REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Luigi Antonio Rovelli - Primo Pres.te f.f. -
Dott. Mario Finocchiaro - Presidente Sezione -
Dott. Giovanni Amoroso - Presidente Sezione -
Dott. Renato Bernabai - Consigliere -
Dott. Giovanni Mammone - Consigliere -
Dott. Angelo Spirito - Consigliere -
Dott. Annamaria Ambrosio - Consigliere -
Dott. Antonio Greco - Consigliere -
Dott. Pasquale D'Ascola - Consigliere Rel. -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 4248/2016
sul ricorso 3776-2009 proposto da:
G. M. ...omissis..., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio degli avvocati Franco Miglino, Arnaldo Miglino E Chiara Gambardella, che la rappresentano e difendono, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
D. A. ...omissis..., in persona del procuratore speciale N. N., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato Costantino Montesanto, per delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
nonché contro
G. A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 449/2008 della CORTE D'APPELLO di Salerno, depositata il 29 aprile 2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22 settembre 2015 dal Consigliere Dott. Pasquale D'Ascola;
udito l'Avvocato Arnaldo Miglino;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha concluso per la ritrasmissione degli atti alla Sezione per consentire la eventuale produzione della procura.
ESPOSIZIONE DEL FATTO
1) Con sentenza n. 3263/2005 il Tribunale di Salerno adito da D. A., rappresentato dal suo procuratore speciale N. N., nei confronti di G. M. e G. R. - accolse le domande dell'attore, dirette ad ottenere l'accertamento dell'avvenuta usucapione di un locale terraneo in Cetara e la dichiarazione di nullità dell'atto di divisione intercorso tra le convenute il 20 maggio 1992, nella parte in cui il bene in questione era stato assegnato alla prima di loro.
Il Tribunale rigettò la domanda riconvenzionale, avente per oggetto la condanna dell'attore alla rimozione di un lucchetto che aveva apposto a chiusura dell'immobile, al rilascio di questo, al risarcimento di danni.
Impugnata da G. M., la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Salerno, che con sentenza n. 449 del 29 aprile 2008 ha rigettato il gravame.
G. M. nel febbraio 2009 ha proposto ricorso per cassazione, in base a undici motivi.
N. N., in rappresentanza di D. A., si è costituito con controricorso.
G. R. non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza n. 25353 del 2014 la Seconda sezione civile ha trasmesso gli atti al Primo Presidente della Corte, il quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite, affinché in relazione al primo motivo sia risolto un contrasto di giurisprudenza rilevante per la decisione.
La causa è stata nuovamente discussa alla odierna udienza.
E' stato dato avviso al difensore del controricorrente, che ha eletto domicilio in Cetara (Salerno), sia con comunicazione presso la cancelleria della Corte di Cassazione, sia al numero di fax (Cass. SU 10143/12; 7658/13).
MOTIVI DELLA DECISIONE
2) Con il primo motivo ("inosservanza, violazione, falsa applicazione degli artt. 77 e 100 c.p.c.") viene denunciato che il procuratore N. N. non ha prodotto in nessun grado di giudizio la procura notaio B. B. del 2001 dalla quale dovrebbe derivare il suo potere sostanziale e processuale di rappresentare il sig. D. A..
Parte ricorrente ne inferisce la mancanza in capo all'istante di un "potere rappresentativo di natura sostanziale" e ne chiede la verifica.
2.1) L'ordinanza 25353/14 ha rilevato: che il resistente ha replicato che l'eccezione di cui si tratta non può avere ingresso in questa sede, in quanto è stata sollevata per la prima volta in sede di legittimità e implica la necessità di accertamenti e valutazioni di merito;
che "l'obiezione del controricorrente" non è fondata quanto a quest'ultimo profilo, «essendo stato dedotto un vizio di natura processuale, in relazione al quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto»;
che con riguardo al profilo relativo alla "novità" della questione - non prospettata e non rilevata nei gradi di giudizio di merito - la giurisprudenza di legittimità non è univoca.
In particolare la Seconda sezione ha ricordato che (SU 24179/09) "in tema di rappresentanza processuale, il potere rappresentativo, con la correlativa facoltà di nomina dei difensori e conferimento di procura alla lite, può essere riconosciuto soltanto a colui che sia investito di potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il difetto di poteri siffatti si pone come causa di esclusione anche della legitimatio ad processum del rappresentante, il cui accertamento, trattandosi di presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, può essere compiuto in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, con il solo limite del giudicato sul punto, e con possibilità di diretta valutazione degli atti attributivi del potere rappresentativo".
