REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Giacomo Travaglino - Presidente -
Mario Cigna - Consigliere -
Gabriele Positano - Consigliere -
Stefano Giaime Guizzi - Rel. Consigliere -
Marilena Gorgoni - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 10423/2019
sul ricorso 15372-2016 proposto da:
C. I., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELLO SPANO, BENEDETTO BALLERO giusta procura in calce al ricorso;
contro
- ricorrente -
AZIENDA OSPEDALIERA B., G. S., RAPPRESENTANTE GENERALE ASSICURATORI DEI L.;
- intimati -
nonché da
G. S., AZIENDA OSPEDALIERA B. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell'avvocato ANTONIA DE ANGELIS, rappresentati e difesi dall'avvocato SERGIO SEGNERI giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrenti incidentali -
contro
C. I., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELLO SPANO, BENEDETTO BALLERO giusta procura in calce al ricorso principale;
- controricorrente all'incidentale -
nonchè contro
RAPPRESENTANTE GENERALE ASSICURATORI DEI L.;
- intimata -
nonché da
RAPPRESENTANTE GENERALE PER L'ITALIA per ASSICURATORI DEI L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI 2/A, presso lo studio dell'avvocato UMBERTO SEGARELLI, rappresentata e difesa dall'avvocato LUIGI ZINGARELLI giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrente incidentale -
contro
C. I., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELLO SPANO, BENEDETTO BALLERO giusta procura in calce al ricorso principale;
- controricorrente all'incidentale -
nonchè contro
G. S., AZIENDA OSPEDALIERA B.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 271/2016 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 21/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FULVIO TRONCONE che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso principale, rigetto per il resto; accoglimento del secondo motivo incidentale dei L. con rigetto del primo motivo; accoglimento del ricorso incidentale AZIENDA OSPEDALIERA e Dott. G. S.;
udito l'Avvocato CRISTIANO CHIOFALO per delega;
udito l'Avvocato SERGIO SEGNERI anche per delega;
FATTI DI CAUSA
1. C. I. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 271/16, del 17 gennaio 2016, della Corte di Appello di Cagliari, che - in accoglimento del gravame esperito dall'Azienda Ospedaliera B. e da G. S. avverso la sentenza n. 943/13, del 13 marzo 2013, del Tribunale di Cagliari - ha rigettato la domanda risarcitoria, da responsabilità sanitaria, proposta, avverso i predetti soggetti, dall'odierna ricorrente.
2. Riferisce, in punto di fatto, la C. I. di avere adito il Tribunale cagliaritano per conseguire il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un intervento di splenectomia totale, eseguito da equipe medica diretta dal dott. G. S. il 13 giugno 2005, dopo che le era stata prospettata - anche all'esito di esame ecografico, eseguito il precedente 27 maggio - la necessità solo dell'asportazione di una cisti splenica, non ricevendo, così, la paziente alcuna preventiva informazione in merito all'operazione effettivamente eseguita.
Deduce, inoltre, la C. I. di aver accusato, all'esito dell'operazione, fortissimi dolori toracici e dispnea, essendo sottoposta a due toracentesi, il 16 ed il 20 giugno 2005, senza però ricevere, nuovamente, alcuna informativa sulla natura e sulla causa delle predette complicanze e sulla terapia praticata. Dimessa dall'ospedale B. il 22 giugno, dopo essersi rifiutata di sottoporsi ad un nuovo intervento di toracentesi, la C. I., lamentando ulteriori dolori addominali, si recava, il giorno successivo, presso l'ospedale H. di Cagliari, dove - previa diagnosi di un versamento pleurico, sia in sede sottodiaframmatica sinistra, che nella loggia splenica - veniva dimessa il giorno 29 giugno. Ricoverata nuovamente, in data 2 luglio 2005, presso l'ospedale B. (ove le era stato consigliato di sottoporsi ad un controllo urgente, nel reparto in cui era stata operata), la C. I. veniva sottoposta, tre giorni dopo, ad una tomografia computerizzata all'addome, nonché, il successivo 7 luglio, ad un drenaggio TC guidato, per essere, infine, dimessa il 13 luglio.
Lamentando il persistere di dolori toracici ed addominali, nonché gonfiore, dispnea e stato ansioso-depressivo, oltre a una lesione del nervo frenico (comportante la presenza di singhiozzo incoercibile dopo i pasti) in conseguenza dell'intervento di splenectomia, l'odierna ricorrente si rivolgeva, come detto, al Tribunale di Cagliari, per chiedere il risarcimento dei danni all'Azienda Ospedaliera B. (che otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa il proprio assicuratore, i L. di Londra) e al dott. G. S..
