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Direzione scientifica di M. Alessandra Sandulli e Andrea Scuderi
22/01/2016
GIUSTIZIA / Giudizio penale

Pericolo Whatsapp! Chat telefoniche e possibilità di utilizzarne i contenuti intercettati

Mancando il requisito della contesutalità, è possibile intercettare ed utilizzare il contenuto delle chat telefoniche?

Con la sentenza in commento la terza sezione della Cassazione ha affermato la possibilità, per fini probatori, di acquisire i contenuti delle "chat" telefoniche attraverso lo strumento delle intercettazioni previsto dall'art. 266 c.p.p..
Nel caso di specie le difese degli imputati avevano censurato la mancata declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto illegittimo sarebbe stato il ricorso a tale strumento, posto che la messaggistica telefonica non sarebbe assimilabile al concetto di conversazione, mancando di conseguenza il requisito della contestualità (a parere delle difese, quindi, sarebbe stato necessario, semmai, ricorrere al sequestro di dati informatici previsto dall'art. 254-bis c.p.p.). Ed invero, la giurisprudenza di legittimità, in passato, ha esaurientemente definito l'intercettazione come la captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l'intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato (così si è espressa Cass. Pen., 29 marzo 2005, n. 12189). Il requisito della contesualità, che qui interessa, vuol significare che, ai fini della ammissibilità dell'intercettazione, è richiesto che la relativa attività venga effettuata simultaneamente ed in occasione della conversazione.
Orbene, la Cassazione risolve perentoriamente la questione argomentando che le "chat" ancorché sviluppate fuori dal contesto oggetto di attività di intercettazione, costituiscono comunque un flusso di comunicazioni, sicché il loro contenuto può affatto essere acquisito attraverso tale mezzo di ricerca della prova.

Giorgio Albeggiani
ALLEGATO 1 Cassazione Penale - Sentenza 23 Dicembre 2015, n. 50452
> Giudizio penale - Mezzi di ricerca della prova - Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - In genere - Contenuti di messaggistica - Acquisizione mediante operazioni di intercettazione - Legittimità
Cod. Proc. Pen. , art. 266
> In materia di utilizzazione di messaggistica telematica è corretto acquisirne i contenuti mediante intercettazione ex art. 266-bis c.p.p. e seguenti, atteso che le "chat", anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni.
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23 dicembre 2015, n. 50452
 
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 10 agosto 2015, il Tribunale di Roma sezione Riesame ha rigettato i ricorsi presentati da G. S., Z. A., D. D., D. E., B. P. avverso l'ordinanza con cui il GIP presso il Tribunale di Roma aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti degli stessi (e di S. S., non ricorrente). La misura cautelare della custodia cautelare era stata disposta dal GIP presso il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 luglio 2015, nei confronti dei predetti, in quanto gravemente indiziati dei reati di cui agli artt. 73 e 80 del D.P.R. n. 309 del 1990 (capi A) B) C) D) E). Il Tribunale ha rilevato che gli elementi acquisiti costituivano gravi indizi di reità ed erano pertanto idonei a legittimare l'adozione della misura cautelare, giuste le motivazioni dell'ordinanza cautelare, si a inoltre soffermato suite emergenze probatorie raccolte con riferimento a ciascun capo di imputazione.
2. In particolare, secondo quanto esposto nell'ordinanza impugnata, all'esito di intercettazioni ambientali nell'auto in uso a S. S., era emerso che questi aveva procurato al nipote P. A. una partita di 10 kg di cocaina (capo A), rivolgendosi allo Z. A. e al D. E., i quali avevano agito da mediatori. L'ordinanza ha dato conto di una conversazione intercettata tra il S. S., lo Z. A. ed il D. E., in cui si discuteva del prezzo della droga e della quantità fissata in 10 kg per 420.000,00 euro. Gli interlocutori avevano parlato di prezzi oscillanti tra 41 e 43 mila euro, alludendo al prezzo al chilo. In particolare, Z. A. e D. E. procuravano al S. S. una quantità di droga per farla testare. In seguito S. S. aveva avvisato telefonicamente il nipote dicendogli che lo avrebbe raggiunto ad ...omissis..., e confidava alto Z. A. che avrebbe chiesto un compenso in denaro al nipote per la mediazione compiuta. Il giorno successivo, la quantità di stupefacenti convenuta veniva consegnata nei pressi di un vivaio sito sulla ...omissis.... Che l'incontro doveva avvenire per lo scambio del denaro con la droga, risulterebbe secondo i giudici, dal fatto che sull'auto in uso al S. S. veniva intercettato un dialogo con il nipote Presta. Lungo il tragitto i due stavano per essere fermati da una pattuglia per un controllo, e preoccupati per il possibile rinvenimento del denaro portato come corrispettivo per l'acquisto e nascosto net bracciolo dell'auto, il S. S. si era accordato con il nipote sulla giustificazione da offrire ai carabinieri. Sul luogo convenuto, il S. S. aveva riferito alto Z. A. di avere trattenuto 1500 euro per la mediazione da ripartire anche con il D. E.. La consegna della droga era stata confermata da altre conversazioni, dalie quali a emersa certamente la presenza di tutti gli indagati (in particolare dello Z. A. e di D. E. nell'auto di S. S.).