La Sezione ha osservato che le Sezioni Unite non hanno però precisato se la formazione del "giudicato sul punto" debba derivare dall'affermazione del giudice circa la sussistenza del potere rappresentativo in chi agisce in giudizio in nome altrui, o «se possa desumersi senz'altro dall'avvenuta decisione nel merito della causa».
L'ordinanza di rimessione ha aggiunto che «in proposito, nell'ambito delle sezioni semplici, si è delineato un contrasto di giurisprudenza poiché la Prima sezione con la sentenza 30 ottobre 2009 n. 23035 e la sezione Lavoro con la sentenza 21 dicembre 2011 n. 28078 si sono orientate, rispettivamente, nel senso della sufficienza di giudicato "implicito" e nel senso della necessità del giudicato "esplicito".
In particolare la sentenza 23035/09 ha affermato che "il limite della rilevanza del difetto di valida rappresentanza processuale è costituito dal formarsi del giudicato, il quale impedisce il riesame non solo delle ragioni o questioni giuridiche che sono state proposte e fatte valere in giudizio, ma anche di quelle che, seppure non espressamente dedotte o rilevate, costituiscono il necessario presupposto, anche di ordine processuale, della pronuncia di merito (cd giudicato implicito); conseguentemente, è inammissibile nel giudizio di legittimità il motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di rappresentanza di un ente collettivo nei precedenti gradi del giudizio, quando lo stesso non sia stato mai dedotto nel corso dei medesimi", Per contro, secondo la massima della citata sentenza della Sezione Lavoro (n. 28078/11): "poiché la delega del presidente dell'Inpdap ad un direttore di sede periferica, per agire in giudizio, attiene al momento genetico del processo e alla valida instaurazione del contraddittorio, la procura da questi conferita al difensore dichiarando di agire per l'Inpdap, senza neppure dedurre di averne ricevuto i poteri rappresentativi in base alla suddetta delega, determina la nullità del giudizio, rilevabile d'ufficio sempreché, sulla specifica questione, non si sia formato il giudicato interno, che si determina allorché la carenza del potere rappresentativo sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello".
3) Il quesito posto dalla Seconda Sezione va esaminato, giacchè la questione, che è anche rilevabile d'ufficio, consente alla Corte le verifiche di fatto indispensabili allo scopo, in quanto ha natura processuale (cfr. tra le tante: Cass. 17653/12; 12664/12; 8077/12; 1221/06). Consta pertanto, dall'esame del fascicolo, che parte controricorrente non ha versato in atti la procura generale con la quale D. A. Alba avrebbe investito il figlio Gennaro del potere rappresentativo ora contestato dal ricorrente.
Lo stesso controricorso, che tace sul punto, e si trincera dietro la novità della questione sollevata con il primo motivo, non ha negato la mancanza della produzione.
Neanche in corso di trattazione il controricorrente, che era gravato dell'onere di documentare la esistenza dei propri poteri di rappresentanza, ha provveduto a darne documentazione o a dedurre in ordine al testo della procura o alle modalità di rilascio.
4) Il tema del giudicato implicito sulle questioni processuali ha trovato rinnovata ampia trattazione a partire dalla svolta giurisprudenziale, concretizzatasi con Cass. Sez Un. 24883/08, in tema di applicazione dell'art. 37 c.p.c., norma secondo la quale il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo".
La Corte ha in quella circostanza stabilito che: «1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d'ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito.
In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l'affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l'unico tema dibattuto sia stato quello relativo all'ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l'evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito».
4.1) Questo orientamento è stato tenuto fermo dalle Sezioni Unite (SU 8075/15; 22745/14; 9693/13; 9594/12), nonostante le opinioni dottrinali, restie ad accettare un «uso improprio del "giudicato implicito"» e in particolare che il "vincolo dei principi" prevalga su quanto desunto dalle regole positivamente stabilite.
Esso costituisce ormai diritto vivente (cfr. Cass. SU 29/2016) ed è stato recepito dal codice del processo amministrativo all'art. 9.
4.1.1) Le Sezioni Unite, poche settimane dopo aver reso la sentenza 24883/08, hanno precisato la portata della novità immessa nel sistema.
