddittorio del terzo chiamato preteso garante. Essendo tale accertamento già oggetto del giudizio principale, la richiesta si concreta dunque nell'estensione al terzo preteso garante dell'efficacia e, quindi, della soggezione all'accertamento del rapporto oggetto del giudizio principale, che, rispetto a quello di garanzia, costituisce un elemento - o per previsione normativa discendente dalla struttura delle fattispecie (in quelle che tradizionalmente vengono dette ipotesi di garanzia proprie) o perché, al di là
di una previsione normativa, il fatto dell'accertamento del rapporto principale integra uno degli elementi del rapporto di garanzia - della sua fattispecie costitutiva e, dunque, un elemento "pregiudicante" quest'ultima.
E' questo il contenuto minimale, ma necessario ed indefettibile, della chiamata del terzo garante cui allude l'art. 106 c.p.c. La chiamata in questo contenuto minimale ma necessario ha come oggetto, premessa la deduzione dell'esistenza del rapporto di garanzia soltanto come rapporto legittimante la chiamata stessa (cioè l'ingresso del terzo nel processo senza una richiesta di accertamento dell'effettiva esistenza di detto rapporto e del suo modo di essere e del riconoscimento di diritti basati su di esso), la mera estensione al terzo garante dell'efficacia della decisione sul rapporto principale.
Sotto tale profilo - che qualcuno individua come denuncia della lite, ma con formulazione che non deve essere intesa letteralmente data l'implicazione che la chiamata comunque ha - la chiamata determina l'effetto di estendere sotto il solo aspetto soggettivo l'accertamento relativo al rapporto oggetto della domanda principale al di là delle parti che vi sarebbero legittimate per il modo in cui la situazione giuridica che ne è oggetto è stata prospettata.
Quindi, si risolve nell'attribuzione al terzo preteso garante di una legittimazione processuale a contraddire riguardo ad un rapporto cui egli è estraneo. Per effetto della chiamata le parti fra le quali avrà luogo l'accertamento e, quindi, la decisione, riguardo al rapporto principale, saranno non solo quelle originarie riguardo alle quali sussisterebbe la legittimazione processuale sul piano attivo e passivo, bensì anche il terzo garante e ciò sulla base dell'allegazione nella chiamata in causa del rapporto di garanzia.
Allegazione che, però, è fatta al solo fine di giustificare tale estensione della legittimazione.
Allorquando la chiamata del terzo garante sia esercitata solo sotto il descritto profilo, il che dipende da una scelta limitativa del soggetto garantito, che non chiede anche accertarsi il rapporto di garanzia e non chiede il riconoscimento delle sue implicazioni condizionatamente all'eventuale verificarsi di un accertamento del rapporto principale giustificativo della garanzia, lo scopo che persegue il garantito è soltanto quello - come non ha mancato di rilevare la dottrina - di ottenere che il garante sia assoggettato all'efficacia dell'accertamento sul rapporto riguardo al quale ad avviso del chiamante preteso garantito deve prestare la garanzia, in modo che l'esistenza di tale rapporto non possa più essere ridiscussa in un futuro giudizio nel quale lo stesso garantito farà valere la pretesa di garanzia (fra i cui fatti costitutivi necessariamente si pone il modo di essere del rapporto oggetto della prestazione di garanzia, cioè riguardo al quale essa è dovuta secondo la disciplina del rapporto di garanzia). Nel successivo giudizio con cui il garantito chiederà la prestazione di garanzia (che ha scelto di non far valere), cioè la prestazione cui il garante è tenuto in relazione a quel modo di essere, si potrà discutere fra garantito e garante soltanto della sussistenza stessa del rapporto di garanzia, della debenza della garanzia in base ad esso e di tutte le questioni ad essa relative.
La differenza rispetto all'ipotesi in cui il garantito conviene il garante solo dopo che il giudizio sul rapporto rispetto al quale la garanzia è dovuta sia stato accertato in modo tale da giustificare la prestazione della garanzia e lo sia stato nel solo contraddittorio delle parti di esso, è evidente, come non manca di sottolineare la dottrina: in questo secondo caso, essendo quel modo di essere elemento costitutivo della garanzia, nella lite con il solo garantito il garante potrà (oltre che discutere di tutti i profili sopra indicati) anche contestare l'accertamento relativo al rapporto principale, in quanto esso ha avuto corso senza il suo contraddittorio ed in tal caso occorrerà che esso venga ripetuto senza alcun vincolo di quello seguito fra il garantito e la parte del rapporto principale.
Il giudicato sfavorevole per il garantito intervenuto senza il contraddittorio del garante sarà trattato in guisa non diversa da come, nel giudizio di garanzia, sarebbe da trattare un riconoscimento stragiudiziale del diritto del pretendente del rapporto principale o un negozio di accertamento di tale diritto intervenuto fra garantito e pretendente. Così come questi sono atti dispositivi compiuti inter alios cui il garante resta insensibile, altrettanto accade quando della sua situazione il garantito risponde nel processo intentatogli dal pretendente senza evocarvi il garante.
- 9.3. Nell'ipotesi di chiamata del terzo ora descritta si dice che l'oggetto del giudizio non risulterebbe allargato, ma, in realtà, l'affermazione ha un valore relativo. L'oggetto del giudizio resta certamente quello relativo al modo di essere del rapporto principale, ma, accanto ad esso, se ne aggiunge un altro, che è l'estensione dell'efficacia dell'accertamento su di esso al garante, che è un profilo se si vuole oggettivo quanto meno sul piano del petitum. Non sembra possa negarsi, cioè, che un allargamento dello stesso oggetto del giudizio si verifica in tal caso sotto il profilo soggettivo, perché l'ingresso del garante nel processo determina che l'accertamento, sotto il profilo dei limiti soggettivi del giudicato, si estenderà al terzo, cui invece, in difetto della chiamata, non si sarebbe in alcun modo esteso.
Dovendo il terzo garante soggiacere in forza della chiamata al giudicato sul rapporto originariamente dedotto in giudizio ed essendo divenuto destinatario di una domanda di estensione a lui dell'efficacia dell'accertamento del rapporto inter alios egli deve necessariamente poter contraddire riguardo a tale accertamento e tanto giustifica la conseguenza che i poteri processuali funzionali alla gestione della lite diventano riferibili anche al terzo garante, come non manca di sottolineare la dottrina. Il litisconsorzio successivo che si determina per il fatto dell'allargamento della legittimazione operato dalla chiamata al garante esige che i poteri processuali che prima erano attribuiti alle parti originarie siano attribuiti con il filtro del criterio dell'interesse anche al terzo chiamato, salvo che si tratti di poteri di disporre dell'oggetto del processo originario, come ad esempio la confessione riguardo al rapporto che ne è oggetto.
Poiché i detti poteri processuali sono attribuiti al terzo a tutela di un interesse proprio (quello a che venga negato il rapporto principale, che potrebbe divenire elemento costitutivo della pretesa di garanzia nei suoi confronti) occorre notare che non si può ritenere che egli assuma una posizione simile a quella di un terzo interventore adesivo dipendente, ancorché egli sia interessato a sostenere le ragioni del garantito.