Soddisfatta parzialmente dal primo giudice la pretesa attorea, in accoglimento del gravame principale del B. e del G. S. (respinto, invece, quello incidentale di essa C. I.), il giudice di seconde cure rigettava, invece, la proposta domanda di risarcimento danni.
3. Avverso la sentenza della Corte sarda ha proposto ricorso per cassazione la C. I., sulla base - come detto - di tre motivi.
3.1. Il primo motivo deduce - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2, 13 e 32, Cost., nonché all'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
Si censura la sentenza impugnata per avere rigettato la domanda di risarcimento del danno da lesione del diritto del paziente all'informazione. Si assume, infatti, per un verso, la sua erroneità, per aver circoscritto la portata dell'obbligo informativo alle sole alternative rispetto all'intervento chirurgico praticato, non avendo, invece, considerato anche le informazioni che il medico (e la struttura) avrebbero dovuto fornire, in primo luogo, sul diverso intervento chirurgico eseguito e sulle sue possibili complicanze, poi, peraltro, verificatesi. Per altro verso, errata sarebbe la decisione del giudice di appello per aver ritenuto "emendata" l'omessa informativa in ragione del fatto che la splenectomia costituiva, nella specie, la tecnica operatoria da preferirsi, date le condizioni della paziente.
3.2. Il secondo motivo ipotizza - ai sensi, congiuntamente, dei nn. 3) e 5) del comma 1 dell'art. 360 cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., oltre che degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio.
Ci si duole dell'omesso esame delle risultanze processuali e della mancata corretta applicazione dei principi in materia di prova del danno. In particolare, si assume che, in assenza di tali vizi, il giudice di appello avrebbe sicuramente individuato la causa delle conseguenze dannose lamentate da essa ricorrente, non in una fantomatica rimozione del drenaggio da parte della paziente stessa (addebitata, ipoteticamente, ad un movimento involontario), bensì nella mancata evacuazione dell'essudato siero-ematico, formatosi nella loggia splenica dopo l'intervento, da ascrivere, pertanto, alla condotta dei sanitari. E ciò per avere essi mancato di verificare la presenza del versamento pleurico in sede sottodiaframmatica, nonché di monitorarne l'andamento, e per avere, infine, tardato a mettere in pratica il drenaggio TAC guidato.
Si lamenta, infine, che la Corte cagliaritana avrebbe omesso di motivare il mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno conseguente all'insorgenza di una sindrome ansioso-depressiva.
3.3. Infine, con il terzo motivo si deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. - nullità della sentenza o del procedimento, per avere la Corte di appello omesso di pronunciare sull'eccezione di nullità della CTU.
Siffatta eccezione, in particolare, era tesa a dimostrare come l'ausiliario avesse fondato le proprie conclusioni su mere allegazioni difensive delle parti, prive di riscontro probatorio o comunque oggettivo, nonché sconfessate dalla documentazione ritualmente prodotta in causa.
4. L'Azienda Ospedaliera B. e G. S. hanno resistito, con controricorso, all'avversaria impugnazione, che hanno chiesto dichiararsi inammissibile (per violazione del principio di autosufficienza) o infondata.
Essi, inoltre, hanno proposto ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
In particolare, è dedotta - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. - "omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio".
Si contesta l'affermazione della Corte cagliaritana secondo cui né essa Azienda ospedaliera, né il dott. G. S., avrebbero dimostrato di aver acquisito consenso informato dalla C. I. proprio in ordine all'intervento di splenectomia. La censura è fondata sul rilievo che sulla richiesta di ammissione di prova per testi, relativa proprio alla circostanza suddetta, non è intervenuta alcuna decisione, né in primo grado, né in appello.
5. Anche i L. hanno resistito, con controricorso, all'avversaria impugnazione, della quale hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità - del primo motivo, ai sensi dell'art. 360-bis, comma 1, n. 1), cod. proc. civ., del secondo, per mescolanza di censure eterogenee, ed infine del terzo per difetto di autosufficienza - o di infondatezza.
Essi, inoltre, hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.
5.1. Il primo motivo, in particolare, ipotizza - ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. - nullità della sentenza e del procedimento per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ovvero per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.
Deducono i ricorrenti incidentali di aver formulato tre eccezioni di inammissibilità dell'appello, che lamentano essere rimaste senza risposta, la cui decisione avrebbe comportato l'impossibilità di una revisione della sentenza in favore della C. I. e, con essa, l'inammissibilità del ricorso dalla stessa proposta per preclusione di giudicato.