Nei paragrafi da § 3.5) a 3.11), la sentenza 26019/2008 ha affermato che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della corte di cassazione, va ritenuto compatibile con la prospettiva del giusto processo di cui all'art. 111 cost., allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio - in quanto tale sistema di verifica consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell'actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c. da parte del litisconsorte pretermesso - ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi, come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell'azione, la decadenza sostanziale dall'azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale.
La Corte ha osservato che in tutte queste ipotesi si prescinde "dal vizio relativo all'individuazione del giudice", poiché si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, "difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio". 4.2) La dottrina ha colto, nel trittico di sentenze del 2008 (va ricordata anche la n. 29523/08) e nella approfondita pronuncia in tema di ricorso incidentale (SU n. 5456/09), la quale pure ha escluso (§10.2) che sussista una decisione implicita sulle questioni processuali diverse dalla giurisdizione, i segni dell'adesione alla teoria del c.d. doppio oggetto del processo, descritta da SU n. 6737/02, in un passo testualmente ripreso da SU n. 24883/08.
Non è qui il caso di soffermarsi su questo profilo teorico: giova ai nostri fini rilevare che è stato comunque confermato, al di là dei perduranti dissensi dottrinali sul giudicato implicito in ordine alla giurisdizione, che ha pregio la distinzione tra diverse soluzioni: quella riservata alla questione di giurisdizione e quella che è prospettata da SU n. 26019/08 per le questioni processuali "fondanti".
Queste ultime non si possono considerare implicitamente risolte, ma sono soggette alla verifica dei giudici delle impugnazioni, perché servono a salvaguardare l'ordinamento dal disvalore "di sistema" costituito dall'emissione di sentenze inutiliter datae.
E' stato prospettato che solo per le questioni pregiudiziali di rito di minor rilievo, che non condizionino cioè "l'efficacia e l'utilità stessa della decisione", vi sarebbe materia per un ripensamento a livello normativo, che muova dalla riscrittura dell'art. 37.
Resta invece consolidato l'insegnamento che vuole sempre riesaminabili, salvo che in sede di rinvio, le questioni vitali (capacità di agire, litisconsorzio, giudicato, etc.) individuate da Cass. 26019/08, non esplicitamente risolte.
Una malintesa visione della ragionevole durata del processo non deve condurre a sormontare la "giustezza" del processo, che è tale se si evita di far nascere occasionalmente una sentenza instabile, perché facilmente sottomessa alle folgori dell'opposizione ex art. 404 c.p.c. o del contrasto con il precedente giudicato (cfr supra, SU 26019/08, § 3.5).
4.3) In questa direzione cospira, se ve ne fosse bisogno, anche quanto le Sezioni Unite hanno avuto modo di osservare, occupandosi delle impugnative negoziali (SU 26242/14), sul tema del giudicato implicito. Ivi è stato affermato che nel nostro sistema positivo non è riconosciuta l'idea di "un giudicato implicito che postuli il rigoroso e ineludibile rispetto dell'ordine logico-giuridico delle questioni".
E se questa considerazione cadeva a proposito di una questione di merito e si riferiva al controverso operare del meccanismo del c.d. dedotto e deducibile, rivisto alla luce delle dottrine di matrice tedesca sul motivo portante del giudicato, ancor più appropriata suona con riguardo alle questioni processuali tra le quali si pone quella esaminata, che concerne la sussistenza del potere di rappresentanza in capo a colui che abbia agito in giudizio in nome di altri.
5) La mancanza del potere di rappresentanza, essendo quest'ultima una delle condizioni di esistenza del potere di azione, giustifica il rilievo officioso in sede di legittimità anche se non vi sia stata contestazione nei gradi di merito.
Va dunque ribadito quanto già appartiene all'insegnamento manualistico: all'indispensabilità della qualità di rappresentante sostanziale (oltre a SU 24179/09 cit., v. Cass. 16274/15 e 4248/13) fa riscontro anche la necessità di conferire per iscritto (art. 77 c.p.c) la legittimazione processuale, così come quest'ultima non può esistere senza la prima.
E' utile ricordare che proprio con una giustificazione di sicuro taglio processuale le Sezioni Unite hanno rivisto l'inquadramento del rilievo della inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator.
A tutela della sicurezza dei traffici giuridici, si è osservato, è stato posto nell'ambito delle mere difese il potere della parte di rilevare il difetto di rappresentanza, della cui assenza, risultante dagli atti, il giudice deve peraltro tener conto anche in mancanza di una specifica richiesta di parte (SU 11377/15).