La sua posizione è simile in realtà a quella di un interventore adesivo autonomo. Egli, venendo chiamato nel processo relativo all'accertamento del rapporto principale riguardo al quale opera la garanzia deve avere la stessa posizione che avrebbe avuto qualora fosse stato convenuto dal garantito dopo il verificarsi di quell'accertamento positivo senza il suo contraddittorio. Così come egli avrebbe avuto riguardo all'accertamento del rapporto oggetto della pretesa garanzia tutti i poteri e le facoltà processuali, allo stesso modo deve poter esercitare questi ultimi quando viene chiamato nel processo inter alios relativo a quell'accertamento.
D'altro canto il nesso di dipendenza fra l'accertamento del rapporto principale in modo sfavorevole al garantito e la prestazione di garanzia non realizza un fenomeno di dipendenza permanente fra i due diversi rapporti discendente dal diritto sostanziale, cioè non dipende dal fatto che secondo il diritto sostanziale il rapporto di garanzia abbia come elemento costitutivo il rapporto garantito. L'esistenza di quest'ultimo rappresenta solo un fatto concreto in presenza del quale si realizza il presupposto per il funzionamento di quel rapporto, che non lo contempla come tale, ma contempla solo un oggetto di garanzia astratto, cui esso, quando si verifica, può, per previsione interna al rapporto di garanzia stesso, essere ricondotto, di modo che si giustifica la prestazione dovuta in forza della garanzia. Il rapporto di pregiudizialità non riguarda a ben vedere il rapporto principale e quello di garanzia, bensì il primo, o meglio l'accertamento di un suo modo di essere, e la prestazione oggetto del secondo. E' il diritto a questa e non il rapporto di garanzia ad essere pregiudicato dall'esito sfavorevole per il garantito del giudizio principale.
- 9.4. Importa a questo punto notare che, allorquando la chiamata del terzo garante assuma solo il contenuto di domanda di estensione dell'efficacia soggettiva quanto all'accertamento del rapporto principale, non si può negare che gli effetti descritti sono identici sia per le ipotesi di garanzia c.d. proprie che per quelle c.d. improprie.
Importa in primo luogo notare che l'estensione soltanto soggettiva dell'accertamento non ha e non può avere alcun rilievo ai fini della competenza, dato che, se anche si volesse prospettare un problema di individuazione della competenza sulla "domanda di garanzia" diretta al solo fine di estendere la decisione al terzo, la competenza non potrebbe che essere la stessa esistente sul rapporto principale, perché l'estensione riguarda sempre e solo quest'ultimo.
Ne segue che l'art. 32 c.p.c. non viene in rilievo e ciò vale sia per la garanzia propria che per quella impropria, sicché si perviene ad acquisire un primo risultato nel senso che la relativa distinzione in tal caso è priva di effetti pratici.
- 10. Accanto al profilo che si è descritto la chiamata in causa, com'è noto, può presentarne un altro che è solo eventuale anche se certamente molto più ricorrente per evidenti ragioni di economia processuale.
Esso si coglie quando il garantito chiami il garante in giudizio non solo chiedendo che si estenda nei sui confronti l'accertamento del rapporto principale, ma anche formulando una richiesta di accertamento dell'esistenza del rapporto di garanzia (che, dunque, non viene più solo prospettato come situazione legittimante la chiamata) e, nel presupposto che tale esistenza risulti accertata, eventualmente una richiesta (avente natura di domanda subordinata all'accertamento del rapporto principale in modo sfavorevole e, quindi, tale da giustificare la prestazione della garanzia) di attribuzione della prestazione di garanzia, naturalmente se ed in quanto a sua volta il modo di essere del rapporto di garanzia giustifichi quell'attribuzione.
In tal caso l'allargamento dell'oggetto del giudizio non è solo soggettivo, ma è, come non si dubita, anche oggettivo, nel senso che l'accertamento non riguarda più solo il rapporto principale sebbene con l'estensione soggettiva al garante della legittimazione, ma concerne anche il rapporto di garanzia, il suo modo di essere ed il diritto alla prestazione (condizionato).
Tale allargamento in senso oggettivo può, peraltro, avvenire anche per iniziativa dello stesso garante, il quale chieda l'accertamento con efficacia di giudicato, nei confronti del garantito che l'ha chiamato al solo fine di estendergli l'accertamento del rapporto principale, del modo di essere del rapporto di garanzia ed eventualmente di un suo modo di essere che, quand'anche dovesse aversi esito sfavorevole per il garante quanto al rapporto principale, comunque escluda la prestazione di garanzia.
Ad avviso di queste Sezioni Unite la possibilità che la chiamata del garante da parte del garantito implichi la descritta estensione sul piano oggettivo è già compresa nella previsione della stessa norma dell'art. 106 c.p.c., giacché l'espressione "pretende di essere garantita" ivi contenuta è tale da comprendere sia questa pretesa, intesa come richiesta di mera estensione soggettiva al garante dell'efficacia dell'accertamento sul rapporto principale, sia anche come richiesta di ampliamento oggettivo in funzione della consecuzione dell'accertamento del rapporto di garanzia ed eventualmente della (subordinata) consecuzione della garanzia.
La soppressione dell'inciso "e tenerla indenne", che figurava nel testo originario dell'art. 106 e che il Guardasigilli Solmi aveva spiegato con l'intenzione di espungere dall'ambito della norma le ipotesi di garanzia impropria, in disparte che non è dato comprendere come e perché solo ad esse potesse riferirsi, è da considerare del tutto inidonea ad escludere che la chiamata in garanzia, per come supposta nell'art. 106 vigente, possa assumere oltre all'estensione minima soggettiva anche, per scelta del chiamante, quella ulteriore oggettiva.
- 10.1. Quando la chiamata in garanzia assume il più complesso contenuto derivante dall'estensione oggettiva, il cumulo soggettivo di accertamenti che si verifica comporta che, rispetto all'accertamento del rapporto principale, quello del rapporto di garanzia non ha carattere dipendente per quanto attiene ai fatti costitutivi diversi dal verificarsi del presupposto per la prestazione della garanzia rappresentato dall'esito sfavorevole del rapporto principale. Ciò che è pregiudicato è solo il diritto alla prestazione di garanzia. Solo in via eventuale, in relazione alla struttura del rapporto di garanzia ed ai sui contenuti tale diritto potrebbe essere l'unico nascente da detto rapporto, ma potrebbe benissimo accadere che si tratti soltanto di uno dei diritti potenzialmente nascenti dal medesimo rapporto.
Riguardo all'accertamento del rapporto principale è comunque importante notare che la posizione del garante resta sempre identica a quella che egli riveste nell'ipotesi di mera chiamata estensiva dell'accertamento su di esso.
- 11. Si deve a questo punto rilevare che le considerazioni sul duplice possibile profilo della chiamata in garanzia secondo il paradigma dell'art. 106 c.p.c. sono comuni sia alle fattispecie tradizionalmente qualificate come di garanzia propria sia a quelle qualificate come garanzia impropria, nel senso che le due eventualità che si sono descritte possono verificarsi sia nelle une che nelle altre.