3. Anche in relazione al capo B), ascritto al D. E., risultano una serie di conversazioni in chat con un fornitore spagnolo, avente ad oggetto  l'importazione di un quantitativo di stupefacente di 10 kg, e per quanto attiene al capo C), secondo i giudici vi sono le prove del sodalizio tra D. E., Z. A. e K. K. nel settore del narcotraffico. Le due operazioni di cessione di droga indicate nei capi precedenti si inserirebbero nell'ambito di una stabile e ramificata organizzazione, nella quale Z. A. e D. E. svolgono il ruolo di promotori ed organizzatori, mentre K. K. sarebbe l'intermediario con i fornitori esteri delle sostanze. Quanto ai capi D/E, relativi alla contestazione di estorsione e illecita concorrenza, gli indagati avevano fatto pressione sul sig. M. M. affinché lo stesso non avviasse l'attività "X" nei pressi di ...omissis..., tanto da indurlo a chiudere l'attività imprenditoriale già esistente. Circostanza confermata dalle tre conversazioni telefoniche registrate dal M. M. e dai risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. Il Tribunale del riesame ha escluso la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sostenuta dalla difesa, sottolineando come l'obiettivo delle minacce del D. D. fosse l'eliminazione del concorrente per garantirsi il monopolio delle scommesse on line e delle slot machine.
5. Avverso l'ordinanza, gli indagati hanno proposto, per il tramite dei propri difensori, distinti ricorsi per cassazione.
- La difesa di G. S. ha lamentato:
1) Violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento ai presupposti applicativi delle misure cautelari nonché con riferimento agli artt. 513 bis e 629 c.p. e art. 7 della legge 203 del 1991. La difesa ha precisato che l'imputato, sessantenne, a soggetto sostanzialmente incensurato e risulta indagato dei delitti di cui ai capi D (artt. 110 c.p., 629, comma 1 e 2, c.p., e art. 7 della legge n. 203 del 1991) ed E (art. 110 c.p., 513 bis c.p. e art. 7 della legge n. 203 del 1991), nonostante non risultino elementi dimostrativi delle asseriti minacce al M. M.. Quanto al capo D), i giudici del riesame, nel valutare i gravi indizi di colpevolezza, hanno fatto riferimento ai diversi procedimenti penali a carico del ricorrente per il reato di cui all'art. 416 bis, c.p., ma tali procedimenti non sono conclusi e solo queste vicende processuali avrebbero determinato la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso. Infatti i giudici del riesame non hanno tenuto conto della circostanza che, in data 1 aprile 2015, il Gip presso il Tribunale di Napoli aveva assolto perché il fatto non sussiste sia il S. S. che il fratello dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa; né del fatto che nell'ambito di un diverso procedimento penale pendente presso il Tribunale di Roma, sarebbe stata revocata la misura della custodia cautelare. La considerazione di tali provvedimenti avrebbe dovuto essere, al contrario, considerata per escludere la contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991, contestazione erronea, posto che non risulta riscontrabile alcun metodo mafioso, né esisterebbe alcun clan S. S.; d'altra parte la stessa persona offesa non ha mai dichiarato di aver subito minacce da parte di persone operanti in ambienti mafiosi. Infatti l'attività della "...omissis..." è legate perché legata ai monopoli di Stato (lottomatica, totocalcio, totip) e quindi la condotta posta in essere dall'indagato era finalizzata non a far cessare l'attività di impresa del M. M., ma ad impedire alto stesso di aprire un "X" in violazione delle norme che disciplinano l'esclusiva. Quanto al capo E), secondo la difesa, il reato di cui all'art. 513 bis c.p. non potrebbe essere contestato quando ricorrono atti di violenza e minaccia, in relazione ai quali la limitazione della concorrenza è solo la mira teleologica dell'agente.
2) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari, posto che il Tribunale del riesame avrebbe dovuto applicare gli arresti domiciliari data anche la disponibilità manifestata dall'indagato all'uso del braccialetto elettronico, considerato che i fatti per cui si procede sarebbero risalenti nel tempo. Da ultimo, non si sarebbe tenuto conto delle precarie condizioni fisiche del ricorrente, che è portatore di protesi articolare femorale destra e sinistra e avrebbe subito un preoccupante calo ponderale di 26 Kg durante la permanenza in carcere.