Assumo, infatti, di aver dedotto violazione dell'art. 342 cod. proc. civ., per assenza di specificità dei motivi di gravame, ed inoltre violazione dell'art. 345 cod. proc. civ., per avere la difesa dell'appellato valorizzato rilievi e aspetti non proposti in primo grado, nonché, infine, inammissibilità dell'appello ex artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ..
5.2. Quanto al secondo motivo del ricorso incidentale dei L., esso è identico all'unico motivo del ricorso incidentale dell'Azienda Ospedaliera B. e del G. S..
6. La C. I. ha resistito, con controricorso, ad entrambi i ricorsi incidentali testé illustrati, chiedendone il rigetto in quanto non fondati.
7. Tutte le parti hanno presentato memorie, ex art. 378 cod. proc. civ., insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Deve essere esaminato, con carattere di pregiudizialità, il ricorso incidentale proposto dai L. di Londra.
8.1. Ha affermato, infatti, di recente questa Corte che "alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito". (Cass. Sez. 3, ord. 14 marzo 2018, n. 6138, Rv. 648420-01).
Tale è, appunto, il caso delle censure - oggetto, in particolare, del primo motivo del ricorso incidentale qui in esame - di violazione degli artt. 342, 345, 348-bis e 348-ter cod. proc. civ., che i controricorrenti L. imputano alla Corte meneghina. Il loro accoglimento, in ipotesi, comportando la declaratoria di inammissibilità dell'appello esperito dall'odierna ricorrente C. I. (e con essa, dunque, il riconoscimento dell'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza resa dal Tribunale di Cagliari), segnerebbe la sorte anche del ricorso principale.
8.2, Il motivo, tuttavia, è inammissibile, in ciascuna delle (tre) censure in cui si articola.
8.2.1. Per le prime due, in particolare, l'inammissibilità va affermata a norma dell'art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. I ricorrenti incidentali, per vero, al fine di consentire a questa Corte di verificare se i motivi di gravame, proposti "temporibus illis" dalla C. I. avverso la decisione del giudice di prime cure, non fossero né generici né nuovi (come oggi si denuncia), avrebbero dovuto procedere alla loro trascrizione.
Non osta, del resto, a tale conclusione la constatazione che le due censure si sostanziano nella deduzione di "errores in procedendo" (rispetto al quale la Corte è anche giudice del "fatto processuale", con possibilità di accesso diretto agli atti del giudizio; da ultimo, Cass. Sez.6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso già Cass. Sez. Un. , sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01). Ancora di recente, infatti, è stato affermato da questa Corte che la "deduzione con il ricorso per cassazione «errores in procedendo», in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l'ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).
Si tratta, peraltro, di un'esigenza, questa dell'autosufficienza del ricorso anche in relazione alla deduzione di vizi processuali, che - come è stato icasticamente osservato - "non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d'esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge", ma che "risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell'atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell'individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 gennaio 2012, n. 82, Rv. 621100-01).
8.2.2. Analogamente inammissibile è pure la terza censura in cui si articola il presente motivo, ovvero quella che deduce la violazione degli artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ..
Difatti, qualora "il giudice d'appello", richiesto di pronunciare ordinanza di inammissibilità del gravame per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento ex art. 348-bis cod. proc. civ., "abbia proceduto alla decisione dell'impugnazione, ritenendo di non ravvisare un'ipotesi riconducibile alla norma ora richiamata e, dunque, di non pronunciare la predetta ordinanza, la decisione di ammissibilità non è più sindacabile. In altri termini, la ritenuta «non inammissibilità», che dunque abbia comportato la regolare trattazione nel merito dell'appello, non è ulteriormente censurabile, neppure innanzi allo stesso giudice dell'appello: onde, qualora riproposta quale eccezione dalla controparte, essa sarebbe di per sé inammissibile;
parimenti, ove sottoposta al giudice di legittimità nel ricorso per cassazione, il motivo si palesa inammissibile" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 21 marzo 2016, n. 5510, non massimata).
Nella specie, poi, ciò che forma oggetto di doglianza è, addirittura, un'omessa pronuncia della Corte cagliaritana sull'eccezione di inammissibilità del gravame della C. I. (formulata, in appello, sulla base delle norme summenzionate), sicché deve anche ribadirsi che il "vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali" (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 25 gennaio 2018, n. 1876, Rv. 647132- 01; nello stesso senso, tra le altre, anche Cass. Sez. 3, sent. 23 gennaio 2009, n. 1701, Rv. 606407-01).
9. Passando all'esame del ricorso principale, lo stesso risulta fondato, sebbene nei limiti di seguito precisati.
9.1. Il primo motivo di tale ricorso è da esaminare congiuntamente al secondo del ricorso incidentale del L., nonché all'unico, di identico contenuto, del ricorso incidentale dell'Azienda ospedaliera e del G. S..