Ne discende che la distinzione fra esse, se posta in relazione all'art. 106 c.p.c., si giustifica solo in termini di pura descrizione della diversità dei fenomeni riconducibili alla norma.
Si deve, cioè, sottolineare che le peculiarità che si colgono nelle norme che disciplinano specificamente determinate forme di garanzia qualificate come proprie sono peculiarità che non incidono sulle due eventualità supposte dall'art. 106 c.p.c.
Così, per esemplificare, la fattispecie dell'art. 1485 c.c. presenta come tratto peculiare solo apparente l'obbligatorietà della chiamata. Ma, in realtà, si tratta di una onerosità della chiamata del venditore: se non la si fa il giudicato sfavorevole per il compratore evitto, non diversamente da quanto accade nelle altre ipotesi di garanzia è un fatto che come tale è opponibile al garante venditore, ma solo come fatto storico e non già nella sua implicazione giuridica agli effetti del rapporto di garanzia. Infatti, il venditore convenuto può dare dimostrazione che esistevano ragioni per respingere la domanda del terzo contro il compratore, cioè l'ingiustizia del detto giudicato. Quando il compratore chiama in garanzia il venditore la chiamata si può estrinsecare certamente nella mera richiesta di estensione soggettiva dell'accertamento sul rapporto principale oppure può estendersi all'accertamento del rapporto di garanzia nascente dalla pregressa vendita ed alla pretesa condizionata ad essere tenuto indenne.
La stessa cosa dicasi per l'ipotesi in cui la garanzia deriva da fenomeni di regresso ricollegati alle obbligazioni solidali: chi chiama in garanzia il terzo riguardo al quale ha regresso lo può fare al solo fine di estendergli l'accertamento sul rapporto principale, di modo che il terzo successivamente, una volta esercitata l'azione di regresso non possa sollevare contestazioni su di esso, ma può anche farlo chiedendo altresì l'accertamento del rapporto giustificativo del regresso e l'attribuzione della prestazione di regresso subordinatamente all'esito sfavorevole del giudizio sul rapporto principale.
- 12. I due profili che può assumere la chiamata in garanzia nei sensi indicati, in realtà, possono assumere una diversa rilevanza, ad avviso di queste Sezioni Unite, ai fini dell'applicazione dell'art. 32 c.p.c., ma ciò senza alcuna correlazione rispetto al carattere proprio o improprio della garanzia.
L'art. 32, quando allude alla domanda di garanzia ed attribuisce alla sua proposizione, o per cumulo originario o per cumulo nascente ai sensi dell'art. 106 c.p.c., il possibile effetto - implicito - di determinare una modificazione della competenza per ragioni di territorio derogabile davanti al giudice adìto ed una modificazione della competenza per valore, con rimessione dell'intero giudizio, anche per la causa principale, al giudice superiore, intende riferirsi non già al caso in cui la chiamata del garante sia stata fatta al solo fine di provocare l'estensione soggettiva dell'accertamento sulla domanda principale, bensì al caso in cui abbia avuto luogo con il cumulo rispetto a tale richiesta della domanda di accertamento del rapporto di garanzia ed eventualmente di riconoscimento della prestazione di garanzia subordinatamente all'esito sfavorevole del giudizio sul rapporto principale.
La disciplina dell'art. 32 c.p.c. viene in rilievo allora solo nei casi in cui la chiamata in garanzia abbia avuto efficacia estensiva oggettiva e, dunque quando accanto alla domanda di estensione soggettiva al garante dell'accertamento del rapporto principale, sottesa necessariamente a qualsiasi chiamata in garanzia, si sia accompagnata la domanda di garanzia nei sensi su indicati. E' solo in questo caso che vengono in rilievo le regole poste dalla norma sui limiti in cui può avere luogo il simultaneus processus ed eventualmente la modificazione della competenza.
E' questa un'implicazione che si deve desumere innanzitutto dal fatto che l'art. 32 c.p.c. allude alla "domanda di garanzia" e con tale espressione (che non è presente nell'art. 106, il quale, conforme alla rubrica del titolo in cui è inserita, disciplina una modalità di esercizio dell'azione e di un'azione già in atto, tale essendo la posizione riferibile al garantito) intende riferirsi alla proposizione della domanda intesa ad ottenere l'accertamento del rapporto di garanzia, che corre fra il chiamante preteso garantito e il garante, ed eventualmente alla domanda consequenziale di attribuzione della prestazione di garanzia condizionatamente all'esito sfavorevole dell'accertamento del rapporto principale.
Fermo questo dato e constatato che nel confronto fra art. 32 e art. 106 c.p.c. una non coincidenza degli oggetti di disciplina riguarda solo il dato che la chiamata in garanzia con effetto meramente estensivo (soggettivo) della legittimazione non rileva agli effetti dell'art. 32 c.p.c., superando le considerazioni che erano state ribadite a giustificazione della sottrazione ad essa delle fattispecie di garanzia impropria (da Cass. sez. un. n. 13368 del 2004), si deve ritenere che la giustificazione di un diverso trattamento fra i due casi non aveva e non ha base normativa: invero, l'essere una fattispecie di garanzia "impropria" perché non desumibile per così dire in astratto dalla disciplina legislativa del rapporto principale e di quello di garanzia, non trova nell'articolo 32 alcun indice che giustifichi la sua applicazione solo ad essa. Il tenore dell'art. 32, messo in relazione con l'assoluta genericità della previsione dell'art. 106 c.p.c., giustifica, come s'è detto, solo la conseguenza che essa si riferisce alla chiamata con effetti estensivi oggettivi e non a quella con effetti estensivi solo soggettivi. Inoltre, non è dato comprendere come alla circostanza della previsione nella disciplina di diritto sostanziale delle ipotesi di garanzia propria si possa attribuire rilievo a fini dell'applicazione di una norma processuale come l'art. 32. Se il legislatore avesse voluto attribuire rilievo al problema della competenza riservando la norma dell'art. 32 c.p.c. solo alle ipotesi di c.d. garanzia propria avrebbe, in realtà, dovuto dirlo, mentre nella detta norma assume rilievo la "domanda di garanzia", la quale, nei sensi descritti, può essere proposta tanto in caso di chiamata in garanzia propria che impropria.
- 13. Va rilevato che nemmeno in relazione all'art. 108 c.p.c., che disciplina il fenomeno dell'estromissione del garantito merita distinguere le ipotesi di garanzia propria da quelle o "improprie" limitando l'applicazione della norma solo alle prime ed escludendola per le seconde.