- La difesa di Z. A. ha lamentato:
1) Nullità dell'ordinanza per violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p., in relazione all'art. 178 c.p.p., in quanto la difesa non aveva avuto accesso effettivo ai contenuti delle intercettazioni che costituiscono elemento di prova su cui si fonda la misura cautelare: tale impedimento risulterebbe confermato da un dichiarazione rilasciata da un funzionario della Cancelleria e nonostante l'espressa censura, il Tribunale del riesame avrebbe motivato in maniera illogica. Inoltre sarebbe stato indicato erroneamente il RIT 8145/13, che non contiene alcuna registrazione;
2) Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione: sarebbero inutilizzabili i risultati probatori ottenuti attraverso l'attività di intercettazione posta in essere sui dispositivi Blackberry. La società che gestisce il servizio ha sede in Canada e perciò per procedere all'acquisizione dei dati sarebbe stata necessaria la rogatoria internazionale. Il riferimento alla procedura dell'instradamento per radicare la competenza in Italia, sarebbe erroneo perché non terrebbe conto delle peculiarità tecniche del servizio, né del fatto che l'attività captativa sarebbe possibile solo con la collaborazione del gestore canadese. Inoltre vi sarebbero problemi procedurali anche nella procedura di intercettazione seguita; va considerato che le modalità di gestione e conservazione del traffico dei dati indurrebbero a ritenere che non vi sia una vera e propria comunicazione, difettando il requisito della contestualità e proprio in relazione alla conservazione dei dati captati, sarebbe stata necessaria la procedura di cui all'art. 254 bis c.p.p., che disciplina il sequestro di dati informatici. Ed infatti, l'intercettazione non è stata eseguita dalla sala di ascolto della Procura della Repubblica o dalla società area delegata della Guardia di Finanza, ma direttamente dalla L., che poi ha trasferito i dati alla società italiana, che ha curato le operazioni per conto della Procura;
3) La motivazione sarebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui ha ritenuto sussistenti gli indizi di colpevolezza a carico dell'indagato per il reato di cui al capo A), nonostante gli elementi probatori fortemente equivoci;
4) La motivazione sarebbe altresì illogica nella parte in cui ha ritenuto sufficienti i gravi indizi di colpevolezza con riferimento alla contestazione del reato di cui all'art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990. Secondo la difesa, se il ruolo dell'indagato è quello di intermediario nelle cessioni, non si vede come lo stesso possa essere anche promotore ed organizzatore dell'associazione dedita alto spaccio ed inoltre difetterebbe la motivazione sulla sussistenza dell'elemento soggettivo;
5) La motivazione della ordinanza sarebbe, altresì, illogica ed insufficiente laddove ha ritenuto sussistente i gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati nel capo E) e D), poiché l'aver ritenuto che la voce nel colloquio captato con il M. M. fosse quella del ricorrente costituirebbe un mero pregiudizio; inoltre la condotta contestata potrebbe integrare al più il delitto di violenza privata, nè vi sarebbero i presupposti per la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso;
6) L'ordinanza, infine, sarebbe illogica ed immotivata con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari. La pericolosità del ricorrente sarebbe desunta dal fatto che l'indagato era stato processato in altro procedimento dinanzi al Tribunale di Roma, per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. (in continuazione con i fatti di cui a capi E) e D) del presente procedimento), per fatti risalenti a più di due anni fa, per i quali è stata disposta la scarcerazione.
- La difesa del D. D. David ha lamentato:
1) Nullità dell'ordinanza per violazione di legge e omessa motivazione, atteso che il Tribunale non avrebbe svolto una valutazione autonoma da quella del GIP, travisando le risultanze delle intercettazioni e deducendo in maniera apodittica l'esistenza di rapporti del ricorrente con i fratelli G.: l'erroneo presupposto del possesso in capo al M. M. della concessione "X", aveva indotto i giudici a ritenere in maniera illogica che non vi fossero i presupposti per l'applicabilità dell'art. 393 c.p.;
2) Difetterebbero, inoltre, i presupposti per la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso;
3) La motivazione sarebbe altresì resa in violazione di legge perché non sarebbero stati tenuti in considerazione i presupposti per valutare l'attualità della sussistenza delle esigenze cautelari.