5.1) A questo inevitabile rigore fa da riscontro simmetricamente, come vuole parte della dottrina, la ampia sanabilità del vizio della rappresentanza volontaria di cui qui si tratta - l'odierna sentenza non tratta infatti dei vizi della procura - ammessa dall'art. 182 c.p.c.
Deve essere in proposito rammentato che secondo le Sezioni unite (Cass. 9217/10), già in controversia instaurata prima della novella n. 69 del 2009, «l'art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione "può" assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev'essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall'art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice "deve" promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti "ex tunc", senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali».
5.1.1) Questo principio va in linea di principio confermato, con la precisazione che qualora il rilievo del vizio non sia officioso, ma venga per la prima volta sollevato in sede di legittimità dalla controparte, sorge immediatamente per il rappresentato l'onere di procedere alla sanatoria, con la produzione necessaria allo scopo.
Non v'è infatti luogo per assegnare un termine, a meno che non sia motivatamente richiesto, allorquando il rilievo non sia officioso (e quindi nuovo), perché il giudice è stato preceduto dal rilievo di parte, sul quale l'avversario è chiamato a contraddire (cfr infra sub 5.3).
5.2) La opzione interpretativa avviata nel 2010 (riconosciuta anche da Cass. 23670/08; 7529/09; più di recente cfr Cass. 11898 del 28/05/2014), che è intesa a favorire la celebrazione del processo al fine di giungere a una stabile soluzione di merito, è sicuramente nel senso che si può desumere dal disposto vecchio e nuovo dell'art. 182 c.p.c..
Esso mira, oggi più esplicitamente, a consentire che sia posto rimedio alla nullità rilevante.
Occorre perciò evitare per quanto possibile, in funzione della pienezza del rimedio, disarticolazioni nei vari gradi di giudizio "fra rilevabilità e sanabilità del difetto".
E' stato sostenuto in dottrina, per contestare la sanabilità in sede di impugnazione del difetto di legittimazione processuale che il rilievo in appello potrebbe incidere sul principio di parità delle parti. Sarebbe infatti consentito al falso rappresentato, e non all'altra parte, di giovarsi, con la ratifica, solo dei giudizi in cui la sua posizione sia risultata vittoriosa, rigettando le conseguenze della soccombenza.
L'osservazione non è convincente: l'altra parte ha comunque interesse ad una pronuncia che non sia esposta a impugnazioni straordinarie, ma venga utilmente reincanalata; inoltre potrà pur sempre rivalersi sul falso rappresentante, se ve ne sono le condizioni.
Peraltro anche la dottrina più perplessa (ma le perplessità concernono soprattutto la diversa materia dei vizi della procura) riconosce che le situazioni contemplate dall'art. 182 sono molteplici: non è questa l'occasione per compilarne una mappa, ognuna potendo meritare una riflessione, pur alla luce del principio generale adottato.
5.3) Tirando le fila del discorso che si è condotto, occorre quindi respingere le posizioni rispecchiate in precedenza da Cass. 17893/09 e Cass. SU 23019/05, restie alla sanatoria in grado di impugnazione, e riaffermare l'opposto principio, secondo il quale è possibile la sanatoria del difetto di rappresentanza, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie (v. Cass. 22099/13; 798/13).
Giova chiarire che qualora sorga in sede di legittimità la contestazione esplicita del potere rappresentativo del soggetto che ha agito in giudizio, o stia resistendo, la prova (documentale) della sussistenza della legittimazione processuale può essere fornita anche in questa sede, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ.. (v. Cass. 12547/03; 24813/13) La mancanza di ogni produzione impone, nel caso odierno, di adottare la soluzione in rito di cassazione della sentenza impugnata, dichiarando la nullità di tutti gli atti del giudizio svoltosi su impulso processuale viziato.
6) Resta assorbito l'esame degli altri motivi di ricorso.
Le spese dei giudizi di merito possono essere equamente compensate tra le parti, poiché parte Giordano non ha verificato in quella sede il potere rappresentativo dell'attore, pervenendo all'eccezionale situazione della contestazione tardiva. Le spese di questo grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso.
Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara la nullità di tutti gli atti del giudizio.
Dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.
Condanna parte resistente alla refusione delle spese di questo grado di giudizio liquidate in euro 3.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili tenuta il 22 settembre 2015.
IL PRESIDENTE
Luigi Antonio Rovelli
IL CONSIGLIERE EST
Pasquale D'Ascola
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2016
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Paola Francesca Campoli