Va detto innanzitutto che la norma può trovare applicazione sia nel caso di chiamata in causa del garante ad effetto soltanto estensivo della legittimazione, sia nel caso di chiamata in garanzia ad effetto estensivo dell'oggetto del giudizio, cioè con richiesta di accertamento del rapporto di garanzia. Non sembra condivisibile l'assunto di quella dottrina che restringe l'applicazione della norma solo alla prima ipotesi, adducendo che se la si applicasse al secondo si verificherebbe che il garante che assume la lite in vece del garantito nei confronti del pretendente dovrebbe rivestire, oltre che la legittimazione in sostituzione del garantito rispetto al rapporto principale anche, quanto alla domanda di garanzia, contemporaneamente la posizione di attore e convenuto. L'assunto non pare condivisibile, perché l'estromissione del garantito in questa ipotesi, cioè di chiamata oggettivamente estensiva, suppone che costui ed il garante si accordino disciplinando la sorte del rapporto di garanzia in via provvisoria e tale che risenta poi della sorte della decisione su quello principale, oppure lascino in sospeso quella sorte impegnandosi a regolarla in base alla detta decisione. L'assunzione della lite da parte del garante riguarda, dunque, solo la lite sul rapporto principale, non diversamente da quanto accade nella chiamata estensiva solo in senso soggettivo.
Venendo alla distinzione fra chiamata propria ed impropria la tesi limitativa alla prima ipotesi assume come fondamento solo e sempre la circostanza che il legislatore avrebbe inteso limitare l'applicazione della norma alle fattispecie di garanzia previste dalla legge. Ma l'assunto non ha alcun indice giustificativo nell'art. 108 e né può dirsi che estendendo l'applicazione della norma alle ipotesi di garanzia impropria si finirebbe (come adombrò Cass. sez. un. n. 13968 del 2004) per ammettere un caso di sostituzione processuale ai sensi dell'art. 81 al di fuori dalle previsione della legge: è sufficiente osservare che la previsione della sostituzione, sebbene condizionata al consenso del pretendente, sta nell'art. 108 che, riferendosi alla chiamata in garanzia si riferisce a tutte le ipotesi che realizzino il fenomeno.
- 14. A questo punto, poste queste premesse, che apparivano necessarie per il fatto che la fattispecie dell'art. 1917 c.c. ha avuto ed ha l'una e l'altra collocazione nel quadro della distinzione fra garanzia propria e garanzia impropria, si può passare finalmente all'esame della questione proposta dall'ordinanza di rimessione, che è parte di quella generale riguardante l'atteggiarsi in sede di gravame del litisconsorzio insorto per effetto di una chiamata in causa del terzo garante: essa, infatti, concerne specificamente l'ipotesi in cui il rapporto principale oggetto della garanzia sia stato accertato in senso sfavorevole al garantito nel contraddittorio del garante da lui chiamato in causa. La questione dev'essere esaminata, peraltro, tenendo conto delle soluzioni da dare alle altre ipotesi che si possono verificare e, dunque, considerando la questione generale nella sua interezza.
Si deve, inoltre, aggiungere che il problema va considerato tanto con riguardo al caso in cui la chiamata sia stata limitata al solo aspetto dell'estensione soggettiva dell'accertamento sul rapporto principale quanto per il caso in cui con essa si sia cumulata l'azione relativa al rapporto di garanzia ed essa sia stata a sua volta accolta in conseguenza dell' accoglimento dell'azione principale.
Va ancora avvertito che anche la questione in esame si pone e deve essere risolta negli stessi termini con riguardo a qualsiasi figura di garanzia, sia essa propria sia essa impropria: il rilievo della distinzione fra le due tipologie di garanzia scompare anche riguardo al problema ora in esame (al contrario di quanto in passato si era ritenuto: si veda Cass. sez. un. n. 4779 del 1981).
La ragione è che nell'uno come nell'altro caso la soluzione della questione della regola di litisconsorzio applicabile in sede di gravame si correla e dipende, come emergerà dalle considerazioni che si verranno svolgendo, dal dato, comune e sempre ricorrente in ogni fattispecie di chiamata del terzo garante, dell'efficacia estensiva della legittimazione del garante rispetto all'accertamento del rapporto principale. E' questo, come si vedrà, il dato che rileva ai fini della regola del litisconsorzio e degli effetti dell'impugnazione e, poiché esso connota tanto le ipotesi di garanzia propria che quelle di garanzia impropria, è questa la ragione per cui la distinzione è priva di effetti ai fini della individuazione di quella regola.
- 14.1. Ciò premesso, si abbia ora riguardo all'atteggiarsi dell'interesse del garante rispetto all'esito dell'accertamento relativo al rapporto principale e ad un futuro giudizio instaurato dal garantito per far valere l'azione diretta ad ottenere soddisfazione nell'ambito del rapporto di garanzia.
Iniziando dall'ipotesi della chiamata con effetti estensivi solo soggettivi, si osserva che il passaggio in cosa giudicata dell'accertamento del rapporto principale non si presenta pregiudizievole per il garante allorquando si è concluso con l'esclusione della responsabilità del garantito.
In questo caso, infatti, tale esclusione impedirà al garantito di far valere il rapporto di garanzia e la pretesa alla prestazione di garanzia relativamente a detta responsabilità, che è stata negata.
Il garante non risulta in alcun modo soccombente o, se si preferisce, provvisto di interesse a impugnare, in ragione della posizione di soggetto che non era parte del rapporto principale, ma che si è visto per effetto della chiamata estendere l'efficacia del relativo accertamento.
Non sarà semmai impedito al garantito di postulare un accertamento del rapporto di garanzia se esso non si presenti funzionale a far valere la garanzia rispetto alla responsabilità esclusa e, quindi, a prospettare come fatto giustificativo la vicenda che del relativo giudizio è stata oggetto, ma serva invece ad accertare il modo di essere del rapporto in vista della riconduzione al suo ambito di diverse e successive possibili vicende coperte dalla garanzia.
D'altro canto lo stesso garantito, risultando vittorioso riguardo al rapporto principale, non sarà legittimato ad impugnare.
La legittimazione ad impugnare sarà, dunque, soltanto dell'attore originario e l'impugnazione, in ragione del litisconsorzio determinato dall'estensione soggettiva dell'accertamento determinata dalla chiamata in causa e dalla necessità di procedere all'accertamento anche nel contraddittorio del garante, dovrà attingere sia il garantito sia il garante, vertendosi, dunque, in ipotesi di applicazione dell'art. 331 c.p.c..
Non sembra, del resto, ipotizzabile che l'impugnazione venga rivolta soltanto contro il garantito e che costui, come si opina da parte della dottrina, possa limitarsi a riproporre la domanda di estensione dell'accertamento al garante ai sensi dell'art. 346 c.p.c. L'assunto non è sostenibile, in quanto non è dato comprendere come potrebbe giocare l'istituto di cui a quella nonna nei confronti di una parte, il garantito, che non è stato chiamato nel giudizio di impugnazione.
Non è nemmeno pensabile che, una volta ricevuta l'impugnazione, il garantito possa e debba ribadire la domanda di estensione dell'efficacia soggettiva al suo garante proponendo un'impugnazione incidentale tardiva ai sensi dell'art. 331 c.p.c.: una simile impugnazione, infatti, dovrebbe supporre una soccombenza del garantito nei confronti del garante che, però, non c'è stata.