- La difesa di D. E. ha lamentato:
1) Violazione delle norme processuali, per mancato accesso ai contenuti delle intercettazioni che costituiscono elemento di prova su cui si fonda la misura cautelare, in quanto i cd contenenti i flussi di comunicazione ambientale e telefoniche non sarebbero stati accessibili alla difesa, come confermato da un dichiarazione rilasciata da due funzionari della Cancelleria;
2) Mancata declaratoria di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte sugli apparati Blackberry, poiché la società che gestisce i flussi di comunicazione sui dispositivi Blackberry è la L. che ha sede in Canada; inoltre per le intercettazioni disposte sugli apparati Blackberry sarebbe illegittimo il ricorso alla disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 c.p.p., poiché la messaggistica PIN to PIN non sarebbe assimilabile alle conversazioni; pertanto, difettando la contestualità che sussiste nelle conversazioni, sarebbe stato necessario ricorrere al sequestro di dati informatici previsto dall'art. 254 bis c.p.p.;
3) Mancanza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento ai reati contestati nel capo A), poiché il D. E. non era presente nell'auto del S. S., e comunque non è desumibile alcun ruolo rilevante nella cessione di sostanze stupefacenti alla luce del tenore delle frasi attribuitegli;
4) Mancanza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento ai reati contestati nel capo B), non essendovi alcun riscontro individualizzante in capo al ricorrente, mancando elementi che consentano di attribuire alto stesso l'utenza Blackberry;
5) Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è stata sostenuta dalla difesa anche con riferimento ai reati contestati nel capo C), mancando elementi che provino il vincolo stabile tra gli associati e la consapevole partecipazione da parte del D. E., non essendovi alcun riscontro alla condotta di cessione di droga, comunque, non emergendo il coinvolgimento dell'indagato né nelle trattative per l'acquisto delle partite di droga né nelle presunte cessioni;
6) Motivazione illogica con riferimento alle ritenute esigenze cautelari, che non risultano più attuali poiché i fatti sarebbero risalenti a più di due anni fa e non sono stati evidenziati elementi idonei ad indicare la ricaduta nel reato.
- La difesa di B. P. ha lamentato:
1) Nullità dell'ordinanza, per violazione dell'art. 309, comma 5, c.p.p. in relazione all'art. 178 c.p.p., poiché la difesa ha sostenuto di non aver avuto accesso effettivo ai contenuti delle intercettazioni telefoniche, ambientali e dei flussi di comunicazione, come confermato dalla dichiarazione rilasciata dai funzionari della Cancelleria;
2) Carenza dei gravi indizi di colpevolezza ed motivazione insufficiente. La difesa ha eccepito l'incompetenza per territorio del Tribunale di Roma, poiché il fatto oggetto di giudizio sarebbe già stato sottoposto all'attenzione del Tribunale di Tivoli, quanto alle condotte tenute nei confronti del M. M.. Per le contestazioni nei capi E) e D), la difesa ha sottolineato l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, evidenziando come i Giudici del riesame non avrebbero tenuto conto dell'assoluzione dei fratelli S. S., né della revoca della misura cautelare disposta dal Tribunale di Roma. Inoltre, non vi sarebbe la prova certa circa la presenza del ricorrente nell'autovettura, al pià potendosi ipotizzare a suo carico la fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La considerazione di tali vicende avrebbe dovuto indurre i giudici del riesame a ritenere insussistente la gravità indiziaria relativa all'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991;
3) Omessa motivazione e mancanza delle esigenze cautelari legittimanti la misura applicata, essendo la presunta condotta attribuita al B. P. risalente nel tempo. Peraltro, sarebbe illogico ritenere che se non sussistono le esigenze cautelari per il reato associativo queste possano sussistere per il reato fine, senza contare che il ricorrente a già stato sottoposto al regime di custodia cautelare per oltre sette mesi e da allora ha mantenuto un condotta incensurabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Devono innanzitutto esaminate le censure di tipo processuale, cominciando da quella relativa alla violazione del disposto di cui all'art. 309 c. 5 c.p.p. sollevata dalle difese dello Z. A., del D. E. e del B. P. con il primo motivo di ciascun ricorso. Occorre considerare che la giurisprudenza di questa Corte ha precisato, proprio in riferimento al riesame delle misure cautelari, che "l'omesso deposito del cosiddetto "brogliaccio" di ascolto e dei "files" audio delle registrazioni di conversazioni oggetto di intercettazione non è sanzionato da nullità o inutilizzabilità, dovendosi ritenere sufficiente la trasmissione, da parte del P.M., di una documentazione anche sommaria ed informale, che dia conto sinteticamente del contenuto delle conversazioni riferite negli atti della polizia giudiziaria, fatto salvo l'obbligo del Tribunale di fornire congrua motivazione in ordine alle difformità specificamente indicate dalla parte fra i testi delle conversazioni telefoniche richiamati negli atti e quelli risultanti dall'ascolto in forma privata dei relativi "files" audio" (così Sez. 1, n. 15895 del 9/1/2015, Riccio, Rv. 263107).
2. Peraltro, facendo seguito alla sentenza n. 335 del 2008 della Corte Costituzionale, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito (sentenza n. 20300/ 2010, Lasala, Rv 246906) che il diniego o l'ingiustificato ritardo da parte dell'Ufficio del PM nel consentire al difensore "l'accesso" alle conversazioni intercettate e trascritte (e dunque anche la duplicazione delle registrazioni su supporto magnetico, di cui il difensore possa, poi, autonomamente disporre) dà luogo a nullità di ordine generale e regime intermedio - ex art. 178 c.p.p., lett. c) - in quanto determina vizio nel procedimento di acquisizione della prova, vizio che, tuttavia, non inficia l'attività di ricerca in sè e il conseguente "risultato", ma che si riverbera, se la nullità è stata tempestivamente dedotta, nella fase cautelare, atteggiandosi come circostanza che indebitamente ha compresso - limitatamente al subprocedimento de libertate - l'esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che le trascrizioni delle captazioni di cui non è stata resa disponibile la registrazione non possono essere utilizzate come prova nel giudizio "de libertate" (Cass. S.U. Lasala, cit, Rv. 246907).