Al riguardo, va evidenziato come la sentenza impugnata muova - in punto di fatto - dal presupposto che i sanitari non acquisirono, dalla C. I., il consenso informato all'intervento chirurgico al quale la stessa venne sottoposta, ritenendo, tuttavia, che alla donna non spetti il risarcimento del danno da lesione del diritto all'informazione.
A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sul duplice rilievo, da un lato, dell'assenza di prova che la paziente, "se adeguatamente informata avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento", nonché, dall'altro, del carattere "necessitato" dello stesso, ritenuto "l'unico (...) prudenzialmente eseguibile, senza che si potesse ipotizzare la possibilità di sospensione dell'intervento, per poi informare il paziente della necessità di procedere alla splenectomia".
La ricorrente principale contesta entrambi tali affermazioni, mentre i ricorrenti principali, per parte propria, censurano la sentenza impugnata in quanto essa (al pari della decisione del primo giudice) avrebbe immotivatamente rifiutato di dare corso alla prova testimoniale volta a dimostrare l'avvenuta acquisizione del consenso informato della C. I. anche all'(eseguito) intervento di splenectomia integrale.
9.1.1. Orbene, la censura dei ricorrenti incidentali è inammissibile, ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ..
9.1.1.1. Difatti, perché la disposizione appena menzionata possa dirsi rispettata, occorre - in caso di censura contenuta nel ricorso per Cassazione, relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale - che "il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare", trattandosi di "elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto" (adempimento che è stato soddisfatto, peraltro dai soli L., esclusivamente con riferimento alla riproduzione dei capitoli di prova; cfr. nota a pag. 23 del controricorso), "alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce", e ciò "al fine di consentire «ex actis» alla Cassazione di verificare la veridicità dell'asserzione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 23 aprile 2010, n. 9748, Rv. 612575- 01; in senso conforme, più di recente, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 4 aprile 2018, n. 8204, Rv. 647571-01).
9.1.2. Il primo motivo del ricorso principale è, invece, fondato.
9.2.1.1. Le due circostanze valorizzate dalla sentenza impugnata per rigettare la domanda risarcitoria della C. I. - ovvero, l'assenza di prova che la paziente, in presenza di tempestiva e idonea informazione, si sarebbe egualmente sottoposta all'intervento, nonché il carattere "necessitato" dell'intervento eseguito - non assumono rilevanza, almeno in termini assoluti, ai fini dell'esclusione della responsabilità del medico (e della struttura sanitaria).
L'allora attrice, ed odierna ricorrente, ha, infatti, proposto azione risarcitoria per ottenere il ristoro, oltre che del danno alla salute derivato (in ipotesi) alla mancata informazione, anche di quello scaturito dalla lesione del diritto all'autodeterminazione terapeutica in sé considerato, rispetto al quale il carattere necessitato dell'intervento e la sua corretta esecuzione restano circostanze prive di rilievo.
Difatti, "in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all'esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, «ex ante», necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, «ex post», integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell'informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all'espletamento dell'atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall'esito favorevole dell'intervento" (Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 2015, n. 12205, Rv. 635626-01; più di recente anche Cass. Sez, 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16503, Rv. 644956-01 e Cass. Sez. 3, ord. 15 maggio 2018, n. 11749, Rv. 648644-01).
Da ultimo, questa Corte ha pure affermato che il danno da lesione del diritto all'informazione può essere costituito, "eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell'attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse: poiché tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell'informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 15 maggio 2018, n. 11749, Rv. 648644-01).
9.2.1.2. E' questa, peraltro, un'affermazione che costituisce l'esito di una lunga elaborazione giurisprudenziale, avendo questa Corte, da tempo, affermato - proprio con specifico riguardo all'attività chirurgica - che il consenso informato del paziente si pone come condizione "essenziale per la liceità dell'atto operatorio" (Cass. Sez. 3, sent. 12 giugno 1982, n. 3604, Rv. 421568-01).
In effetti, il consenso informato - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008) - deve essere inteso quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura quale vero e proprio diritto della persona, trovando fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che della persona tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che "la libertà personale è inviolabile", e che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".
Si tratta, inoltre, di diritto ribadito da diverse norme sovranazionali, tra le quali spiccano l'art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145 e dall'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
La stessa giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, sottolineato come tale diritto rappresenti, allo stesso tempo, "una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 16 ottobre 2007, n. 21748, Rv. 598962-01), restando, nondimeno, inteso che "il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale" (Cass. Sez. 3, sent. 15 settembre 2008, n. 23676, Rv. 604907-01).