In realtà, la natura litisconsortile necessaria del giudizio insorta sul piano processuale per effetto della chiamata meramente estensiva della legittimazione al garante, impone all'unico soccombente riguardo al modo di essere del rapporto principale, cioè all'attore originario (pretendente), di impugnare anche nei confronti del garante, perché costui era divenuto parte legittimata a contraddire su quel rapporto per effetto della chiamata e l'estensione della legittimazione non può essere sciolta. Il rapporto nel processo era divenuto trilatero. Se si vuole si può aggiungere che, essendo stata la chiamata del terzo garante in definitiva espressione di una modalità dell'esercizio del diritto di difesa del garantito, non sarebbe comprensibile che a costui non si assicurino, in sede di impugnazione, le medesime condizioni della difesa articolata nel precedente grado.
- 14.2. Venendo all'ipotesi opposta a quella che si è considerata, cioè il caso in cui l'esito del giudizio esteso soltanto soggettivamente al garante sia stato invece sfavorevole al garantito, è palese che in questa ipotesi soccombente è certamente lo stesso garantito che è stato riconosciuto responsabile nei confronti dell'attore.
Non è meno vero, però, che "soccombente", o meglio interessato a porre in discussione l'esito del giudizio nella sua qualità di parte non del rapporto oggetto del giudizio principale, ma di parte alla quale si è esteso il suo accertamento ed è stata conferita legittimazione a contraddire, è anche il garante e ciò per la ragione che egli risente di un pregiudizio dall'esito del giudizio, pregiudizio rappresentato dall'essere vincolato all'accertamento positivo della responsabilità del garantito: sempre si intende salva l'ipotesi in cui il garante, costituendosi, avesse riconosciuto la responsabilità del garantito e tenuto un atteggiamento di non contestazione della stessa.
Poiché si tratta di un effetto sfavorevole che potrebbe rilevare in un successivo giudizio che, forte del comune accertamento intervento sul rapporto principale riguardo al quale sostiene dovuta la garanzia, il garantito, intenti contro il garante per far valere la pretesa di garanzia, è palese che legittimato ad impugnare non può che essere anche il garante, che sotto tale aspetto può dirsi lato sensu "soccombente" anch'egli, perché nello svolgimento della legittimazione a contraddire sul rapporto altrui ha visto negata la sua prospettazione che in ordine ad esso la domanda del pretendente dovesse rigettarsi e negarsi la responsabilità del garantito.
Ne segue che nella situazione qui considerata tanto il garantito quanto il garante hanno legittimazione all'impugnazione e, sempre in ragione del carattere litisconsortile necessario del giudizio sebbene sul piano processuale l'esercizio del diritto di impugnazione da parte di ognuno dei due non può che avvenire se non anche nei confronti dell'altro.
La ragione ultima è che la chiamata ha esteso la legittimazione al garante.
- 14.2.1. Se impugna il garantito egli deve pertanto rivolgere l'impugnazione sia contro l'attore nei cui confronti è stata riconosciuta la sua responsabilità sia nei riguardi del garante.
Se impugna il garante egli deve rivolgere l'impugnazione sia contro l'attore sia nei confronti del garantito.
La fattispecie è interamente riconducibile all'art. 331 c.p.c. e lo è con riferimento alla figura della inscindibilità, che esiste perché l'accertamento del rapporto principale era stato allargato sul piano della legittimazione al garante. Il rapporto oggetto dell'impugnazione è unico e riguardo ad esso se si vuole parlare di "cause", si deve considerare che la "causa" originaria proposta dall'attore contro il solo garantito e la "causa" introdotta riguardo ad esso contro il garante per ottenere la sola estensione a costui dell'accertamento sulla prima, sono in nesso di inscindibilità nel senso che l'accertamento del rapporto principale che era limitato alle parti originarie, per effetto della chiamata, l'accertamento dell'oggetto della prima causa è divenuto un accertamento da svolgere con l'assicurazione della legittimazione a contraddire del terzo. Parlare di due cause distinte è, dunque, privo di fondamento: la causa originaria è evoluta sul piano soggettivo nel senso che la chiamata ha determinato l'estensione al garante della legittimazione a contraddire su di essa.
Nella situazione in esame non è possibile, d'altro canto, ipotizzare che l'impugnazione del solo garantito o del solo garante, ancorché debbano rivolgersi la prima sia contro l'attore vittorioso che contro il garante, e la seconda contro l'attore vittorioso ed il garantito perché sussiste la detta inscindibilità, siano tuttavia dirette rispettivamente nel primo caso a rimuovere l'accertamento della responsabilità del garantito solo nei suoi confronti e non anche del garante, e nel secondo l'accertamento della responsabilità del garantito solo nei confronti e, quindi, nell'interesse del garante e non anche del garantito.
Nel primo caso non è possibile sostenere che la sentenza emessa in sede di impugnazione che accolga l'impugnazione del garantito e ne neghi la responsabilità, così mandandolo assolto dalla domanda dell'attore, determini la caducazione dell'accertamento in senso opposto che aveva fatto il giudice della sentenza impugnata soltanto nei confronti del garantito e non anche nei confronti del garante, di modo che costui resti vincolato all'accertamento contrario fatto dalla sentenza impugnata e, dunque, in un futuro giudizio intentatogli assurdamente dal garantito sulla base del preteso accertamento della propria responsabilità fatto dalla prima sentenza per far valere la garanzia non possa eccepire che tale accertamento è venuto meno anche nei suoi confronti.
- 14.2.2. Ma anche nel secondo caso ritengono queste Sezioni Unite che predicare che l'accertamento della responsabilità del garantito fatto dalla prima sentenza venga meno per effetto dell'impugnazione del garante e del suo esito favorevole solo nei riguardi di costui e non anche nei riguardi del garantito, di modo che la prima sentenza resti ferma nei suoi riguardi, è in modo manifesto in contraddizione con la indiscutibile inscindibilità dell'accertamento del rapporto insorta sul piano soggettivo per effetto della chiamata del terzo garante.
Per giustificare l'opposta soluzione occorrerebbe pensare che, per effetto della chiamata del garante fatta allo scopo di estendergli l'accertamento del rapporto principale, si determini un cumulo di cause sul piano oggettivo, nel senso che alla causa originaria introdotta dall'attore contro il garante si sommi una causa ulteriore.
La costruzione, come s'è già detto, non è accettabile, perché la causa sul piano oggettivo, cioè l'oggetto del contendere, rimane identica a seguito della chiamata meramente estensiva e l'ingresso del garante ha solo l'effetto di attribuire al garante la qualità di parte processuale rispetto ad essa.
Se la causa è una non è allora nemmeno possibile immaginare che, qualora impugni il garante, sebbene, com'è necessario, contro l'attore vittorioso ed il garantito, spetti a quest'ultimo, se vuole sottrarsi anch'egli all'incidenza della soccombenza rispetto all'attore e non solo rispetto al garante, impugnare la propria soccombenza verso l'attore, altrimenti destinata a rimanere ferma, quasi che essa fosse una soccombenza diversa rispetto a quella sempre verso l'attore accertata - nel senso che sopra si è ipotizzato - in confronto del garante.