3. Ovviamente, la giurisprudenza è concorde nel ritenere necessario che la difesa formuli una esplicita richiesta di rilascio di copia dei supporti medesimi (cfr., ex multiis, Sez. 6, n. 22145 del 3/12/2014, Germani e altri, Rv. 263635). E' stato pere anche chiarito che non viola il diritto di difesa, ad esempio, l'impossibilità pratica di visionare le videoriprese trascritte su DVD per mancanza del relativo software, poiché il diritto di difesa consiste nell'ottenere copia del documento informatico e non coincide con l'esame in cancelleria dei "files" informatici, "né vi è obbligo da parte dell'Ufficio giudiziario di disporre di un siffatto "software", né dell'Ufficio del P.M. di assicurarsi di tale disponibilità, considerato che causa della violazione del diritto di difesa è l'omessa "discovery" di atti posti a fondamento della ordinanza cautelare, che si realizza per mancata consegna dei supporti contenenti la riproduzione del file, a prescindere dalla possibilità di avere il programma necessario ad "aprire" e "leggere" i files stessi (in tal senso, Sez. 6, n. 41530 del 10/10/2012, De Paolis e altri, Rv. 253741).
4. Nel caso di specie, l'ordinanza impugnata ha precisato che dagli atti non risultava che la difesa avesse chiesto alla Cancelleria copia dei supporti informatici DVD, ritualmente depositati con la discovery degli atti, contenenti cartelle compresse e files, cosa che gli avrebbe consentito di accedere ai documenti con tecnologie opportune con un proprio personal computer; di fatti l'attestazione della Cancelleria depositata dai ricorrenti aveva attestato unicamente la non accessibilità alle cartelle compresse presenti nei supporti e non il file Iplayer viewer, accessibile con una semplice selezione e contenente messaggi di testo (chat) non già conversazioni (tanto, a proposito del R.T.I. n. 8145/13). La giurisprudenza ha già segnalato la necessità che la difesa predisponga i propri supporti tecnologici per acquisire la fonte conoscitiva, rappresentata dalle risultanze dei mezzi di prova esperiti, mediante operazioni tecnologiche (sul punto, si veda la parte motive della sentenza Sez. 6, n. 53425 del 22/10/2014 P.M. in proc. B., Rv. 262334). Il principio deve essere qui ribadito, atteso che il dato informatico rileva con riguardo al patrimonio informative in esso contenuto e la dottrina ha tempo evidenziato che il concetto stesso di copia perde di significato nel caso del documento informatico, dovendosi più propriamente parlare di operazione di duplicazione. Nel caso di specie non sussiste la lamentata violazione di legge, relativa alla impossibilità per la difesa di accedere ai supporti magnetici, contenenti le conversazioni captate, essendo stato evidenziato sia il deposito che l'estrazione di copia dei documenti informatici versati alla discovery.
5. Per quanto attiene al secondo motivo avanzato nei ricorsi di D. E. e Z. A., con lo stesso si eccepisce la violazione di legge e la mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alle modalità executive della intercettazione posta in essere su utenze con sistema Blackberry. I ricorrenti hanno lamentato l'omesso ricorso alla rogatoria internazionale per ottenere i dati identificativi dei codici PIN e lo svolgimento delle operazioni di intercettazione, ritenendo che fosse invece doveroso applicare l'istituto del sequestro ex art. 254 c.p.p.
6. A tale proposito va precisato che è principio consolidato che la destinazione ad uno specifico "nodo" telefonico, posto in Italia, delle telefonate estere, provenienti da una determinate zona (c.d. instradannento), non rende necessario il ricorso alla rogatoria internazionale, in quanto l'intera attività di captazione e registrazione si svolge sul territorio dello Stato (cfr. Sez. 6, n. 18480 del 12/12/2015, Zinghini, non mass.; sez. 6, n. 10051 del 3/12/2007, Ortiz e altri, Rv 239459).
7. Orbene il Collegio della cautela ha correttamente applicato i principi nel caso di cui si tratta ed ha evidenziato che le intercettazioni telematiche ex art. 266 bis c.p.p. erano state disposte direttamente sui codici PIN, mentre la successiva richiesta alla società R. in merito ai dati identificativi associati ai codici PIN intercettati aveva riguardato dati comunque non muniti di alcuna protezione particolare. Peraltro è stato opportunamente sottolineata la irrilevanza del fatto che la società R. fosse canadese, posto che risulta pacifico (e non è contestato invero nemmeno dai ricorrenti) che le comunicazioni avvenivano in Italia per effetto del convogliamento delle chiamate in un nodo situato in Italia, ove è stata svolta l'attività di captazione.