In termini sostanzialmente analoghi si è sottolineato che "il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza" (purché questi si profilino, comunque, "a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso", e siano inoltre "tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona"), ovvero che non "si tratti di trattamento sanitario obbligatorio". Tale consenso "è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l'intervento «absque pactis» sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale «deficit» di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 28 luglio 2011, n. 16543, Rv. 619495-01).
Si è inoltre chiarito, nella più recente giurisprudenza di questa Corte che differente è il caso in cui il paziente lamenti il mancato riconoscimento di un danno alla salute, riconducibile all'assenza di adeguata informazione all'intervento o trattamento, da quello in cui si dolga direttamente del pregiudizio discendente da detta condotta omissiva, per il sol fatto della lesione del diritto ad autodeterminarsi.
Come è stato, infatti, sottolineato le due prospettive risarcitorie, in ciascuno di tali casi, "rispondono a diversi fondamenti logico-giuridici che si riflettono anche sul piano del riparto degli oneri probatori" (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 21 giugno 2018, n. 16336, non massimata)
Difatti, nella prima ipotesi, resta fermo il principio secondo cui "in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell'arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un'adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute" (così già Cass. Sez. 3, sent. 9 febbraio 2010, n. 2847, Rv. 611427-01, nonché, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 16 febbraio 2016, n. 2998, Rv. 638979-01).
Per contro, ricorrendo la seconda fattispecie, la violazione "dell'obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo a fini risarcitori - anche in assenza di un danno alla salute o in presenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all'informazione - a condizione che sia allegata e provata, da parte dell'attore, l'esistenza di pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione del diritto fondamentale alla autodeterminazione in sé considerato" (e sempre che tale diritto sia "inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico"; così, tra le tante, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 14 novembre 2017, n. 26827, non massimata), restando, peraltro, inteso che tale prova potrà darsi anche a mezzo di presunzioni, "la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell'operazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, n. 16336 del 2018, cit.).
9.2.1.3. Orbene, siffatti principi sono stati disattesi dalla sentenza impugnata, ciò che comporta la necessità di cassare - "in parte qua" - la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, in diversa composizione, perché decida in ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla C. I. per lesione del diritto all'autodeterminazione, alla stregua dei principi dianzi illustrati, dovendo il giudice del rinvio verificare, sulla base delle risultanze istruttorie già acquisite, se il consenso prestato dalla C. I. ("id est": l'informazione ricevuta) contemplasse la possibilità che l'intervento praticatole potesse risolversi in una splenectomia totale.
9.3. I motivi secondo e terzo del ricorso principale sono, invece, inammissibili.
9.3.1. In ordine, infatti, al secondo motivo, deve rilevarsi che il vizio denunciato si risolve nell'ommesso esame non di "fatti", bensì di "questioni" o "punti" della controversia, risultando, per ciò solo, estraneo al "paradigma" di cui all'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., che attribuisce unicamente rilievo all'omessa disamina di fatti, siano essi "principali" o "secondari" ("ex multis", in motivazione, Cass. Sez. 1, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 646308-01).
Inoltre, nella parte in cui il vizio deduce un supposto travisamento delle risultanze istruttorie, "sub specie" di violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera il principio secondo cui l'eventuale "cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che - per il tramite dell'art. 132, n. 4), cod. proc. civ. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante" (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).
Quanto, invece, alla lamentata omessa pronuncia della Corte territoriale circa la domanda di risarcimento del danno da sindrome ansioso-depressiva, la questione deve ritenersi assorbita dall'accoglimento del primo motivo di ricorso, dovendo il giudice del rinvio valutare se tale pretesa possa trovare soddisfazione nell'ambito della decisione relativa al ristoro da assicurarsi alla lesione del diritto all'autodeterminazione.
9.3.2. Infine, l'inammissibilità del terzo motivo costituisce applicazione del principio già sopra richiamato e secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali.
10. A carico dei ricorrenti incidentali, stante la declaratoria di inammissibilità dei rispettivi ricorsi, sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso principale quanto al suo primo motivo, dichiarando inammissibili il secondo e il terzo, e dichiara inammissibili il ricorso incidentale condizionato proposto dagli Assicuratori L. e quello incidentale dell'Azienda Ospedaliera B. e di G. S., cassando, per l'effetto, la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Cagliari in diversa composizione per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 luglio 2018.
IL PRESIDENTE
Giacomo Travaglino
L'ESTENSORE
Stefano Giaime Guizzi
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2019
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO
Innnocenzo Battista