La soccombenza è sempre la stessa ed è stata messa in discussione dall'impugnazione del garante senza alcuna limitazione soggettiva, com'è normale quando sussiste un litisconsorzio necessario processuale e si deve individuare la legittimazione all'impugnazione secondo il concetto di causa inscindibile. L'impugnazione da esercitarsi necessariamente nei confronti di tutte le parti per la ricorrenza di una situazione di inscindibilità mette in discussione la decisione riguardo a tutte le parti destinatarie dell' impugnazione.
- 15. Si tratta di verificare se le soluzioni indicate debbano essere riproposte anche per l'ipotesi nella quale con la chiamata in garanzia il garantito non si sia limitato a chiedere l'estensione soggettiva al garante dell'accertamento sul rapporto principale, ma abbia anche chiesto l'accertamento del rapporto di garanzia e se del caso che il giudice gli riconosca la prestazione di garanzia condizionatamente alla soccombenza sul rapporto principale.
Caso al quale è da apparentare l'ipotesi in cui sia stato il garante, costituendosi, a chiedere un accertamento negativo del rapporto di garanzia o di un modo di essere di esso non giustificativo della pretesa di garanzia.
Anche in queste ipotesi le considerazioni sopra svolte restano immutate con riferimento all'estensione soggettiva dell'impugnazione riguardo al modo di essere del rapporto principale.
Se l'azione relativa a tale rapporto sia stata rigettata, riguardo a tale rigetto sarà soccombente l'attore originario.
- 15.1. Se era stato chiesto da una delle parti del rapporto di garanzia l'accertamento di tale rapporto solo per il caso di soccombenza del garantito, la relativa domanda risulterà assorbita e, dunque, non oggetto di decisione.
L'unico soccombente sarà l'attore originario e se egli impugna deve rivolgere l'impugnazione, non diversamente dal caso in cui la chiamata sia stata solo per ottenere l'estensione soggettiva, sia contro il garantito che contro il garante.
Chi aveva proposto la domanda inerente il modo di essere del rapporto di garanzia, non essendovi stata decisione su di essa, la potrà riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c.
Quindi se l'aveva proposta il garantito sarà lui a riproporla, se l'aveva proposta il garante sarà lui a riproporla.
Non sarà necessaria impugnazione incidentale perché manca l'oggetto dell'impugnazione, atteso che una decisione sulla domanda non vi era stata.
Né può pensarsi che la necessità della impugnazione si giustifichi perché, sebbene condizionatamente all'accoglimento dell'impugnazione dell'attore riguardo al rapporto principale, la decisione sulla domanda inerente il rapporto di garanzia che a questo punto debba darsi dal giudice dell'impugnazione in qualche modo verrebbe a risolversi in una "riforma" della decisione di primo grado e dunque esiga la postulazione di tale riforma con l'impugnazione. Non sarebbe dato comprendere come potrebbe parlarsi di riforma di una decisione che non vi era stata in ragione dell'assorbimento.
- 15.2. Se invece l'accertamento sul rapporto di garanzia era stato chiesto senza condizionamento ed abbia avuto luogo, aggiungendosi alla decisione di rigetto della domanda contro il garantito, una decisione riguardo al rapporto di garanzia (chiesta da lui o dal garante, come si è detto possibile), fermo sempre che l'attore deve impugnare la statuizione che gli ha rigettato tanto contro il garante che contro il garantito, occorrerà invece che chi nel rapporto di garanzia è rimasto soccombente, se vuole porlo in discussione, impugni in via incidentale, non bastando la sola riproposizione della domanda, dato che c'è una soccombenza da rimuovere ed essa, che non è stata posta in discussione dall'attore impugnante in via principale, che non era parte del rapporto di garanzia, può esserlo solo dalla parte di esso che è soccombente.
- 15.3. Se l'azione principale è stata accolta ed è stata riconosciuta la responsabilità del garantito, può essere accaduto o che l'azione che era stata proposta riguardo al rapporto di garanzia sia stata accolta o che essa sia stata rigettata.
Con riferimento a questa seconda situazione, il soccombente, tanto riguardo al modo di essere del rapporto principale quanto riguardo al modo di essere del rapporto di garanzia, è sempre e soltanto il garantito. Costui può scegliere di impugnare la sua soccombenza contemporaneamente tanto riguardo all'uno che all'altro rapporto se intende mettere la decisione in discussione riguardo ad entrambi.
Può però scegliere di impugnare solo riguardo ad uno dei rapporti.
In primo luogo può impugnare esclusivamente riguardo al rapporto principale ed in tal caso non deve coinvolgere il garante perché l'estensione soggettiva al garante dell'accertamento riguardo al rapporto processuale che era stata determinata dalla chiamata è da mantenere solo se giustificata dall'interesse del garante. Se il garantito esercita l'impugnazione solo nei confronti dell'attore vittorioso e non intende mettere in discussione la propria soccombenza rispetto al garante in tal modo egli dimostra di prestare acquiescenza alla soccombenza riguardo al rapporto di garanzia e tale acquiescenza elide l'estensione della legittimazione del garante rispetto al rapporto principale, perché essa potrebbe permanere solo per iniziativa del garantito che impugni anche la statuizione che lo vede soccombente sul rapporto di garanzia.
Il garantito, peraltro, potrebbe acquietarsi della soccombenza sul rapporto principale ed avere invece interesse a ridiscutere del rapporto di garanzia, perché l'accertamento del suo modo di essere non ha riguardato solo l'esclusione della prestazione di garanzia riguardo alla vicenda oggetto del rapporto principale, ma per profili che vanno oltre, come per esempio nel caso in cui il rapporto sia stato riconosciuto esistente in un certo modo tale non solo da non giustificare la prestazione di garanzia rispetto all'oggetto della domanda principale, ma anche potenzialmente rispetto ad altri diversi.
- 15.4. Si deve passare ad esaminare l'ipotesi in cui sia stata accolta l'azione principale e sia stata accolta l'azione di garanzia, che è poi quella che si è verificata nella fattispecie.
In tal caso è palese che il garantito è soccombente riguardo all'azione principale e vittorioso riguardo all'azione di garanzia.
- 15.4.1. In tale situazione si potrebbe pensare che egli non abbia interesse ad impugnare riguardo al rapporto principale perché ha visto riversare le conseguenze negative della sua soccombenza sul garante.
Tuttavia tale conclusione non può essere automatica: il garantito, convinto della bontà della tesi che aveva sostenuto per ottenere il rigetto della domanda principale, potrebbe avere interesse a perseguire l'accoglimento di questa tesi, perché, per il modo di essere del rapporto di garanzia, la fruizione della garanzia potrebbe avere, riguardo allo svolgimento di tale rapporto, un qualche effetto negativo (per esempio un aumento del corrispettivo oppure indurre un recesso della controparte). Si deve, dunque, ipotizzare che il garantito possa impugnare nei confronti dell'attore ed in tal caso egli deve necessariamente notificare anche al garante, ma non tanto perché la statuizione sul rapporto di garanzia sia dipendente da quella sul rapporto principale, in quanto è pregiudicata dall'accertamento della responsabilità del garantito avutasi in esso, bensì a monte e preliminarmente perché il garante è parte necessaria della stessa statuizione resa riguardo al rapporto principale.