8. Quanto alla doglianza in punto di mancato utilizzo del mezzo di prova del decreto di sequestro probatorio ex art. 254 bis c.p.p., quanto alle comunicazioni con il sistema Blackberry, la stessa è del tutto infondata. Il sequestro probatorio di supporti informatici o di documenti informatici, anche detenuti da fornitori di servizi telematici, esclude, di per sé, il concetto di comunicazione e va disposto quando è necessario acquisire al processo documenti a fini di prova, mediante accertamenti che devono essere svolti sui dati in essi contenuti, mentre nel caso di specie è pienamente legittimo (ed anzi doveroso) il ricorso alla procedure di intercettazione regolata dagli artt. 266 bis c.p.p. e seguenti. Infatti va affermato il principio di diritto che: "In materia di utilizzazione di messaggistica con sistema Blackberry è corretto acquisirne i contenuti mediante intercettazione ex art. 266 bis c.p.p. e seguenti, atteso che le chat, anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni". Anche la dottrina è attenta ai delicati rapporti tra sistema delle intercettazioni telematiche e nuove tecnologie ha osservato che per la chat di Blackberry, l'intercettazione avviene con il tradizionale sistema, ossia monitorando il codice PIN del telefono (ovvero il codice IMEI), che risulta associato in maniera univoca ad un nickname, sottolineando come a livello tecnico l'intercettazione sia gestita dalla sede italiana della società.
9. Questo Collegio ritiene anche che vada respinta l'eccezione di incompetenza sollevata dalla difesa del B. P. con il secondo motivo di ricorso in riferimento al recto di estorsione ed illecita concorrenza in danno del M. M.. Il motivo risulta proposto con argomentazioni aspecifiche, sulla base di una pretesa identità di fatti già contestati innanzi al Tribunale di Tivoli, mentre l'ordinanza impugnata ha posto in evidenza la diversità di quei fatti rispetto alle condotte per cui si procede, ossia alle minacce reiterate nei confronti del M. M., commesse in concorso con gli altri coindagati, dal 22 marzo 2013 al 2 aprile 2013, all'esito delle quali la persona offesa aveva dovuto rinunciare all'apertura del punto "X" e poi chiudere la suddetta attività.
10. Per quanto attiene agli specifici motivi di ricorso di ciascun indagato, relativi ai reati rispettivamente addebitati secondo le imputazioni provvisorie, va ricordato, innanzitutto che l'ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita in terra di misure cautelari non riguarda la ricostruzione del fatti, né le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull'attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza del dati probatori, né la riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate, compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate: tutti questi accertamenti rientrano net compito esclusivo e insindacabile del giudice cui a stata richiesta l'applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che l'ordinanza impugnata contenga l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tai senso, Sez. 6, n. 3529 dell'1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).
12. Ciò posto, va rilevato che tutti i ricorsi presentati hanno contestato proprio la valutazione e la consistenza delle prove e la tenuta della motivazione in ordine agli elementi raccolti e posti a base delle misure cautelari a fronte, invece, di una perfetta tenuta argomentativa del provvedimento impugnato quanto alla valutazione del gravi indizi di colpevolezza. Nel caso di specie, infatti, l'ordinanza impugnata ha sintetizzato con argomentazione congrua gli elementi indiziari pertinenti ai ruoli rivestiti da ciascuno degli indagati; ciò sia avuto 41 riferimento alla sussistenza della ipotizzata associazione, che in relazione ai reati di estorsione ed illecita concorrenza in relazione all'attività scommesse "X" che la parte offesa aveva intenzione di svolgere in ...omissis.... I giudici della cautela hanno fondato il proprio giudizio di gravità indiziaria in relazione alla fattispecie associativa sui contenuti delle conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate, unitamente agli esiti di una complessa attività investigativa. condotta anche attraverso servizi di controllo e osservazione. Inoltre l'ordinanza impugnata dà conto degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari dai quali emerge, e si qualifica, la condotta posta specificamente in essere da ciascuno degli indagati. Ciò vale in riferimento alle cessioni di cocaina di cui ai capi A) e B), ascritte al S. S., estraneo al presente ricorso, allo Z. A. e a D. E. (con analisi degli elementi alle pagg. 8-13 dell'ordinanza), che in riferimento alla stabilità del sodalizio tra gli albanesi (tra i quali lo Z. A. e D. E.) di cui al capo C) (nelle pagine seguenti, anche con specifico riferimento al ruolo del B. P.). Come precisato dai giudici del riesame, dagli elementi probatori raccolti soprattutto attraverso le intercettazioni ambientali, a emersa l'esistenza di un'organizzazione che si occupava del narcotraffico e non di singoli ed occasionali episodi di cessione in cui erano coinvolti i tre indagati, lo Z. A. e D. E. nel ruolo di promotori ed organizzatori, ed il K. K. quale l'intermediario con i fornitori esteri delle sostanze. Tutto il compendio investigativo ha confermato, secondo i giudici, l'intensità del narcotraffico del gruppo intercettato per il quale i reati di cui ai capi A) e B) avevano rappresentato due dei numerosi episodi di acquisto; in particolare, i giudici hanno dato conto dei riferimenti ad operazioni passate tratti dalle intercettazioni, della trattativa per l'acquisto di 160 kg, del dialogo tra il B. P. ed il S. S. in cui, il primo ha riferito al secondo, di ricevere la somma di euro 3000,00 come compenso ogni qualvolta si adoperava per lo scarico di 170/200 chili di sostanza stupefacente. In definitiva, l'ordinanza ha posto in luce gli elementi strutturali del sodalizio evidenziando la consuetudine delle operazioni, le disponibilità finanziarie, la cautela nelle comunicazioni, con ciò dando atto del carattere stabile e organizzato dell'attività di narcotraffico gestita dagli indagati. Pertanto t motivi di ricorso sono infondati e per le medesime ragioni, vanno del parti respinti gli assunti difensivi comuni ai ricorsi dello Z. A., del D. E. e del B. P. circa la mancanza dei presupposti quanto alle condotte di cessione contestate net capi di imputazione A) e B).
