Direzione editoriale di Massimiliano Mangano - Chiara Campanelli
Parcella sproporzionata, ma concordata con il cliente: è illecito disciplinare?
La preventiva pattuizione del proprio compenso con il cliente, sproporzionato rispetto all'attività concretamente svolta, salva l'avvocato dal commettere un illecito deontologico?
Con la sentenza in commento il Consiglio Nazionale Forense ha affermato due distinti principi di particolare interesse in merito a questioni deontologicamente dibattute.
In particolare:
- se nella valutazione della rilevanza disciplinare del comportamento dell'avvocato sia influente o meno l'eventuale preventiva pattuizione dei compensi con il cliente, dovendosi comunque valutare se, nel caso concreto, i compensi pattuiti siano proporzionati rispetto all'attività effettivamente svolta;
- se è o meno deontologicamente rilevante il comportamento dell'avvocato che, in una diffida stragiudiziale chieda, oltre al pagamento della somma capitale richiesta per il cliente, anche un importo a titolo di spese legali manifestamente sproporzionato con tale richiesta.
In sintesi, il Consiglio ha ritenuto che, in merito alla prima questione: la proporzionalità dei compensi richiesti dall'avvocato debba essere comunque valutata a prescindere da eventuali accordi con i propri clienti.
Con riferimento alla seconda, invece, il CNF ha precisato che la diffida alla controparte non può contenere la richiesta di pagamento di spese legali sproporzionate rispetto all'oggetto stesso della diffida
Nel caso di specie, alcuni clienti presentavano diversi esposti denunciando che il loro avvocato aveva tenuto nei loro confronti comportamenti deontologicamente scorretti consistiti nell'avergli richiesto compensi superiori a quelli spettanti.
Aperto il procedimento disciplinare a carico del legale, lo stesso veniva sanzionato con la sospensione per mesi quattro.
Avverso tale provvedimento il legale proponeva ricorso, chiedendo il proprio proscioglimento, sostenendo che i compensi erano stati concordati con i clienti.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza in commento, ha ritenuto sussistente la responsabilità deontologica dell'avvocato che richiede al proprio cliente compensi sproporzionati rispetto all'attività svolta, anche qualora i compensi stessi siano stati concordati con il cliente.
Inoltre, il Consiglio ha affermato che sussiste, altresì la responsabilità deontologica del difensore che, nella diffida inviata a una controparte, richiede il pagamento di spese legali manifestamente sproporzionate rispetto all'oggetto della diffida medesima.
Per quanto riguarda, poi, l'eventuale accettazione da parte del cliente del "prospetto analitico delle competenze per l'attività richiesta", il Consiglio ha ritenuto tale circostanza del tutto irrilevante, considerando in proposito la giurisprudenza che si è formata in materia e dalla quale ritiene di non doversi discostare.
Al riguardo, pertanto, è sufficiente evidenziare che, pur in presenza della norma di cui al 1° comma dell'art. 2233 c.c. che pone l'accordo fra le parti come principale fonte della determinazione del compenso professionale, resta - tuttavia - rilevante per tale determinazione anche la successiva disposizione contenuta nel 2° comma dello stesso art. 2233 c.c. - la quale prevede che il compenso debba essere adeguato all'importanza dell'attività professionale - e, soprattutto, resta determinante la previsione deontologica di cui all'art. 43 Codice Deontologico Forense. Tale disposizione, infatti, "mira proprio a mitigare i contrapposti interessi (delle parti: n.d.r.), prevenendo condotte del professionista in danno del cliente e discendendone, dunque, che anche le somme concordemente pattuite tra professionista e cliente non possono derogare al principio di proporzionalità tra attività svolta e compensi richiesti" (cfr., da ultimo, C.N.F. 25 febbraio 2013 n. 9 e, in senso conforme, C.N.F. 28 dicembre 2012 n. 203).
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