L'art. 331 c.p.c. è, dunque, applicabile in prima battuta perché è inscindibile la causa sul rapporto principale, in quanto la chiamata aveva, come s'è veduto, esteso soggettivamente il giudizio su quel rapporto.
Fermo che l'impugnazione riguardo al rapporto principale è necessaria per la ragione ora detta, si deve, inoltre, pensare che, essendo la statuizione relativa al rapporto di garanzia una statuizione necessariamente condizionata a quella sul rapporto principale, essa, come non ha mancato di osservare una dottrina, sarebbe caducabile, nel caso di accoglimento dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 336, primo comma, c.p.c. E ciò tenuto conto che la relativa parte di sentenza sarebbe dipendente da quella caducata riguardo al rapporto principale nel contraddittorio del garante. L'alternativa è, comunque, il ritenere che il garantito che impugna rispetto al rapporto principale in ogni caso deve notificare al garante pure per la statuizione relativa al rapporto di garanzia in quanto essa è dipendente da quella sul rapporto principale.
Importa comunque notare che la situazione si iscrive nell'àmbito dell'art. 331 c.p.c. sia quanto al coinvolgimento del garante sia ai fini della discussione sul rapporto principale, sia sul rapporto di garanzia.
- 15.4.2. Nell'ipotesi in cui sia stata accolta l'azione principale e sia stata accolta l'azione di garanzia, con riferimento alla statuizione di accoglimento della domanda principale, l'interesse ad impugnare sussiste naturalmente anche in capo al garante, in quanto il riconoscimento della responsabilità del garantito, essendo avvenuto nel suo contraddittorio, gli è opponibile. Pertanto, se egli non ha da far valere soltanto ragioni di impugnazione relative al modo di essere del rapporto di garanzia, che sono state disconosciute dal giudice agli effetti dell'accoglimento dell'azione di garanzia e che prescindono dall'esistenza del rapporto principale come fatto costitutivo della garanzia, essendo relative solo al detto rapporto, è certamente legittimato, in forza della estensione della legittimazione processuale che nei suoi confronti vi era stata, a proporre impugnazione riguardo al rapporto principale.
Tale impugnazione, stante il carattere necessario sul piano processuale del litisconsorzio così determinatosi, necessariamente dovrà svolgersi sia nei confronti dell'attore del rapporto principale sia nei confronti del garantito e sarà sufficiente essa a rimettere in discussione la decisione su quel rapporto anche a vantaggio del garantito e ciò senza necessità di una impugnazione incidentale da parte sua. E ciò per ragioni analoghe a quelle enunciate sopra a proposito dell'ipotesi di svolgimento della chiamata in garanzia solo con effetto estensivo e senza esercizio dell'azione di garanzia. Ragioni che sono integralmente riproponibili.
Naturalmente l'impugnazione del garante potrà attingere anche i profili relativi all'azione di garanzia, se egli denunci ragioni di ingiustizia dell'accoglimento di tale azione diverse da quella relativa alla contestazione del rapporto principale. Altrimenti, se tali ragioni non vi siano, è palese che il capo di decisione di accoglimento dell'azione di garanzia, ancorché non impugnato direttamente, in quanto capo dipendente dall'accoglimento dell'azione relativa al rapporto principale, resterà caducato ai sensi dell'art. 336, primo comma, c.p.c., in quanto dipendente, dall'accoglimento dell'impugnazione svolta sul rapporto principale. Mentre se quelle ragioni siano state fatte valere, l'accoglimento dell'impugnazione del garante quanto al rapporto principale determinerà il loro assorbimento, atteso l'effetto caducatorio nei termini ora detti.
- 16. Una volta concluso che l'impugnazione del garante riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si fosse esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell'accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa fosse stata cumulata la domanda di garanzia, è idonea ad investire il giudice dell'impugnazione anche a favore del garantito, attesa la struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo stesso garantito a realizzare l'estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto principale, ci si deve domandare (nell'uno come nell'altro caso) quali possano essere le modalità di svolgimento della difesa del garantito in sede di impugnazione.
- 16.1. In tanto, egli, potrebbe avere da far valere delle ragioni di censura della decisione sul rapporto principale e, quindi, motivi di impugnazione ulteriori rispetto a quelli prospettati dal garante ed in tal caso è possibile ed anzi è necessario che egli svolga un'impugnazione incidentale, la quale, provenendo da chi è parte di un giudizio inscindibile ai sensi dell'art. 331 c.p.c. ben potrà essere svolta anche quale impugnazione incidentale tardiva.
L'impugnazione incidentale è necessaria in questo caso per estendere l'impugnazione ai motivi che il garante non ha dedotto, perché altrimenti si verificherebbe acquiescenza sui punti della decisione impugnata cui essi si correlano. Dei nuovi motivi beneficerà anche il garante.
- 16.2. Ove, invece, il garantito non abbia queste ragioni di contestazione ulteriori che sole potrebbero giustificare un'impugnazione al di là di quanto ha prospettato già il garante, egli ben potrà, costituendosi in giudizio, limitarsi invece a far proprie le ragioni dell'impugnazione del garante, atteso che, come si è visto l'impugnazione gli giova.
- 16.3. Egli, peraltro, potrebbe reputare che l'impugnazione quanto al rapporto principale del garante non è giustificata ed in tal caso la potrà contestare, adducendo che la decisione impugnata resa quanto a detto rapporto è corretta: in tal caso, ove tale atteggiamento, in quanto tenuto nel processo, possa essere apprezzato come riconoscimento di fondatezza della domanda dell'attore del rapporto principale, il giudice dell'impugnazione ne potrà prendere atto e potrà dare atto di tale riconoscimento limitando gli effetti del suo accertamento al solo rapporto fra garantito e attore del rapporto principale.
Decidendo sull'impugnazione del garante, invece, potrà, se ne sussista il fondamento, caducare la decisione impugnata nel suo effetto di accertamento della fondatezza della domanda relativa al rapporto principale esclusivamente in confronto del garante, giacché nei riguardi di costui gli atti dispositivi del rapporto principale ad efficacia sfavorevole, compiuti dal garantito non sono a lui opponibili.
Tale soluzione non deve sorprendere.
Se è vero che il litisconsorzio è necessario, tuttavia lo è, come si è detto, sul piano processuale, ma non sul piano del tenore della decisione: essa dev'essere unitaria solo se le posizioni assunte dai litisconsorti e le emergenze istruttorie giustifichino la stessa decisione.
Essendovi stato riconoscimento della fondatezza della domanda da parte del garantito nel corso del giudizio sul rapporto principale che egli stesso aveva esteso al garante, tale riconoscimento non può riguardare nei suoi effetti il rapporto processuale così esteso, bensì soltanto il rapporto fra lui e il pretendente.