13. Analoghe considerazione devono essere svolte con riferimento ai motivi di ricorso comuni a S. S., Z. A., e D. D., quanto alla insussistenza dei presupposti per i reati contestati nei capi E) e D). Anche su questo punto, l'ordinanza risulta correttamente e congruamente motivata quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Infatti, i giudici del riesame hanno dato conto delle emergenze investigative gravemente indiziarie dell'attività estorsiva posta in essere in danno del M. M. dai fratelli S. S., con la collaborazione dello Z. A. e del B. P., su incarico del D. D..
14. Ugualmente vanno respinte per infondatezza le specifiche censure avanzate da G. S. in merito alle condotta addebitata di cui all'art. 513-bis c.p. Invero, ai fini della configurazione di tale fattispecie, sono da qualificare atti di concorrenza illecita tutti quei comportamenti sia "attivi" che "impeditivi" dell'altrui concorrenza, che, commessi da un imprenditore con violenza o minaccia, sono idonei a falsare il mercato e a consentirgli di acquisire in danno dell'imprenditore minacciato, illegittime posizioni di vantaggio sul libero mercato, senza alcun merito derivante dalla propria capacità operative (in tal senso, Sez. 2, n. 15781 del 26/3/2015, Arrichiello e altri, Rv. 263529). Sul punto, con argomentazioni logiche ed adeguate, l'ordinanza ha richiamato a sostegno dell'ipotesi accusatoria non solo le attività di intercettazione telefonica e ambientale ma anche le dichiarazioni rese dalla persona offesa, il M. M., che aveva prodotto anche tre conversazioni registrate, sottolineando il ruolo attivo del D. D. identificato "come mandante dell'operazione di eliminazione della concorrenza tramite il braccio armato dei S. S.", avendo sollecitato i complici a fare le telefonate e a suggerire al B. P. le minacce da rivolgere al M. M..
15. Quanto invece alla contestata aggravante del metodo mafioso, la motivazione dell'ordinanza impugnata non è riuscita a chiarire i profili della consistenza indiziaria che la dovrebbero far ritenere sussistente. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte "la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto" (cfr. Sez. 2, n. 38094 del 5/6/2013, P.M. in proc. De Paola, Rv. 257065). E' stato chiarito che "per la configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del "metodo mafioso", prevista dal D.L. 13/5/1991, n. 152, art. 7, (conv. in L. 12/7/1991, n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa" (cfr. Sez. 2,. n. 322/2014 del 2/10/2013, Ferrise, Rv. 258103) o comunque che la violenza e minaccia "richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo" (cfr. Sez. 2, n. 16053 del 25/3/2015, Campanella, Rv. 263525).
16. La ratio legislativa dell'aggravante de qua è infatti quella di reprimere metodo mafioso, che può essere utilizzato anche dal delinquente individuate sul presupposto dell'esistenza in una data zona di associazioni mafiose: si intende, cioè, punire con maggiore severità la condotta illecita di chi, partecipe o meno in un reato associativo, utilizzi metodi mafiosi, cioè si comporti come mafioso oppure ostenti, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle attività criminali poste in essere da organizzazioni di tipo mafioso. Ne consegue che la tipicità dell'atto intimidatorio, necessario per la configurabilità di detta circostanza aggravante, a ricollegabile non già alla natura ed alle caratteristiche dell'atto violento in se considerato, bensì al metodo utilizzato, nel senso che la violenza con cui esso a compiuto deve risultare in qualche modo collegata, nel concreto, alla forza intimidatrice del vincolo associativo.