Si deve considerare, d'altro canto, e la considerazione vale anche per il primo grado di giudizio e per atti dispositivi del rapporto compiuti dal garantito nel corso di esso, che il regime di un atto dispositivo compiuto nel processo qual è la confessione del garantito, vertendosi in tema di litisconsorzio necessario processuale e non di litisconsorzio necessario iniziale (in cui la legge impone che la stessa decisione sia resa unitariamente, senza distinguere riguardo al suo contenuto le posizioni dei litisconsorti) sfugge alla norma dell'art. 2733 c.c., nel senso che la confessione, che è tipico atto dispositivo, dispiega i suoi effetti solo nel rapporto fra garantito e pretendente, ma non nei confronti del garante.
D'altro canto, se si immagina che un atto dispositivo del rapporto principale venga compiuto stragiudizialmente dal garantito nella pendenza del termine per impugnare la decisione a lui sfavorevole su quel rapporto con un atto di accettazione della stessa espresso o tacito, poiché tale atto è produttivo di effetti solo nel rapporto fra garantito e pretendente, nel caso di impugnazione della decisione sul rapporto principale da parte del garante, ferma la legittimazione di entrambi detti soggetti, la conseguenza sarà che detta acquiescenza vincolerà l'atteggiamento processuale del garantito nel processo di impugnazione introdotto dal garante in cui comunque dev'essere coinvolto per la discussione sul rapporto principale. In tal caso il garantito, naturalmente, non potrà pentirsi e non potrà giovarsi dell'eventuale decisione favorevole sul rapporto principale che il garante potrà ottenere.
Resta in fine da dire che, qualora, a seguito dell'impugnazione del garante, che abbia riguardato il rapporto principale riguardo al quale era stato dichiarato soccombente il garantito, costui rimanga contumace, l'atteggiamento di contumacia non potrà certamente intendersi come una sua tacita acquiescenza, atteso che l'ordinamento attribuisce alla contumacia solo effetti tipizzati e fra essi non si rinviene un effetto di tal genere.
L'accoglimento dell'impugnazione del garante gioverà, dunque, anche in tal caso al garantito contumace.
- 17. Può passarsi ora ad applicare i risultati delle considerazioni che si sono venute svolgendo ed i principi di diritto che si sono venuti enunciando alla questione rimessa alle Sezioni Unite ed al presente ricorso.
L'applicazione di tali principi, una volta ritenuta priva di effetti la distinzione fra garanzia propria e garanzia impropria, può e deve avvenire con riferimento alla fattispecie oggetto di lite, che si iscrive nella nonna dell'art. 1917 c.c., a prescindere dalla qualificazione nell'uno o nell'altro senso dell'ipotesi di garanzia da essa prevista. Qualificazione che assume mero carattere classificatorio e su cui non merita indugiare.
Il primo e terzo motivo sono fondati per quanto di ragione ed il secondo resta assorbito.
Si deve, infatti, rilevare che la cooperativa qui ricorrente non aveva necessità di proporre appello incidentale per rimettere in discussione, sulla base delle stesse ragioni fatte valere dalla società garante, la sentenza del primo giudice quanto all'accoglimento della domanda principale riguardo al quantum debeatur, sotto il profilo della mancanza di prova.
L'appello proposto dalla società assicuratrice estendeva i suoi effetti anche alla cooperativa, che si era costituita ed aveva condiviso le ragioni dell'appello sul rapporto oggetto della domanda principale e, pertanto, il Tribunale, una volta ritenuto tale appello fondato avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado anche quanto all'affermazione della fondatezza della domanda rivolta contro la cooperativa e rigettare la domanda stessa anche nei suoi riguardi.
Erroneamente il Tribunale ha invece ritenuto di non poterlo fare perché la cooperativa non aveva svolto un appello incidentale.
Un simile appello sarebbe stato, però, necessario solo per far valere ragioni di ingiustizia della decisione di riconoscimento della fondatezza della domanda principale ulteriori rispetto al motivo di impugnazione svolto dalla società assicuratrice a proposito della mancata dimostrazione del quantum del danno come ragione sufficiente per rigettare la domanda degli attori contro la convenuta qui ricorrente.
Bene quest'ultima, non avendo evidentemente altre ragioni di impugnazioni da svolgere, si era, invece, limitata ad aderire all'impugnazione della società assicuratrice, giusta i principi che si sono sopra esposti.
L'adesione risulta espressa nella comparsa di costituzione in appello presente nel fascicolo d'ufficio del Tribunale), là dove si scrisse che "per quanto attiene il punto IV dell'appello, ci si associa alle richieste ed agli assunti di parte appellante" (pag. 3, righi 11 e 12): il punto IV dell'appello riguardava la carenza di prova della domanda ed al sui interno (sub A) la carenza relativa al quantum (poi ritenuta decisiva dal Tribunale), come emerge dall'atto presente nel fascicolo stesso.
Nel caso di specie il Tribunale avrebbe dovuto applicare il principio per cui l'impugnazione della società assicuratrice garante riguardo al rapporto principale inerente la responsabilità della cooperativa assicurata estendeva i suoi effetti anche a favore di quest'ultima, in quanto essa, costituendosi, aveva condiviso le ragioni di detta impugnazione e non se ne era dissociata riconoscendo la fondatezza della decisione sul rapporto principale resa dal primo giudice.
La soluzione non avrebbe potuto essere diversa se la cooperativa fosse rimasta contumace.
E' poi appesa il caso di rilevare che la cooperativa non aveva fatto né acquiescenza espressa né acquiescenza tacita.
L'assorbimento del secondo motivo deriva dal fatto che, una volta esclusa la necessità dell'appello incidentale sul punto già oggetto dell'appello principale della società garante, non occorre domandarsi se comunque, in presenza di un suo appello incidentale svolto quanto ad altra questione (la riconvenzionale) la difesa della società garantita su quel punto potesse intendersi come un sostanziale appello incidentale.
- 18. La sentenza impugnata va cassata quanto alla conferma della decisione di primo grado nei confronti della qui ricorrente e, non occorrendo accertamenti di fatto per provvedere sul punto dell'estensione degli effetti dell'accoglimento dell'appello della società assicuratrice anche a vantaggio della ricorrente, la cassazione può disporsi senza rinvio e farsi luogo ad una decisione di merito, che rigetti la domanda degli attori anche nei confronti della qui ricorrente.
Le spese dell'intero giudizio vanno compensate anche nel rapporto processuale fra la ricorrente e gli attori.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata riguardo al capo che ha confermato la decisione di primo grado nel rapporto fra i resistenti e la ricorrente.
Pronunciando nel merito sul punto rigetta la domanda degli attori resistenti anche nei confronti della L. s.c. a.r.l. Compensa le spese di tutti i gradi nel relativo rapporto processuale.
Così deciso nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili il 9 giugno 2015.
IL PRESIDENTE
Luigi Antonio Rovelli
IL CONSIGLIERE EST
Raffaele Frasca
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2015
IL FUNZIONARIO GIUIZIARIO
Paola Francesca Campoli