17. Nel caso di specie, il Tribunale si a limitato ad affermare la ricorrenza dell'aggravante di cui trattasi avuto riguardo alle minacce rivolte al M. M. al fine di agevolare l'attività del "clan S. S." "e comunque senz'altro con metodo mafioso". Tale affermazione risulta apodittica, considerato il mero richiamo a quanto affermato nelle ordinanze di applicazione delle misure cautelari emesse dal G.i.p. Non è dato comprendere se risultino elementi probatori univoci circa la sussistenza del clan S. S. e, soprattutto, non è stata fornita una descrizione puntuale delle modalità specifiche con le quali si sarebbe estrinsecato "il metodo mafioso", piuttosto le due possibilità sembrano essere state ipotizzate in astratto e in via alternativa. La motivazione del provvedimento impugnato a sul punto del tutto carente, per cui merita l'annullamento sul punto.
18. Infine questo Supremo Collegio ritiene di dover valutare fondate le censure proposte da tutti gli indagati relative alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla loro attualità, nonché all'adeguatezza di quella applicata rispetto alle ritenute esigenze. Anche se il tempo trascorso dalla commissione del recto non esclude automaticamente l'attualità e la concretezza delle condizioni di cui all'art. 274, c. 1, lett. c) c.p.p. (cfr., gia, Sez. 4, n. 6717 del 26/6/2007, Rocchetti, Rv. 239019); tuttavia a indubbio che in presenza di una distanza temporale dai fatti che sia oggettivamente apprezzabile, l'obbligo di motivazione debba essere adempiuto in termini particolarmente rigorosi nell'indicare le ragioni sia dell'attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente che della scelta della misura cautelare, perché tale distanza temporale per se costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l'attualità e l'intensità dell'esigenza cautelare, ancorché non per se incompatibile (si veda. Sez. 4, n. 24478 del 12/3/2015, Palermo, Rv. 263722).
19. La legge n. 47 del 2015 ha mutato il quadro normativo della valutazione di adeguatezza, anche avuto riguardo alla presunzione relativa della custodia cautelare in carcere per la fattispecie associativa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Tale presunzione era divenuta relativa già a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2011, che ne aveva affermato la vincibilità qualora risultino acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Ma l'art. 4 della menzionata legge n. 47 del 2015 ha modificato proprio la seconda parte del terzo comma dell'art. 275 c.p.p., dedicata all'individuazione del titoli di reato per i quali è possibile applicare solo la misura della custodia in carcere (salvo che gli elementi acquisiti comprovino l'insussistenza di esigenze cautelari). La presunzione assoluta è mantenuta, oltre che per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p., solo per le ulteriori ipotesi associative di cui agli artt. 270 e 270-bis c.p. (concernenti, rispettivamente, le associazioni sovversive e quelle aventi finalità di terrorismo o di ordine democratico), e non è incluso alcun riferimento all'elenco delle fattispecie incriminatrici contenuto- nei commi 3 bis e 3 quater dell'art. 51 c.p.p. Per i delitti da ultimo menzionati, infatti - tra i quali quello per cui si procede - la nuova disposizione recita: "è applicata la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dal quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure".
20. Orbene, l'ordinanza impugnata non si è premurata di descrivere con motivazione idonea la valutazione sull'adeguatezza, né di precisare quali siano, nel concreto e con valenza di attualità, gli elementi in ragione del quali le esigenze cautelari menzionate (pericolo di reiterazione delle condotte illecite, conseguente alla gravità del fatti ed all'inserimento del ricorrenti in ambienti criminali) debbano essere salvaguardate necessariamente con la detenzione cautelare in carcere. Nel caso di specie, a fronte di un periodo temporale di circa tre anni dai fatti oggetto di investigazione all'adozione della misura, il Tribunale ha ricordato il pericolo di recidiva e quanto ai delitti contestati nei capi A) e B), lo stabile inserimento degli indagati nel commercio degli stupefacenti; per il reato di cui al capo C), è stata richiamata la pericolosità che esprime un'organizzazione stabile dedita al commercio di stupefacenti importati dall'estero; mentre per i reati di cui ai capi D/E, l'ordinanza ha sottolineato la propensione degli indagati a minacciare altri imprenditori con il metodo mafioso. Tuttavia, Bette argomentazioni non chiariscono quali elementi abbiano consentito ai giudici della cautela di valutare l'attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede nei confronti di ciascun indagato, e la sussistenza delle condizioni per ritenere che tali esigenze non potessero essere garantite mediante l'adozione di misure cautelari meno incisive della custodia in carcere.
Alla luce delle considerazioni svolte, l'ordinanza impugnata deve perciò essere annullata limitatamente all'aggravante del metodo mafioso ed alle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Roma, sezione riesame, mentre i restanti motivi vanno rigettati per le ragioni già esposte in precedenza.
P. Q. M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente all'aggravante del metodo mafioso ed alle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Roma sezione riesame, rigetta i ricorsi nel resto. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'Istituto penitenziario competente, a norma dell'art. 94 Disp. Att. c.p.p.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015
 
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2015
IL FUNZIONARIO GIUDIZARIO
Luana Mariani


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